Nuovo manuale pratico di scrittura
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Nuovo manuale pratico di scrittura

Per laureandi, saggisti, giornalisti, diplomandi, partecipanti a concorsi pubblici, redattori.

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Per laureandi, saggisti, giornalisti, diplomandi, partecipanti a concorsi pubblici, redattori.

About this book

Il Manuale aiuta chi - studente, laureando, aspirante giornalista, saggista, scrittore ecc.- è consapevole che creatività, ingegno talento, vadano abbinati a un'efficace tecnica di scrittura. Il libro si caratterizza per la sua "praticità". I consigli forniti per le varie tipologie testuali trattate (tesi di laurea, saggio, articolo di giornale, prima prova scritta dell'esame di maturità, temi per concorsi) sono sintetici e schematici, gli esempi numerosi, le soluzioni proposte immediatamente applicabili e operative. Completano il manuale le regole di redazione, fondamentali per chi ha l'arduo compito di "correggere" i testi altrui

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Information

Appendice 1
Contro il vilipendio della lingua italiana73

«Non sanno scrivere». Questa l’affermazione-accusa che si sente ripetere monotonamente nelle università, nelle scuole, nelle redazioni giornalistiche, nelle case editrici...
Stereotipi? Pregiudizi? Falsità? Purtroppo no. Davvero chi opera nel settore della cultura, dell’editoria, della letteratura, della saggistica, del giornalismo, si trova di fronte a testi sgrammaticati, disordinati, sconnessi, eppure scritti proprio da chi poi dovrebbe intraprendere un percorso professionale o addirittura artistico. E, anche quando non si arriva agli errori ortografici, manca il rispetto elementare della strutturazione dei testi, della loro specificità, delle citazioni, delle regole bibliografiche. A tutto questo si aggiunga l’arroganza, la supponenza, la mancanza di volontà di imparare, l’indisciplina mentale.
A chi attribuire le responsabilità? Ormai tanti sono stati gli interventi al riguardo. Sul banco degli imputati salgono di volta in volta la scuola, la famiglia, la società, l’uso incontrollato dei nuovi media, ecc. Più nel dettaglio: classi numerose (oltre trenta alunni per aula); troppi disabili e allievi di origine straniera per classe; insegnanti stressati, malpagati, demotivati, schiacciati da folli adempimenti burocratici; il linguaggio invalso, scorretto, di Sms via telefoni cellulari, email, social network, con l’uso sincopato dei vocaboli; in famiglia mancanza dell’amore per la lettura e per la cultura; genitori che inseguono le mode consumistiche, ecc.
E, poi, gli scaricabarile, per cui i docenti delle scuole superiori accusano quelli delle medie; i docenti universitari le scuole superiori; gli psicologi le famiglie, troppo assenti e permissive; le famiglie i modelli sociali imposti dall’alto; tutti la Rete (con annessi Facebook, YouTube e... persino Wikipedia), i videogame, la tv spazzatura e... il malcostume politico.
Che i giovani studenti avessero già da tempo difficoltà nella ricerca scientifica, nel rispettare le regole redazionali e nel compilare in modo accurato una tesi di laurea o un saggio, è testimoniato dalla pubblicazione e dalle continue ristampe, dall’ormai lontano 1977, del celebre saggio di Umberto Eco su Come si fa una tesi di laurea74. Un vero best seller75. Tuttavia, alcune sue “direttive” oggi appaiono superate dai nuovi strumenti d’indagine, di ricerca bibliografica, di catalogazione e dall’utilizzo dei computer e dei programmi di videoscrittura, ecc. Per non dire delle caratteristiche grafiche, come – nella Parte VI del testo dello studioso piemontese – le sottolineature o i caratteri da macchina da scrivere Lettera 32, che, francamente, oggi, nell’era dei computer e dei programmi di videoscrittura, non hanno assolutamente ragione di essere.
Del resto, il fatto stesso che siano prolificati i manuali pratici sullo scrivere correttamente – e il nostro ne è un modestissimo epigono – indica come il problema, nel corso del tempo, si sia aggravato, nonostante (oppure, anche a causa dei) i nuovi strumenti informatici e telematici. Un po’ come le «gride» contro i bravi riportate da Alessandro Manzoni ne I promessi sposi: il fatto che nel corso del tempo si ripetessero a scadenze sempre più brevi e si rafforzassero i provvedimenti contro i farabutti che infestavano la Lombardia del Seicento non denotava che il problema fosse affrontato e in via di risoluzione, ma, semmai, aggravato. E che lo stato non fosse forte, ma debole, e impotente. Così come oggi: si elevano le pene, gli anni di carcere, a mostrare forza e volontà di combattere certi reati, mentre, in realtà.
R.T.
73 Testo riadattato da R. TRIPODI, Lo sfacelo della lingua italiana, in LucidaMente. La Squilla on line, www.lucidamente.com/30912-lo-sfacelo-della-lin-gua-italiana-tripodi, n. 109, 2015.
74 U. Eco, Come si fa…, cit.
75 È del novembre 2014 la «XXV edizione» (ma, se non consideriamo la grafica di copertina, sarebbe meglio dire ristampa) presso la collana Tascabili della Bompiani.

Appendice 2
Il refuso del demonio e il verme dispettoso: i “giochini” di Benni e Bufalino76

Tutti rimpiangiamo Gesualdo Bufalino, le sue invenzioni narrative, l’acutezza delle riflessioni, l’avvolgente bellezza dello stile. Citando a propria volta Niccolò Tommaseo e Alberto Savinio, in due passi de L’inchiostro del diavolo – “pezzo” inserito in Cere perse77 – ecco cosa pensa lo scrittore siciliano degli errori di stampa:
«Refuso – recita il Tommaseo – dicesi della stampa andata a male, onde tutte le lettere sono in confuso». In parole spicce il refuso sarebbe un puro incidente tipografico al quale chi scrive è meglio che si rassegni in anticipo, senza conferirgli nessuno stemma di persecuzione o di sgarro metafisico. Qui sta il mio debole, invece. Nel sospettare in ogni insurrezione dell’alfabeto un complotto contro di me.
Il pittore-scrittore-musicista Savinio, fratello di Giorgio De Chirico, trascinato negli ammalianti gorghi dell’intellettualismo decadente tipico della nostra epoca, va oltre la semplice referenzialità del linguista di Sebenico e – riporta sempre Bufalino:
Credeva, beato lui, che i refusi fossero epifanie del profondo e quando, battendo a macchina, gli avveniva di vedersi sbocciare sotto le dita una parola deforme, godeva di trarne responsi come dalle sillabe d’una Sibilla. Ammiro tanta disinvoltura, ma a me succede altrimenti: ogni violenza inflitta alla scrittura mi umilia. Peggio: me ne viene un risentimento della sensibilità che alla lunga minaccia di diventare nevrosi.

Horror erroris!

Francamente, possiamo dire che anche noi, di fronte ai refusi, alle “distrazioni” redazionali, agli errori di stampa, proviamo una reazione simile a quella del narratore di Comiso.
Come non dannarsi l’anima se, alla fine di un libro, ci si accorge che vi è una nota a piè di pagina in più rispetto a quelle presenti nel testo? Come non imbestialirsi se un redattore o un tipografo, dopo mille raccomandazioni, ci toglie di colpo, con un comando dato al suo computer, tutti i corsivi accuratamente inseriti in base a minuziosissime regole?
Come non inorridire incontrando un «1914-’18»? Come non sobbalzare imbattendosi in una virgola o in un punto preceduti da uno spazio, un «della» al posto di un «dalla», una citazione che inizia con », un’altra che inizia, ma non si chiude mai – voce persa nell’eternità spazio-temporale – il «Myanmar» strozzato in «Myanma», la «Slovenia» trasformata in «Slovacchia», il «Sessantotto» che, dopo una riga, diventa «’68» o, peggio, «68»? Come non sentirsi toccati nella propria sensibilità, quando perfino quotidiani, riviste, editori di buon livello o, almeno, di notevole fama e prestigio nazionale, cadono di fronte a un paio di lettere invertite o davanti alla confusione accento/apostrofo o alternano varie grafie e impostazioni di editing?
Eppure, fin qui, restiamo nel campo dei refusi, delle “disattenzioni”, degli errori involontari. C’è di peggio. Dèi misericordiosi, correteci in aiuto, quando sentiamo l’alito nerastro e angoscioso delle incertezze, del dubbio, scorrerci sul collo...
La punteggiatura va all’interno o all’esterno delle virgolette a caporale? Va scritto «Eroe dei due mondi» o «Eroe dei Due Mondi»? Il tondo o il maiuscoletto per gli autori di un libro citato in nota? Quando scrivere ibidem? Come trattare gli apparati bibliografici, le sigle, i nomi russi, e quelli dei santi, le istituzioni e gli enti, i titoli delle mostre o gli atti di un convegno, gli edifici storici, i nefasti programmi spazzatura televisivi? Quando usare il trattino, quando la lineetta? I numeri vanno immessi in lettere o in cifra?
E, ora, con l’editoria informatica, abbiamo a che fare con i terribili tags e altre creature demoniache.
E ciò che è invincibile: le ripetizioni lessicali. Già. Cercandone una – speravate l’ultima – ne trovate altre, che spuntano come funghi, inaspettate, in una catastrofica e umiliante catena di S. Antonio, in un rimbalzo folle e beffardo, maligni segni disgregatori. Sì, perché, se provate a eliminare un’iterazione... ecco: ne avete introdotta un’altra.
È finita. Le forze vengono meno. La mente evapora, il nostro senno vola sulla luna come quello di Orlando: ci sarà un Astolfo a recuperarcelo?

La cupa metafisica del refuso

L’imperfezione nella stampa di un libro è dovuta a un’entità malvagia, vile, subdola.
Sempre per Bufalino, infatti,
il refuso non possiede un solo quarto di nobiltà, è il rictus che sconcia un viso, la sassata che sfregia un vetro, il fischio della corda che si rompe sotto l’archetto. Questo nel migliore dei casi: quando, cioè, si esibisce in forma evidente, suscitando nel lettore, dopo l’irritazione, un assillo poliziesco a restituire la lezione perduta. Ma son casi rari. Più spesso il refuso si traveste da galantuomo, affila nell’ombra i suoi coltelli, cresce come una carie, un tumore.
Fino a pervenire a una visione amaramente e disperatamente gnostica, degna de Il funesto demiurgo di Emil M. Cioran78:
È come se un capostazione impazzito mandasse a casaccio i suoi treni ai quattro capi del mondo, l’Orient-Express su un binario morto a Molfetta, una cremagliera alpina sulla Transiberiana. Forse veramente ogni segno che riceviamo o mandiamo è un errore di trasmissione, ogni messaggio ci viene da un computer programmato a ingannare, la lettera che il postino ci porta era per un altro, qualcuno ha scambiato le buste. Seppure non sia l’universo intero un refuso.
Forse è Dio che ha pensato il mondo, ma è il diavolo che ogni mattina lo stampa: siamo scritti lassù, temo, da una portatile guasta. E come potremmo allora aspettarci, noi sgorbi e geroglifici di così scorretta edizione, che quanto scriviamo noi stessi si salvi? Come potrei io sperare che queste povere pagine a stampa, nel marasma di tutto e di tutti, vi giungano senza una macchia?

Da L’inchiostro del diavolo a II verme disicio

Certo meno irascibile dello scrittore siciliano (che non a caso ha raccolto, sempre in Cere perse, il glorioso In difesa del congiuntivo) e di noi stessi è Stefano Benni, che affronta il medesimo tema dei refusi tipografici in modo più scherzoso, con il famoso Il verme disicio (ne Il bar sotto il mare79), immaginando appunto che esistano antipatici e dispettosi animaletti, tra cui quello del titolo – il più esiziale – in grado di rovinare la perfezione di un testo librario. Così
la cimice maiofaga, che mangia le maiuscole o il farfalo, piccolo imenottero che mangia le doppie con preferenza per le “emme” e le “enne”, ed è ghiotto di parole quali “nonnulla” e “mammella”. Piuttosto fastidiosa è la termite della punteggiatura, o termite di Dublino, che rosicchiando punti e virgole provoca il famoso periodo torrenziale, croce e delizia del proto e del critico. Molto raro è il ragno univerbo, così detto perché si ciba del solo verbo “elicere”. Questo ragno si trova ormai solo in vecchi testi di diritto, perché detto verbo è ormai scaduto d’uso e i pochi esempi che ricompaiono sono decimati dal ragno.
A tali calamità si aggiungono
la pulce del congiuntivo e il moscerino apocopio. ...

Table of contents

  1. Manuale pratico di Scrittura
  2. Colophon
  3. Indice
  4. Prefazione di Vera Gheno: Un manuale su misura per ogni lettore
  5. Premessa
  6. Capitolo I: Consigli preliminari
  7. Capitolo II: La tesi di laurea e il saggio
  8. Capitolo III: L’articolo di giornale
  9. Capitolo IV: La prima prova scritta degli esami di stato e i temi per i concorsi pubblici
  10. Capitolo V: Le regole di redazione valide per tutte le tipologie: considerazioni preliminari
  11. Capitolo VI: Le regole di redazione valide per tutte le tipologie: come fare
  12. Appendice 1
  13. Appendice 2