Rivista di Politica 3/2017
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La Russia nel Mediterraneo: una piccola rivoluzione geopoliticaAndrea BeccaroUn realismo democratico per la bubble democracyDamiano PalanoTrent'anni (e sessant'anni) dopoLa democrazia di Sartori, ieri e oggiGianfranco PasquinoUna guida alla critica degli entusiastiNadia UrbinatiIl popolo nella teoria democratica di Giovanni SartoriMarco TarchiLa teoria democratica di Sartori: una geometria con gli idealiMarco ValbruzziSartori e la "democrazia partecipativa"Antonio FloridiaCariche contese: una guerra di posizione tra élite politiche e burocraticheFabio Bistoncini, Federico De Lucia, Stefano ScardigliIndeterminazione e sterilità della democrazia post-totalitariaGiulio De LigioConcordia discors. Del Noce e Matteucci a confrontoFrancesco Romano FraioliDi cosa parlano gli Americani quando parlano di sicurezza nazionale? Le ambiguità e i dilemmi dell'internazionalismoCorrado StefanachiL'Isis in Europa. Un'analisi comparata delle stragi jihadisteAlessandro Orsini

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Information

CONGETTURE E CONFUTAZIONI

La Russia nel Mediterraneo: un piccola rivoluzione geopolitica

di Andrea Beccaro
L’impalcatura geopolitica della regione del Mediterraneo è entrata ormai da anni in una fase di profondi mutamenti che hanno portato a forte instabilità e all’indebolimento della posizione di attori storici o all’emergerne di nuovi. Tra questi ultimi va sicuramente ascritta la Russia che, a partire dalle Primavere arabe, ha inaugurato una politica militare, diplomatica ed economica di forte impatto in diverse aree della regione. Putin, infatti, è riuscito a ritagliarsi uno spazio importante nel Mediterraneo da un punto di vista sia territoriale, si pensi alla Siria, sia diplomatico, con alleanze stipulate con attori importanti in specifiche zone come Haftar in Libia, o con l’Egitto.
L’influenza russa nel Mediterraneo venne quasi del tutto azzerata dalla fine della Guerra Fredda e il conseguente crollo dell’impero sovietico, ma l’instabilità regionale del XXI secolo e una rinnovata politica di Putin, anche di ammodernamento dell’apparato militare, hanno permesso a Mosca di riappropriarsi di vecchi spazi e di incunearsi in nuovi sfruttando due situazioni concomitanti. La prima è il caos politico provocato dalle Primavere arabe. Da un lato esse hanno condotto a una ricomposizione delle classi dirigenti che, come in Egitto, si sono dimostrate più sensibili al richiamo di Mosca; dall’altro hanno aperto conflitti, anche molto sanguinosi come in Libia e in Siria, che oltre a minacciare direttamente gli interessi russi, hanno schiuso nuove possibilità per creare alleanze e contatti politici. La seconda situazione è il fatto che la Presidenza Obama si è dimostrata impreparata a gestire i conflitti, adottando una politica poco lineare e a volte in deciso contrasto con il passato. Così facendo gli Stati Uniti hanno favorito l’allontanamento di alcuni storici alleati e aperto spiragli e spazi diplomatici a potenze esterne prima di allora assolutamente impensabili.
Il primo, più evidente e massiccio passo in questa direzione è stato senza dubbio l’intervento diretto in Siria in appoggio del presidente Assad a fine settembre 2015. Qui non abbiamo modo di ricostruire l’intera vicenda, ma due elementi vanno segnalati. Primo, benché il massiccio coinvolgimento militare russo in Siria sia mutato nel corso del tempo, esso ha portato a vari risultati ormai consolidati sul terreno: forte presenza sul campo in appoggio sia delle forze regolari siriane sia di Hezbollah con cui ha collaborato impiegando elementi di Forze Speciali, le quali hanno svolto compiti di addestramento e assistenza esattamente come quelle occidentali in altri teatri della regione; il poter usufruire di due basi cruciali in Siria attraverso la ratifica di un accordo con il governo siriano, ovvero Tartus, l’unica base navale russa nel Mediterraneo, e quella aerea di Khmeimim di cui la Siria ha concesso l’utilizzo per 50 anni; ciò certifica la presenza russa nel Medio Oriente e nel Mediterraneo e inoltre crea i presupposti per ampliare il raggio d’azione della strategia russa A2/AD (anti-air/area denial), basata su sistemi di difesa che interdicono le capacità aeree e di penetrazione del nemico in un dato settore. Con i sistemi anti aerei presenti in Siria si è così creata una sorta di bolla di sicurezza in cui è impossibile, o quanto meno estremante pericoloso, per gli Stati Uniti penetrare con la loro aviazione. La bolla siriana è quella più meridionale di un sistema articolato che copre quasi ininterrottamente il fronte occidentale russo, ovvero dalla Siria al Mar Nero con la Crimea fino al Mar Baltico.
Il secondo elemento della politica russa verso la Siria da prendere in considerazione sono i chiari successi sia politici sia militari che, malgrado indubbi problemi e alcuni rovesci, Mosca e i suoi alleati stanno ottenendo. A metà dicembre 2016 dopo circa quattro anni le truppe del regime siriano, appoggiate dall’aviazione russa, hanno riconquistato la città di Aleppo, il che ha rappresentato un punto di svolta poiché ha permesso a Mosca di presentarsi con ancora maggior peso e influenza come attore centrale della regione. Da un lato perché con la vittoria ad Aleppo la Russia ha radicalmente mutato gli equilibri nel conflitto siriano, non solo grazie al suo impegno militare, ma anche e soprattutto grazie a un lavoro diplomatico condotto con maestria coinvolgendo l’Iran e la Turchia. Sulla carta, Mosca e Ankara dovrebbero essere avversari, vista l’appartenenza della Turchia alla NATO e le tensioni seguite all’intervento russo in Siria (come per esempio l’abbattimento di un caccia russo Su-24 da parte dell’aviazione turca il 24 novembre 2015 e l’uccisione dell’ambasciatore russo a Istanbul il 20 dicembre 2016). La realtà, però, è molto diversa e vede una Turchia che ha ormai abbandonato l’idea di rovesciare Assad in favore di una posizione più moderata. Tale cambio di strategia ha tagliato importanti linee di rifornimento ad alcune frange dell’opposizione siriana e ha permesso alla Turchia di concentrarsi maggiormente sul pericolo curdo, aggravato dal referendum indipendentista del settembre 2017.
Dall’altro lato, a seguito del successo ad Aleppo e di questa rinnovata ragnatela di alleanze la Russia è stata in grado di organizzare la conferenza di pace nel gennaio 2017 ad Astana, capitale del Kazakistan. L’incontro promosso insieme a Turchia e Iran non ha certamente segnato la fine del conflitto siriano (perché non tutti i gruppi di opposizione erano presenti; perché anche quelli presenti non si sono incontrati direttamente con i delegati del governo centrale; perché i gruppi estremisti come ISIS e al Nusra sono ancora attivi) ma ha comunque rappresentato un momento importante, sia per come è stato organizzato (dalla Russia e i suoi alleati, invitando l’ONU e gli Stati Uniti), sia per il fatto che è riuscito a portare al tavolo molti degli attori coinvolti.
Il raggio d’azione delle alleanze russe è dunque piuttosto vasto e si intreccia, ma non si limita, alle questioni prettamente mediterranee. In questo quadro si spiegano le recenti visite di fine agosto del ministro degli esteri russo Lavrov in vari Paesi dell’area del Golfo Persico. Un’area che, storicamente, è sempre stata dalla parte di Washington, ma che negli ultimi anni, anche a seguito della crisi diplomatica che si è venuta a creare con il Qatar, ha aperto spiragli per altri attori. Lavrov ha prima visitato il Kuwait, gli Emirati Arabi Uniti e, infine, il Qatar, dove ha espresso il sostegno di Mosca agli sforzi di mediazione del Kuwait. Sempre lungo questa linea di azione vanno inserite le visite di Lavrov di inizio settembre 2017 in Arabia Saudita (il cui re Salman ha visitato Mosca a inizio ottobre consolidando anche contatti per contratti relativi all’invio di materiale bellico) e in Giordania, in occasione delle quali, nuovamente, la Russia ha sostenuto la necessità del dialogo tra le parti. L’obiettivo di Mosca è sì quello di risolvere la crisi attraverso negoziati tra tutte le parti coinvolte, ma anche di rafforzare, in questo quadro piuttosto fluido, i legami economici e politici con il Qatar, dove gli Stati Uniti hanno una base centrale per le loro operazioni nella regione. Non a caso nei suoi incontri Lavrov ha anche sottolineato il desiderio della Russia di avere una maggiore cooperazione con il Qatar nel settore degli investimenti economici e in quelli del petrolio e del gas.
Va inoltre ricordato che la questione qatariota tocca da vicino la Russia perché tra le richieste che l’Arabia Saudita ha fatto per riaprire i canali diplomatici ce ne sono due che riguardano Paesi al momento, e per motivi diversi, vicini a Mosca.
Il primo è l’Iran, con cui il Qatar ha importanti relazioni e che rappresenta un alleato centrale per Mosca nella guerra in Siria. A seguito della crisi siriana, Teheran e Mosca si sono trovate sempre più a condividere visioni comuni sul futuro del Paese. Sin dall’estate 2016 bombardieri russi hanno operato da basi iraniane per colpire obiettivi in Siria. Non è, inoltre, un segreto che, nel suo intervento in Siria a difesa di Assad, la Russia appoggi gruppi di Hezbollah con Forze Speciali e aviazione. Un ulteriore elemento di rafforzamento di questa alleanza sono le esercitazioni congiunte tra Iran e Russia portate a termine nel luglio 2017 tra le rispettive marine sul Mar Caspio. Durante le esercitazioni un distaccamento della flotta russa del Caspio ha visitato il porto iraniano di Anzali, la quinta visita negli ultimi dieci anni.
Con la caduta di Saddam Hussein nel 2003 l’Iran ha, inoltre, ampliato e radicato la sua influenza sull’Iraq. Teheran non solo ha estesamente supportato (militarmente ed economicamente) i gruppi para-militari sciiti, prima contro gli Stati Uniti, poi contro i sunniti e, infine, contro i miliziani dello Stato Islamico, ma ha anche stabilito forti legami con ampi settori della classe dirigente sciita irachena, il cui maggiore esponente è indubbiamente l’ex primo ministro, ora vice-presidente, Nuri al-Maliki. Proprio quest’ultimo è stato in visita a Mosca all’inizio di agosto 2017 chiedendo una presenza più visibile della Russia nel Paese. Russia e Iraq, che in passato avevano già stipulato accordi commerciali legati all’acquisto di materiale bellico, con l’intervento in Siria e il concomitante conflitto contro ISIS, hanno anche sviluppato contatti a livello strategico e militare. Maliki ha incontrato Lavrov e Putin plaudendo al ruolo svolto da Mosca nella regione, anche se tale posizione non è condivisa dalla totalità dei politici iracheni.
Una delle ragioni principali dell’incontro è stata quella di discutere le forniture di carri armati russi, in particolare il modello T-90, per un accordo di circa un miliardo di dollari. Benché dopo il 2003 l’esercito iracheno sia stato equipaggiato con materiale americano, molte armi e veicoli sono di produzione russa e inoltre questi ultimi hanno costi più bassi rispetto ai corrispettivi americani, il che non è un elemento di poco conto se si pensa che l’Iraq ha un enorme debito pubblico oltre che un bisogno importante di strumenti bellici per far fronte al conflitto con lo Stato Islamico. Il viaggio di Maliki a Mosca potrebbe essere anche interpretato come un tentativo di portare il sostegno russo a una sua futura candidatura per le elezioni parlamentari irachene dell’aprile 2018. La Russia, infatti, potrebbe scegliere di rafforzare la posizione di Maliki, mal visto dagli Stati Uniti specie dopo il 2014, per contrastare l’influenza americana nel Golfo Persico. A fronte della scelta di Washington di impiegare il petrolio come arma politica nella guerra energetica contro la Russia, il Cremlino potrebbe utilizzare l’intermediazione iraniana per il rafforzamento dell’asse comune Mosca-Teheran-Damasco.
Il secondo Paese legato al Qatar che nell’ultimo anno si è avvicinato alla Russia è la Turchia. Quest’ultima, come già ricordato, ha preso parte ai colloqui di Astana con Russia e Iran, che hanno posto le basi per una sorta di normalizzazione del conflitto siriano di cui ora si intravedono i risultati. Inoltre, Ankara si è mostrata interessata all’acquisto di un sistema missilistico anti-aereo russo S-400, ponendosi in netto contrasto con gli alleati NATO che vedrebbero così compromessa l’interoperabilità dei loro sistemi e, in prospettiva, anche la solidità dell’alleanza.
Un ulteriore teatro dove Putin ha investito molto dal punto di vista non solo diplomatico è indubbiamente la Libia dove la presenza e l’influenza russa stanno aumentando. Qui però la situazione è forse ancor più intricata che altrove per via della presenza di vari attori con forti interessi economici e in alcuni casi già coinvolti nel conflitto. Il 7 dicembre 2016 poco prima della caduta di Aleppo in Siria, le milizie di Misurata, allineate con il governo di Sarraj riconosciuto dall’ONU, hanno liberato dalla presenza di ISIS la città costiera di Sirte al termine di un’operazione durata circa sette mesi. Al buon esito dell’operazione hanno contribuito anche l’aviazione americana, le forze speciali inglesi e l’Italia, che ha cr...

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  1. Rivista di Politica Luglio-Settembre 2017
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  4. Numero 3 Luglio-Settembre 2017