L'anima della Calabria
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L'anima della Calabria

L'anima della Calabria

About this book

Kazimiera Alberti, poetessa polacca, esule in Italia dopo la seconda guerra mondiale, compie nella primavera-estate del 1949 un lungo viaggio inCalabria, percorrendola tutta, nella tradizione del grand tour, in gran parte a piedi. Il risultato è una deliziosa, vivace, erudita, ironica e tenera guida-reportage della Calabria. Come il classico old Calabria di Norman Douglas, l'anima della Calabria non è solo un grande travelogue.La Aberti cerca un'evasione dal XX secolo devastato dalla guerra e la Calabria, con la bellezza dei suoi paesaggi, l'onnipresente testimonianza della sua millenaria cultura e la dinamicità del suo presente, le offre una cura ai traumi dellaguerra. Così l'anima della Calabria riesce a riportare in vita la sua anima ferita. Clicca qui e guarda lo spot di "Viaggio in Calabria"

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Information

1

Lungo la riva di Ulisse e di Oreste

Vendetta di una nostalgia di limoni

Tu dirai subito che soltanto un pazzo può pensare che il vento possegga un colore. Esso non è altro che moto!
Ed invece i pazzi hanno ragione molto più spesso degli uomini normali. Per esempio, un poeta non è un uomo normale! Egli vede il colore del vento, ascolta il tramonto del sole, odora i cirri, gusta il sapore del cielo e tocca il canto dell’usignolo. Ogni critico che rispetti la logica ed i canoni classici sa perfettamente che il poeta ha i sensi rimescolati…
Allora…
Quel giorno il vento aveva un intenso color bleu! Di tanto in tanto si chetava, si chinava sull’enorme tavolozza dello Stretto, rubava ad essa un po’ di tinta “non ti scordar di me” e fuggiva contento, come un uccello che abbia il becco pieno. Da pazzo ne caricava a gran colpi di spatola il cielo, l’orizzonte, le palme stormenti sul Lungomare, l’alta cimosa dei Peloritani. Finché alla fine cadde sul nostro progetto di visita a Scilla, lo cancellò, lo mutò, lo tinse di bleu.
Il giorno prima era un progetto normalissimo. Partire da Reggio con l’autobus e far ritorno col treno, o viceversa. Invece il vento fu più forte, lottò brevemente con esso ed immediatamente lo abbattè. Fu così che andammo a piedi a Scilla.
Ed i nostri occhi, subito dopo Reggio, si ubbriacarono dei giardini di limoni.
Poeti, filosofi, dietologi han già tessuto le lodi dei frutti i più svariati; li hanno cantato nel corso dei secoli. Basta pensare al pomo. Questo innocente frutto ha sconvolto l’intero mondo, ha buttato all’aria tutti i meravigliosi progetti di Jehova. L’ultimo scolaretto sa quale enorme potenza abbia avuto il piccolo pomo. Questo frutto ha sulla coscienza milioni di versi, migliaia di trattati filosofici e di scherzi brillanti. Oppure, ai pomi d’oro delle Esperidi, che Ercole si guadagnò da Atlante reggendo un po’ in sua vece il mondo sulle spalle. Sono sempre stati tema preferito dei più illustri scrittori! A gloria poi delle ciliege, per la prima volta portate dall’oriente a Roma dall’elegante e goloso Lucullo e che suscitarono tanta ammirazione e sensazione, i poeti s’affrettarono a scrivere innumeri odi. Cosa dire poi della regina della frutta: l’uva!? La folle insegna di Dioniso e Bacco! Nessuna monografia potrà mai stabilire l’astronomica cifra di poemi scritti a gloria del grappolo d’uva e del suo succo.
Oggi io voglio tessere le lodi del limone.
Voglio dirgli come durante la seconda guerra mondiale, nella lontana Polonia, esso sia stato desiderato. Con quanta nostalgia fosse attesa l’apertura delle frontiere perché potesse alla fine passare. In quegli anni di fame, malattie, mancanza di vitamine, di medicine, di iniezioni, il limone divenne quasi un simbolo di salute, una panacea per ogni bacillo, ogni intossicazione, ogni debolezza. Quando qualcuno aveva un suo caro in prigione o in un campo, il massimo sogno era: «Ah, potergli inviare in un pacco almeno un limone! Uno alla settimana! Uno al mese!». Sogno da pazzi, poiché, anche ad essersi realizzata una cosa simile, un tale miracolo non avrebbe superato nessuna censura, poiché un limone era ancor più desiderato di un purissimo brillante “blauweiss”.
Allora, nel pacchetto si inviavano delle… cipolle.
Ma di tanto in tanto anche i limoni facevano la loro apparizione nella Polonia che a quel tempo si chiamava «General Gouvernement». Si mostravano come grandi attori, due o tre volte prima di qualche grande festività nelle vetrine della Ditta «Meinl» a Cracovia; ma erano solo per gli “übermenschen” nietchiani o, per essere più esatti, solo per i bimbi malati di questi “übermenschen”, su specialissima tessera medica. Ai polacchi era solo permesso ammirare questo miracolo; e la folla si riuniva davanti alla vetrina.
Voi sapete bene come la folla abbia la proprietà di riunirsi senza motivo. Mi trovai una volta a passare e domandai: «Dio mio! Che è avvenuto qui?» – «Come, non lo sapete?! I limoni!» – Così anche io mi fermai, attesi il mio turno e guardai i limoni. Nevicava, senza speranza, una neve fitta, vischiosa. Mi ritornò alla mente di colpo l’intero paesaggio italico, verde, pieno di dolcezza, i boschi di limoni là a Sorrento, in Sicilia; mi sembrava non mi sarebbe mai più stato concesso di vederli, poiché per ogni scrittore era sempre in agguato un’idra speciale…
Ma, talvolta, anche ad un polacco sorrideva… il limone! Giungevano pacchi da Lisbona, 450 grammi, ed in qualcuno vi era l’essenza di limone, in un’elegante bottiglia di cristallo che richiamava alla mente un prezioso profumo. Anche io ne ricevetti una, una volta, con questo divino liquido. Fiera della mia fortuna lo dissi ad un’amica. Ognuno di voi sa cosa significhi “dirlo ad un’amica”. Immediatamente tutti i miei conoscenti seppero di questo fatto meraviglioso ed io cominciai a ricevere visite.
– Sai, a mia madre il diabete aumenta sempre di più… Insulina non ne esiste… – (dopo un istante) – Ma… forse tu hai ricevuto del limone? – Bello e capito! Dopo un’opportuna pausa: – Si, aspetta, te ne darò un cucchiaio per il thè. –
Ma come inviarne un cucchiaio? Si versa, si sciupa sulle pareti della bottiglia: è sempre peccato. Meglio offrire in sito una tazza di thè con dentro il sospirato limone.
Lo stesso pensavo giorno per giorno al modo migliore di utilizzare questo nettare. I sogni variavano ogni volta. Usarlo in una bella salsa? Su di un’insalata? In una minestra? Farsi una buona limonata? O berlo col thè? E se preparassimo un buon liquore al limone?
Poi vi erano infiniti altri sogni. Un cosmetico? Metterne ogni giorno qualche goccia in un bicchiere d’acqua e lavare il viso oppure tenerne a lungo qualche goccia in bocca per fortificare le gengive e poi inghiottirlo? O forse versarlo in acqua e strofinare i capelli dopo il lavaggio? Ma questi sogni cosmetici erano troppo folli.
Mentre le visite continuavano ogni giorno: – Sai, a mia nonna si muovono tutti i denti. Mangio subito la foglia. Rispondo: – Niente di strano. Ha 70 anni passati. – No. Non si tratta di questo. Il medico ha detto “avitaminosi”… – Dopo un istante – forse tu hai ricevuto del limone?… – Si, l’ho avuto – rispondo decisa – ma non credere che te ne dia una sola goccia, per tua nonna. Possono pure cascarle tutti i denti! Se ne metterà poi dei nuovi, più belli!
Ma vi erano tante altre visite cui non potevo rifiutare. Il piccolo di un amico aveva la pellagra, un altro forti dolori reumatici… Così, cucchiaio su cucchiaio. Mentre io stessa sognavo continuamente e rinviavo le mie utilizzazioni personali. Finché scorsi il fondo della elegante bottiglia di cristallo. Una volta sola avevo bevuto una bella limonata ed un’altra lavato il viso.
L’epilogo fu del tutto comico. Dopo un anno e mezzo mi arrivò, trafelata, un’amica: «Dio mio! Tu hai ricevuto del limone e non mi dici nulla!» – La poverina aveva ricevuta la notizia in ritardo. Scoppiai a ridere. «Calmati, lo ricevetti un anno e mezzo fa, ma mi andò via in meno di una settimana».
– E non mi dicesti nulla? Non me ne hai dato neanche una goccia! – Ma scusami, sei sfrontata. Una persona sana come te, domandare del limone! –
Offesa, mi risponde: «Non si può mai sapere quale malattia uno tenga nascosta».
Oggi passo lungo le rive dello Stretto di Messina. Un predestinato miracolo ha fatto sì che dopo le nevi, le nebbie, il vento ed il terribile gelo di questi inverni di guerra che chissà per quale motivo furono rigidi in modo speciale (nel 40-41, 25°-32° sotto zero) io veda il mitologico paesaggio di Calabria, le foreste di limoni. Esse luccicano, racchiudendo in sé il mondo segreto delle vitamine. Vedo in esse il colore speciale, né verde né giallo, soltanto, preciso, esatto, il color “limone” e ne canto le lodi come Teofrasto e Virgilio. Racconto ad esso tutte le nostalgie e le tristezze che il suo ricordo ha risvegliato in milioni di nordici durante la seconda guerra mondiale. Quanto esso sia stato desiderato, più del più delizioso dolce del mondo.
E qui, in Calabria, appartiene alla più scelta specie, la più succosa, più fine.
Passano gli abitanti del luogo. Per loro questo paesaggio è qualcosa di comune, di ogni giorno. Per i miei occhi di nordica ogni albero di limone, con le sue foglie lucide, rigide, con i suoi grandi frutti deliziosi è una scena che dà voluttà.
Andiamo così lungo la strada. A destra e sinistra limoni, arrampicantisi in alto su per il pendio delle colline, digradanti in basso fin quasi al mare, formanti tra le case un arcadico paesaggio.
Oggi, sai tu con quale piacere, farò le vendette di quella innocente bottiglia di essenza di Lisbona?! Oggi stesso, stasera! Berrò una limonata di due, no, aspetta, di tre limoni! No!
Aspetta, due limonate!… Poi, sulla porzione di pesce spremerò ancora due limoni. Stasera ne voglio spremere uno intero nell’acqua e strofinarmi la faccia; subito domattina voglio lavare i capelli con puro succo di limone.
E comincio a cantare sulla strada:
Kennst du das Land
wo die Zitronen blühen…
mentre gusto già la voluttà del palato, delle vene, della pelle. La voluttà di far la vendetta della bottiglia di Lisbona. Mi sfamerò, ingozzerò, ubbriacherò di limoni!

Dillo soltanto alle stelle e all’onda…

Pregustando una tanto dolce vendetta sulla nostalgia dei limoni ci rechiamo a Scilla.
La strada che finora si è tenuta lontana dal mare ora, sotto la punta rocciosa che chiude lo Stretto, gli si avvicina tanto da farcelo apparire ai nostri piedi. Subito dopo una curva, una spiaggia lunga, bianca, colma di nitida sabbia si getta tra le braccia delle onde, mentre le case, con il loro cappuccio rosso ci annunziano che siamo arrivati a Scilla.
Molti sono i posti in Italia – specie nel meridione dove sono passate le “Stelle” della Magna Grecia –, coperti dalle piume della leggenda e della mitologia, che ancora oggi fanno a noi, figli di un’epoca tanto prosaica, razionale e meccanizzata, una piacevole impressione. Scilla occupa tra questi uno degli angoli più originali. Qui l’Amore si è mescolato con la tragedia, qui umani occhi glauchi han ceduto la loro tinta al mare, qui un uomo si trasformò in Dio, qui un mostro in cui si è personificato il pericolo della roccia ha minacciato il coraggio e l’ardimento umani. Qui la gelosia si è dissetata alla fonte della vendetta.
Qui la roccia a picco, tanto protesa nel mare ha risvegliato il pensiero del poeta e del filosofo e, come ogni cosa bella e crudele, ha influenzato sentimento e immaginazione.
Scilla è così diventata sinonimo di pericolo. Qui ha navigato Ulisse; e la sua eroica lotta tra Scilla e Cariddi è stato tema prediletto di innumeri poeti. E, con Virgilio, «Cade in Scilla chi vuole evitare Cariddi…».
La mitologia presentò Scilla come donna nella parte superiore del corpo, cane o lupo nella parte inferiore. Molte monete ci han tramandato questo aspetto. La tradizione vuole che prima della costruzione del castello la roccia avesse forma umana, mentre in basso esistevano cavità naturali in cui le onde battendo, risvegliavano risonanze simili ad ululati di cane. Omero nell’Odissea ci descrive Scilla come un mostro con sei teste e dodici piedi. La lotta di Odisseo e dei suoi compagni con la tempesta che sbatteva una volta la nave contro la roccia di Scilla e l’altra nel crudele vortice di Cariddi risvegliava terrore tra gli ascoltatori e rispetto per gli eroi. Così Scilla divenne simbolo di tutti i pericoli della navigazione e la lotta di Odisseo ogni eroismo umano sulle onde.
Molte sono le variazioni sulla leggenda di Scilla. Siedi su questa riva e permetti alle onde di lambire i tuoi piedi. Dà riposo ai tuoi pensieri, stanchi della filosofia del razionalismo e del materialismo storico. Il vecchio Sabino ti racconterà la favola:
«Era Scilla la bellissima figlia del fiumicello Crateia, scorrente poco lungi di qui. Glauco, l’azzurro, figlio di Antedone, invaghitosene, la sposò. Bellissimi, nudi entrambi, usavano bagnarsi ai piedi della enorme roccia. Risuonanti come appassionati istrumenti, le onde coprivano questa meravigliosa abitudine. Finché la Maga Circe, colei che mutava gli uomini in bestie e che personificava i più malvagi istinti dell’uomo, un giorno li scorse e si invaghì di Glauco. Respinta, invidiosa di tale coppia e di tanto amore avvelenò l’acqua ai piedi della roccia così che entrambi nel bagnarsi morirono. Gli Dei impietositi mutarono Scilla in ninfa bellissima, Glauco in Dio Marino».
Ma se tu preferisci puoi ancora scegliere un’altra versione:
«Glauco era figlio di un pescatore di Beozia. Notò una volta che il pesce tratto fuori dell’acqua avidamente addentava una certa erba della riva. Di colpo riprendeva forza e vigore e con un guizzo saltava nuovamente in acqua.
Al pescatore venne allora un’idea luminosa «Che avverrà all’uomo che assaggi una tale erba?».
Coraggioso, tentò l’esperienza. Di colpo anche egli guizzò in acqua, tramutato in Dio marino. Gli stessi Dei ammirarono molto questa trasformazione di Glauco, creatosi Dio. Questi fu con entusiasmo accolto da Oceano e Teti, da Poseidone ed Anfitrite, e Nereo gli offrì la sua amicizia ed il privilegio di divulgare i suoi oracoli. Nicandro ci dice che Apollo sia stato suo allievo e Virgilio assicura che la Sibilla Cumana sia stata sua figlia. E chi di noi non ha sempre ciecamente creduto in Virgilio?
Ricorderete ancora la nave Argo, della spedizione degli Argonauti. Ogni ragazzo tredicenne la sogna ancora oggi. Antichi specialisti ci assicurano ...

Table of contents

  1. Copertura
  2. Titolo Pagina
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione di Marta Petrusewicz
  6. L’anima della Calabria
  7. Prefazione
  8. Prologo
  9. 1. Lungo la riva di Ulisse e di Oreste
  10. 2. Sotto le stelle della Magna Grecia
  11. 3. In vista dell’Ionio
  12. 4. Tra bergamotti ed abeti
  13. 5. Epilogo