IV.
I signornò
IL VIAGGIO IN COMPAGNIA DI POLITICI E MALANDRINI è stato molto lungo e ci ha fatto incontrare una miriade di personaggi di vario spessore e importanza. Le collusioni, s’è visto, sono molteplici e tanti sono stati i voti dati dai mafiosi e a volte richiesti dagli stessi uomini politici.
È una storia imbarazzante e per nulla edificante per le classi dirigenti che non hanno voluto o saputo impedire che ciò avvenisse. Era inevitabile che ciò accadesse? Non c’erano alternative?
Chi ha letto le pagine precedenti può essere stato preso dall’avvilimento o dallo sconforto nell’apprendere quanto profondo sia il grado di compromissione e come esso abbia raggiunto luoghi inimmaginabili nelle regioni del Centro-Nord Italia e in località straniere.
Eppure, il rapporto tra politici e malandrini non si esaurisce qui. Finora si sono visti politici che hanno detto signorsì alle profferte degli ’ndranghetisti.
È oramai giunto il momento di far luce su tanti altri uomini politici calabresi – in modo particolare sindaci – che hanno avuto il coraggio di dire signornò, di respingere le profferte e di fare argine all’avanzata dei malandrini.
Molti non sanno che questi uomini si possono trovare nell’Ottocento declinante e all’alba del Novecento.
I sindaci di un lontano passato
L’Ottocento stava oramai per spirare e certo non dovette essere per niente facile per il sindaco di Cittanova trovare la forza, o il coraggio?, di testimoniare nel 1896 contro 12 imputati del suo comune. Non so se questo sia il primo caso d’un sindaco che testimoniò contro i malandrini del suo comune. Certo è il primo in cui io mi sia imbattuto.
Passarono pochi anni e si giunse al 21 luglio 1900 quando toccò al sindaco di Sitizzano trovare il coraggio per testimoniare contro 11 suoi concittadini che erano accusati di furti e di associazione a delinquere. Disse davanti ai giudici e guardando in faccia gli imputati che costoro erano non solo «persone di cattiva condotta», ma anche «diffamati per delitti contro la proprietà e le persone».
Due anni dopo sui banchi degli imputati fecero la loro apparizione ben 51 persone di Monteleone, Pernocari, Rombiolo, Mileto, Limbadi, Coccorino, Rizziconi, Calabrò, S. Costantino, Nicotera, Zaccanapoli, Mileto; tutti del vibonese mentre altri erano di Cittanova e di Anoia. Tra le prove raccolte ci furono i rapporti del sindaco di Rombiolo che si dichiarò impressionato «dalle continue delinquenze da cui la pubblica tranquillità [era] turbata e scossa», e le dichiarazioni dei sindaci di Filandari, di Mileto, di Nicotera e di Cinquefrondi «cui appartiene il villaggio di Anoia», tutti improvvisatisi testimoni per raccontare e dichiarare la pessima condotta dei loro cittadini imputati.
Il sindaco di Oppido fece sfoggio della sua cultura e richiamò il «triste ricordo dei bravi di don Rodrigo» nella sua testimonianza contro 32 imputati di quel comune oltre che di Tresilico e Messignadi. Nel 1901 il sindaco di Maropati avvertì «la necessità di affermare tutto il suo rigore per porre un argine a tanta delinquenza ed istituì apposite guardie municipali per vigilare sugli associati».
Un teste disse in processo: «se non ci fosse stata l’energia del sindaco Buda i picciotti ci avrebbero cacciati dalle nostre case». A seguito di quelle dichiarazioni il fratello del sindaco ebbe «lo stabilimento termominerale» danneggiato. Testimoniarono anche i sindaci di Galatro e Cinquefrondi. I 122 imputati erano di Maropati, Anoia, Cinquefrondi e Galatro.
Nell’estate del 1902 furono i sindaci di Sinopoli, S. Eufemia, Cosoleto e San Procopio a testimoniare contro 45 persone di quei comuni. Secondo il delegato di pubblica sicurezza Wengel l’associazione scoperta aveva come «capo sia pure onorario detto iniquo Musolino», il famoso bandito Giuseppe Musolino che scorazzava libero e imprendibile sull’Aspromonte protetto anche dalla ’ndrangheta oltre che dai montanari che erano affascinati da questo bel giovane che aveva osato ribellarsi contro la condanna che riteneva ingiusta e ora, braccato dalla forza pubblica, andava alla ricerca di una sua privata vendetta.
L’anno successivo fu il turno del sindaco di Palmi dichiarare di «cattiva condotta» tutti i 16 imputati del suo comune. Ancora nel 1903 Pasquale Mollica, sindaco di Africo, «attestò che la mala pianta della associazione non si poté mai sradicare da quei luoghi ove pose salde radici e che i furti e i danneggiamenti erano frequenti ed erano rimasti sempre impuniti perché non erano denunziati per tema di danni ulteriori». Depose anche il sindaco di Casalnuovo. I 45 imputati erano di Africo, Casalnuovo. S. Luca, S. Lorenzo, S. Stefano, Rocca Forte. Quattro di loro rispondevano anche di favoreggiamento della latitanza di Giuseppe Musolino.
A Mileto furono il sindaco e l’intera giunta, «fortemente impressionati dei molti reati» a esprimere le proprie «rimostranze verbali» al sotto prefetto sollecitando indagini per accertare quanto era accaduto. A Palmi toccò «al Baldari che pure rivestiva qualità di assessore comunale e quindi meritevole di ogni rispetto e credenza» testimoniare contro la picciotteria del suo paese dove accadevano «fatti di sangue nelle pubbliche piazze e nelle vie più popolose con tanta audacia da costringere gli onesti cittadini a tapparsi nelle loro case prima che annottasse».
Una folla di imputati
Storie minute e diverse, ma tutte accomunate dalla volontà di testimoniare e dal coraggio dei sindaci che non si piegano e non accettano le prepotenze, le illegalità, le violenze che avvengono nei territori da loro amministrati. Sono le prime manifestazioni di dissenso politico verso i malandrini.
Le proteste e le testimonianze dei sindaci avvenivano in anni nel corso dei quali la ’ndrangheta era in forte espansione e c’erano dei veri e propri maxiprocessi con centinaia e centinaia di imputati portati alla sbarra. Vere e proprie retate che coinvolgevano delinquenti incalliti e anche persone innocenti, tutti accomunati dalla volontà delle autorità di mostrare il volto truce e di rassicurare una popolazione sempre più preoccupata e insofferente.
Erano talmente numerosi gli imputati che i giudici furono costretti a giudicarli in sedi diverse non avendo un tribunale così grande da ospitare un numero esorbitante di persone. Una folla variopinta di imputati e di legali affollavano le aule di diversi tribunali.
I numeri, data l’epoca, erano davvero impressionanti. Nel 1892 furono rinviate a giudizio 219 persone che erano in gran parte di Palmi, Melicuccà, Sinopoli, Arena, Polistena, Rosarno, Bellantoni; il 7 dicembre 1899 la sezione di accusa prese in esame 317 imputati, tutti del circondario di Palmi. Nel 1900 davanti al tribunale di Palmi sfilò un numero ancor più rilevante, 500 uomini e giovanotti coinvolti in un’unica inchiesta.
A metà degli anni Settanta del Novecento
Questa progressione della ’ndrangheta rende ancor più significativa la resistenza dei sindaci che ha avuto modo di manifestarsi nel cors...