Nove
Non so quanto tempo passò. Quello che invece sapevo con certezza era che le erbe selvatiche di don Totò ebbero un effetto straordinario. Riuscii a muovere abbastanza bene le mani e le braccia. Recuperai lāuso delle gambe, anche se solo per pochi passi alla volta. Maria mi aiutava quando mi reggevo in piedi. Māincoraggiava se avevo paura di fare qualche movimento. Aveva una voce dolce e gentile e un sorriso che mi scaldava il cuore. Sembravo un cucciolo da latte che provava a mangiare sotto lāocchio vigile della madre. Il suo sguardo amorevole mi provocava strane sensazioni che non ricordavo di aver più provato da quando mia madre era morta. Sentivo dentro di me delle voragini rosa che sāaprivano. Era come un qualcosa di soffice che mi avvolgeva e mi rendeva felice. Ero felice! Quando incontravo i suoi occhi, era il sole che vedevo e la vita mi attraversava da parte a parte. Lei mi guardava ed io correvo dietro aquiloni sospinti dal vento. Nel suo sguardo cāera la luce di tutti i mattini del mondo. Osservavo lo splendore di tutte le albe e i tramonti. Sentivo il calore dei sorrisi, dei baci e delle carezze. Māimmergevo nel dolce far niente, nei giochi e nella tiepida aria della sera. Ogni sorsata di latte era mondo carico dāessenza: mandarino, melograno, castagna, ciliegia, frutti di bosco. Niente tristezza, nĆ© buio profondo. Solo luce, luce del mondo e degli occhi.
«Perché sei venuto fin qua?».
La sua domanda mi colpƬ e smisi di bere. Mi girai verso di lei. La guardai. Poi tornai a guardare la tazza. Potevo dirle che nella tasca dei pantaloni avevo un coltello?
Che volevo infilarlo nella pancia di don Totò? No, questo no. E cosāaltro avevo da dire? Nulla. Non potevo dire nulla.
«A che ti serviva il coltello che avevi in tasca?».
Alzai la testa di scatto. Allungai istintivamente la mano verso la tasca. Tastai. Niente. Il coltello non cāera più.
«Tu avevi qualche brutto proposito».
Le sue parole erano piane e dolci. Non cāera traccia di rimprovero.
«Che cosa pensavi di fare?».
Io la guardai per qualche istante senza pronunciare verbo. Le parole, allāimprovviso, sembravano essere svanite dalla mia testa. Farfugliai alla meglio le prime battute che riuscii a buttare fuori.
Ā«Avete ragione ā dissi io ā. Sono stato uno stupidoĀ».
Ci fu silenzio per un poco e ogni tanto mi veniva di chiudere gli occhi.
«Quanto tempo è che sono qui?».
«Quattro giorni. Nel primo periodo, la febbre non ti ha lasciato neanche un attimo. Straparlavi».
«Quattro giorni? à passato tutto questo tempo?».
Soltanto quattro giorni e a me sembravano unāeternitĆ .
Ā«Devo andare. Mio padre mi starĆ cercando. Sono un incosciente⦠Che cosa mi ero messo in testaā¦Ā».
Maria mi guardava e rimaneva in silenzio.
«Voglio tornare a casa. Mio padre non si rassegnerà se non mi vedrà ritornare».
«Beh, intanto prova a tirarti su».
Mi alzai. Mi ressi abbastanza bene sulle gambe. I dolori però si fecero nuovamente vivi. Mi girava un poco la testa. Lei mi tenne una mano e mi aiutò a stare dritto. Provai a fare qualche passo. Tremavo tutto. Cāera un poā di paura ma poco per volta passò.
Feci alcuni passi. Dapprima più incerti, poi più equilibrati.
Ā«Ecco ā dissi ā. Posso tornare a casaĀ».
«No. Ancora sei troppo debole. Devi aspettare».
«Aspettare? E quanto? Sicuramente mi staranno cercando».
«Ci vuole ancora qualche giorno».
«à troppo».
Mi sedetti. Avevo fatto qualche passo ed ero già stanco. Maria mi si avvicinò.
«Lo vedi? Devi metterti in forze se vuoi partire».
«Avete ragione. Mi sento le gambe molli».
Prese una scodella poggiata sopra un masso enorme.
«Tieni. à latte di capra».
Avevo fame. Afferrai la scodella con tutte e due le mani. Lei mi diede ancora un cucchiaio di legno e un pezzo di biscotto duro. Lo buttai dentro la scodella perchĆ© si ammorbidisse. Bevvi un poā di latte. Lei mi guardava mangiare e sembrava contenta. Cominciò a parlarmi di don Totò e della sua vita solitaria.
«Non parlava con nessuno. Camminava ore e ore senza fermarsi. Era bravo ad armare le trappole. Non aveva paura degli animali notturni».
«Neanche dei lupi?» dissi io con meraviglia.
«No. Lui però dormiva sugli alberi o nelle caverne».
«E non aveva paura del buio?».
«Era abituato a camminare di notte. Lui ci vedeva come se fosse giorno. Conosceva i suoni e i versi degli animali».
Lei parlava e io avevo lāimpressione di sentire una storia dāaltri tempi. Cāera qualcosa però che non mi convinceva.
«Perché è così cattivo? E perché ha cercato di uccidere mio padre?».
«Non è cattivo e non ha voluto uccidere tuo padre».
«Sì invece. Ha puntato il fucile anche contro Rosa!».
Ā«Era solo unāazione dimostrativa. Quando sparò la prima volta, ha colpito dove ha volutoĀ».
«Mio padre ha rischiato di morire».
«Lo so».
Non parlammo per un poco. Mi sembrava una donna che soffriva. Prendeva le difese del brigante. PerchƩ? Se lui era cattivo e malvagio, perchƩ lo difendeva?
«Io gli voglio bene».
ChissĆ come, lei stava rispondendo alle mie domande. Era incredibile. Era come se mi leggesse nel pensiero. Proprio come mia madre. Uguale.
«Lui ha solo me. Quando io morirò, lui diventerà un albero, una pietra, un colpo di vento».
«Che vuol dire?».
«Che senza di me si sente perso».
«Lui? Col suo fucile?».
Ā«Non ĆØ debolezza. Ć unāaltra cosaĀ».
Non capivo le sue parole, ma non māimportava. Lei mi stava guarendo. E non solo nel corpo. Stava nascendo dentro di me qualcosa di strano, che non capivo.
Tutte le cose, che un attimo prima avevo considerato importanti, cedevano il passo. Mio padre, la strada, le discussioni, le corse con gli amici, era tutto sotterrato. I discorsi con lo spaccapietre, gli scherzi di Caterina o i sorrisi di Teresa erano mondi remoti, sopraffatt...