Le macchie sulla toga
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Le macchie sulla toga

Psicologia dell'avvocato

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Le macchie sulla toga

Psicologia dell'avvocato

About this book

Nel corso del ventennio fascista l'abituale immagine dell'avvocatura priva di ogni nobiltà d'arte si riveste di una connotazione politica, sicché diventa prioritario ridimensionarne il valore e comprimerne il significato all'interno delle complesse dinamiche giuridiche. Lo scopo è perseguito attraverso una sostanziale attività di controllo, che culmina nell'imposizione di regole procedurali e di schemi fissi comportamentali. L'avvocatura risponde a questi attacchi mediante l'avvio di un processo di autoregolamentazione, indirizzato alla formulazione di un complesso di principi deontologici. La configurazione di regole e modelli comportamentali è attuata con il contributo della riedizione dei più importanti galatei ottocenteschi e la pubblicazione delle difese degli avvocati più rinomati, ma anche con la realizzazione di diversi manuali di argomento deontologico. Uno dei più noti e diffusi è il testo che qui si riproduce, Le macchie sulla toga. Psicologia dell'avvocato, di Genuzio Bentini, che ha il merito di definire i caratteri peculiari, tecnici e spirituali, necessari per l'individuazione di un modello di avvocato penalista. Scava nella profondità dei pensieri e dei sentimenti dell'avvocato e offre un'interpretazione del modo di intendere la professione forense e di affrontare le fasi più emblematiche del suo materiale dispiegarsi.

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Information

Morfologia dell’avvocato

È nella vita che ci cammina al fianco, e sui piedi talvolta, che parla alla nostra disattenzione, che ci afferra per la nostra indifferenza, e dalla vita che io li colgo e li fisso in queste pagine. È la psicologia sperimentale che viene dopo la psicologia professionale. È la tesi che vive; sono tipi di carne ai quali ciascuno di noi può dare un nome e legare un ricordo. Chi non le conobbe – può darsi, trattandosi di figure di chiasso e di spicco che s’impongono, acqueforti che l’acido incide sul rame? – le riconoscerà in questi tratti di scorcio. Io socchiudo gli occhi e li vedo; si sono appena allontanati da me e stanno forse per riaccostarsi, tipi e voci di famiglia, in un piccolo mondo di subbuglio e di clamore. E potrei chiamarli per nome ad occhi chiusi del tutto. Sono le varietà della specie e ne accentuano i caratteri per individuarla più profondamente e più apertamente. Stanno fra il proverbio e la macchietta, ai bordi della uniformità punteggiata e variegata. Hanno il volto della loro anima, ombra di cipiglio, chiarore di serenità, fiamma viva di rissa.
Azzeccagarbugli, la manzoniana antonomasia non basta più, è semi-muta, a dire tutto il groviglio e tutto l’intreccio della varietà. La vita ha camminato dalla placida e profonda filosofia del romanzo, e non s’arresta. Vive nelle pagine la sua vita letteraria, e non s’incontra che in sembianze e sotto spoglie che la travisano e la camuffano. Ben altre forme, ben altri modi, assume e si dà l’innumere e complicata discendenza. Io le rievoco ed esse passano e ripassano, presenti all’appello.
L’INCETTATORE. È all’ultimo gradino, non può discendere perché tocca il fondo. Più giù c’è il livello col cliente, con l’ultimo dei suoi clienti. Non fa pensare all’Azzeccagarbugli ma al monatto che trinca sul povero carname in isfacelo. È manzoniano soltanto per questo. È lui che ha incanagliato la professione. Il giorno in cui comparve e prese posto alla sbarra, fu un baccano di mercato e di senseria. E la toga si ripiegò, come la bandiera della sconfitta. Chi ce ne libera o ci farà respirare? Il male si è che non lo si combatte che adattandosi e imitandolo. E così il costume precipita e affonda sempre più in basso. Chi sfollerà gli ambulacri dalle tristi figure all’agguato delle anime in pena? Chi libererà la via tra la scelta e il merito? Chi spezzerà il giogo sotto il quale deve incurvarsi e inchinarsi la gioventù ai primi passi? La caccia per le strade, per le case, alle porte dei tribunali, al dolore e alla sventura, offende, disonora una civiltà, che ha un palpito anche per le bestie e che conosce i divieti e le bandite!
Si uccellano pubblicamente e impunemente gli uomini e la loro imbecillità. O si pensa che l’imbecillità degli uomini è più inesauribile che quella delle bestie, e che si può usarne e abusarne? E lo penso anch’io; ma intanto si discute e si legifera per migliorare una professione che è tanta parte della vita, senza avere il coraggio di mettere il dito sulla piaga. E la piaga è l’incetta, che vive e si alimenta della poltroneria e della vigliaccheria dei più, che chiudono un occhio, per fingere di non vederla, e che arrivano a chiuderli tutti e due per non gridare al ladro allorché li spoglia e li spela. Quando il delitto piomba su di una casa, inondandola di sangue e di pianto, l’incettatore piomba sul delitto. È il ladro del ladro. Il morto è ancora caldo, c’è per la stanza e per la casa il disordine che il delitto stampa sul suo passaggio, si piange ed ecco che spunta e si fa innanzi l’incettatore, dopo del funzionario e prima delle pompe funebri!
Spunta o manda, i biglietti amorosi, epistolario del bordello professionale, con cui si offre, e il picchetto dei bracchi da fermo che tiene al guinzaglio, rifiuti della vita che egli raccatta alla porta di tutti i mestieri, alla porta del carcere sopratutto, e una vasta e varia progenie di concussionisti e di peculatori, di infedeli, guardie carcerarie, funzionari di P.S. e di cancelleria, pseudo giornalisti che si rotolano nel fango. Si dice che la tal guardia o il tal funzionario lavorano per il tal avvocato, così, semplicemente e pubblicamente. Basterebbe un colpo per smarcire, ma chi dà mano al bisturi?
Ci sono dei momenti in cui le case come le anime si aprono a tutti, allorché le percuote la sventura, il delitto sopratutto, che nella parte che duole e nella parte che fa dolere, nell’oggetto e nel soggetto, sorprende e smarrisce anche gl’imperterriti e gli sperimentati della vita. Ed è allora che l’incetta, che spia e che fiuta, s’inoltra e fa la sua comparsa. E un nome sussurrato in carcere da colui che divide il pane nero e il duro giaciglio, da colui che invigila e fa la guardia al sepolto vivo, padrone del suo tempo, di tutta la sua vita, chissà quale sussulto di speranza non ridesta nelle anime che si struggono. Un nome, che è poi quello del guastamestieri, che ha il Giudice Istruttore in una tasca, il Procuratore del Re nell’altra, e sotto il cappello il Ministro, puntando e battendo nel suo giuoco stupido e scellerato la carta di uomini al disopra del sospetto, integerrimi, e che non si immaginano di far da tentacolo al polipo in risucchio. Al delinquente celebre, che ha da dare un barbaglio del sangue che lo macchia a tutti i pezzenti di reclame, si affacciano e occhieggiano tra l’inferriata le seduzioni più lusinghiere, dal mazzo di fiori al pranzo più succulento, alla parola della solidarietà. Anche questa! Io che ho un cuore per intendervi, io che sono nato nella vostra terra, io che conosco la vostra famiglia... È la secreta letteratura che gli fiorisce nel chiuso del carcere. Ad una mia cliente, protagonista di un dramma d’amore, fioccarono le proposte di matrimonio e le fotografie con dedica! Il delitto è la ventata che solleva il polverio della vita. Si dirà: È un varco troppo angusto, è una volta troppo bassa, d’accordo, ci si lacera e ci si curva al suo contatto; ma dite voi il passaggio meno incomodo ed affliggente, per cui deve inoltrarsi e procedere la giovinezza che reclama il suo posto e che ha il bisogno della sua meta. Si sbarca a Milano, per esempio, gocce d’acqua nel mare, ignorati e sconosciuti; dite voi come si fa a infilare la strada del tribunale, tra la ressa dei preoccupanti che l’ingombra. Si ha da aspettare il cliente che non viene? Che vi troverà morto di fame su di un libro aperto? Con la visione degli altri che camminano e che arrivano? Si monta sulle spalle del primo che capita, per farsi vedere e si grida a squarciagola il proprio nome, per farsi conoscere. È una necessità che costringe e che aspreggia anche i più indomiti e animosi. E sia. Ma il punto di partenza si proietta dietro l’uomo che si inoltra e non lo lascia più. Chi passò sotto le forche non potrà mai liberarsi dalle loro ombre. Chi nasce paglietta a Napoli o bru-bru a Milano, non aspiri ai grandi voli. Egli pensa di scrollarsi di dosso le pillacchere, il giorno del suo meriggio, di dare un calcio alle grucce e alle dande, il giorno in cui camminerà da sé. Errore! Chi nasce paglietta o bru-bru è destinato a diventare il gran paglietta o il gran bru-bru. È un caso che l’uomo si derima del tutto dalle sue origini. Può arrivare ad una meta di luce ma il punto di partenza gli farà ombra alle spalle. È la professione che si vendica del mestiere. Ci pensino i giovani, che hanno tutto l’avvenire per aspettare la loro giornata.
L’INCIDENTISTA – Ha due facce, due anime, due linguaggi. C’è l’incidentista chiuso in se stesso con aria di mistero, come una vivente sorpresa che si contenga e si misuri nell’attesa di rompere l’involucro e di fare in pezzi i suggelli, figura di riposo e di silenzio e c’è l’incidentista tutto strepito e arruffio. L’incidentista meccanico e l’incidentista concettuale. Allorché entrano e occupano il loro posto, l’uno sogguarda, con un lampo di malizia, e par che dica: «Un po’ di pazienza, signori!». E l’altro sfida e lancia fiamme, e par che dica: «Sono qua io!». L’uno è stoffa di stratega e l’altro di soldato. E stanno l’uno dirimpetto all’altro in atteggiamento di disistima e d’insofferenza. Uno dice: – È un ciarlatano! – E l’altro: – È un acchiappa-nuvole. L’incidentista è l’uomo della glossa, ha la passione pallida e la collera fredda del sofisma e del cavillo. Il fatto lo lascia del tutto indifferente. È appena il traliccio della tessitura che vive e si colora nella sdegnosa solitudine del suo spirito. È capace di accendersi e di esplodere per una macchia d’inchiostro o per una piega su di un foglio, ma la causa può fremere, sussultare, prorompere dalla sua umanità con accenti di strazio, senza scuoterlo e scomporlo. Egli ha l’occhio e la mente alle forme, al loro giuoco d’eccellenza, ch’egli accarezza con mano adusata e scaltrita. È il bulinista che scava col ferro ad ugna del suo ingegno tutte le pagine del processo. Vede quello che gli altri non vedono nel bianco del margine e nelle ombre delle abrasioni, vede anche il poco e il nulla, l’impercettibile, ed è lui che talvolta fa scivolare e rotolare la causa su di una buccia d’arancio. È un roditore dal morso morbido ma aguzzo e tagliente. Il penalista prende in mano il processo, lo sfoglia, lo scruta e si domanda: E il punto per passare dov’è, la via d’uscita? L’incidentista no, cerca il pelo nell’uovo, per attaccarvi con un miracolo d’equilibrio l’uomo in pericolo e la situazione che minaccia. Possiede i ferri del mestiere e li maneggia alla perfezione, e la dottrina e la giurisprudenza non hanno secreti per lui. Se tacciono, le fa parlare lui, perché è anche creatore oltre che glossatore. Se avesse al suo servizio una parola docile e ornata, sarebbe l’ideale. È più a posto in Corte che in Assise, perché l’incidente passa sul giurato, lo sfiora e non lo penetra. I giudici e i colleghi lo tengono d’occhio e lo sorvegliano, pare ad essi che da un momento all’altro, debba saltar fuori dalla sua manica la carta migliore del mazzo, quella che vince il giuoco. Ha il difetto della sua virtù, e darebbe la causa per una nullità, da scavare e da mostrare fra l’attonita e desolata meraviglia di tutti. Egli lo sa, ed ha negli occhi il lampo felino di un gatto in caccia. Aborre dalla teatralità, e il colpo di scena di cui si compiace è un numero, secco e breve, impensato od obliato. Articolo tale, articolo tal altro! E si sente il rumore di uno schianto. È la causa che cade e si frantuma, son volumi d’istruttoria, ore di discussione, per n...

Table of contents

  1. Cover
  2. Sinossi
  3. Profilo biografico dell'autore
  4. Indicazione di collana
  5. Colophon
  6. Introduzione
  7. L’avvocatura
  8. Psicologia dell’avvocato
  9. Professione dell’avvocato
  10. Psicologia professionale
  11. Morfologia dell’avvocato
  12. La preparazione
  13. Il posto nel mondo
  14. Avvocati d’Italia
  15. Note
  16. Nella stessa collana