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Alla ricerca di una «scienza politica nuova»
Liberalismo e democrazia nel pensiero di Alexis de Tocqueville
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Alla ricerca di una «scienza politica nuova»
Liberalismo e democrazia nel pensiero di Alexis de Tocqueville
About this book
Il volume ricostruisce i tratti fondamentali del pensiero di Alexis de Tocqueville, la cui vita politica e intellettuale ruota intorno all'intuizione che la storia della modernità coincide con il movimento della società verso l'eguaglianza delle condizioni, cioè con la transizione dalla civiltà aristocratica alla civiltà democratica, ancora incerta e in divenire, fondata sullo "stato sociale democratico". In questa ricostruzione assume un rilievo centrale il rapporto tra liberalismo e democrazia. Per Tocqueville, se l'eguaglianza è un fatto, la libertà è il valore assoluto, e il compito dei liberali è quello di dare all'ineluttabile processo di democratizzazione quelle forme istituzionali che garantiscano a tutti la libertà.
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Information
1. Un «libéral d’une espèce nouvelle»
Tocqueville is a writer who should be read not in abridgement, but wholly; for every sentence has significance, every observation sagacity. […] Some people besides professors still read Tocqueville. They ought to, because he was the best friend democracy ever has had, and democracy’s most candid and judicious critic1.
RUSSELL KIRK
Il est difficile d’être l’ami de la démocratie; il est nécessaire d’être l’ami de la démocratie: tel est l’enseignement de Tocqueville. Il est difficile d’être l’ami de la démocratie parce que le dogme démocratique est destructeur des contenus moraux qui constituent la spécificité et donc la grandeur humaines. Il est nécessaire d’être l’ami de la démocratie parce que c’est à cette seule condition qu’il est possible de préserver, sous le dogme démocratique, au moins des reflets ou des analogies, et parfois ou souvent selon la vertu des hommes, la réalité de ces contenus moraux. […] Pour aimer bien la démocratie, il faut l’aimer modérément2.
PIERRE MANENT
Dans ce siècle, où les destinées du monde chrétien paraissent en suspens, les uns se hâtent d’attaquer la démocratie comme une puissance ennemie, tandis qu’elle grandit encore: les autres adorent déjà en elle un dieu nouveau qui sort du néant; mais les uns et les autres ne connaissent qu’imparfaitement l’objet de leur haine ou de leur désir; ils se combattent dans les ténèbres et ne frappent qu’au hasard3.
ALEXIS DE TOCQUEVILLE
Uno dei temi su cui si è soffermato il dibattito critico in merito all’opera di Tocqueville è costituito dal senso preciso in cui l’autore della Democrazia in America può essere ascritto al filone del pensiero liberale. Mentre una consolidata tradizione interpretativa colloca decisamente la filosofia politica di Tocqueville nell’alveo del liberalismo4, alcuni studiosi hanno contestato in modo più o meno esplicito la sua appartenenza a esso. In un saggio famoso, che rappresenta il tentativo più ambizioso di rileggere Tocqueville alla luce di Rousseau, Wilhelm Hennis – ad esempio – ha sottolineato come il pensatore francese sia stato spesso inserito in una «falsa genealogia» (il riferimento è a Montesquieu), affermando che tutta la riflessione tocquevilliana ruota intorno al tema classico della scissione tra pubblico e privato e, in particolare, al problema etico di un universo in cui l’affermazione dell’eguaglianza delle condizioni ha spezzato i legami comunitari5. Hennis arriva a sostenere che Tocqueville, come Rousseau, non è un pensatore liberale o, se proprio si vuole usare tale appellativo, è un liberale sui generis: «A loro non interessa mai l’ordine statale nel senso del liberalismo borghese, cioè in vista della salvaguardia della libertà individuale»; entrambi concettualizzano una nozione di «libertà attiva, consacrata all’ordine sociale e politico, costantemente richiesta da questo, la libertà del citoyen […] non quella del borghese»6.
Il rapporto tra Rousseau e l’autore della Democrazia in America è stato anche al centro di una rilettura in chiave repubblicana dell’opera di Tocqueville, che si inserisce in un più ampio tentativo di ripensare la storia delle idee politiche, mettendo in evidenza le differenze, e in molti casi sottolineando l’incompatibilità, tra il paradigma liberale, fondato sui diritti individuali e su una concezione negativa della libertà, e il paradigma repubblicano, che enfatizza il ruolo della comunità e i valori della cittadinanza e del bene comune7. Jean-Fabien Spitz, ad esempio, ha affermato che Tocqueville deve essere considerato l’ultimo superstite della tradizione repubblicana scomparsa con la Rivoluzione francese, a cui è capitato in sorte «lo strano destino […] di trovarsi arruolato tra i cantori del liberalismo costituzionalista», lui che aveva affermato in modo esplicito il primato dei mores sul diritto e sull’ingegneria istituzionale8. E Agnès Antoine, polemizzando con l’interpretazione legata al nome di Raymond Aron e sottolineando il legame strettissimo tra la filosofia politica di Rousseau e la riflessione tocquevilliana, ha sottolineato che «il linguaggio politico di Tocqueville è attraversato, come testimonia la sua sensibilità verso la virtù degli antichi, dai temi fondamentali e dall’etica generale del repubblicanesimo, con la sua preoccupazione per l’autonomia dell’essere umano, la sua convinzione che solo la virtù politica consenta di raggiungerla in modo autentico, il suo accento sul primato dei costumi, sulla necessità di una educazione morale e sull’utilità della religione, il suo timore nei confronti della corruzione del corpo politico». Prendere sul serio la definizione che l’autore della Democrazia in America dava di se stesso – «un liberale di una specie nuova» – significa pertanto riscoprire in Tocqueville uno degli ultimi esponenti di quella tradizione filosofica che, dopo il Rinascimento, aveva cercato di riattualizzare l’idea aristotelica secondo cui la politica costituisce l’essenza della vita umana e l’uomo si risolve senza residui nel cittadino, rifiutando quelle interpretazioni che, nel sottovalutare o nell’ignorare tale connessione, hanno finito col presentarlo come «le théoricien avéré de l’idéologie libérale»9.
Anche Roger Boesche ha mostrato alcune perplessità in merito al liberalismo di Tocqueville, come testimonia la formula da lui coniata per definire la posizione ideologica del pensatore francese. A giudizio dello studioso americano, il liberalismo di Tocqueville è uno «strange liberalism», che utilizza categorie mutuate da autori molto diversi tra loro e che su alcune questioni decisive, come ad esempio il valore della privacy, si discosta sensibilmente dall’impostazione di Constant o di Guizot, per avvicinarsi a una concezione della politica il cui referente classico è Aristotele. Da un lato Tocqueville, in perfetta sintonia con la tradizione liberale, e in particolare con Montesquieu, teme la concentrazione dei poteri e difende con passione i diritti degli individui – compreso il diritto di proprietà – nei confronti dello Stato, il governo limitato e il sistema di garanzie volto a proteggere la libertà dei cittadini dagli abusi del potere. Dall’altro, ingloba all’interno del suo pensiero tematiche che rappresentano una deviazione più o meno esplicita dai canoni del liberalismo classico: il timore per il dissolvimento dei legami sociali tradizionali, al centro delle preoccupazioni di reazionari come de Maistre e de Bonald e non estraneo a radicali come Fourier e Comte; l’avversione nei confronti delle classi medie e della società commerciale tipica di conservatori come Chateaubriand e Balzac; la denuncia delle miserie e dello squallore causate dalla Rivoluzione industriale in termini non molto dissimili da quelli di Marx ed Engels; il disprezzo per una politica fondata sul self-interest e la preferenza per una politica legata all’idea di virtù e alla ricerca della gloria nazionale; l’utilità della religione come strumento di autodisciplina, secondo la lezione di pensatori come Bossuet e Fénelon. Per Boesche siamo liberi di definire Tocqueville liberale, ma a patto di essere consapevoli che il suo pensiero è «una strana mescolanza del “liberalismo” di Constant, del “conservatorismo” di Chateaubriand e del pensiero radicale, “democratico”, di Rousseau»10.
C’è anche chi ha esplicitamente parlato di un «Tocqueville illiberale». A giudizio di Edward Banfield, ciò che impedirebbe di inserire l’autore della Democrazia in America nell’ambito della tradizione liberale è la tesi, presente nella riflessione tocquevilliana, secondo la quale solo cittadini virtuosi sono in grado di produrre una «società buona» e gli uomini possono essere resi tali soltanto se esiste «qualche autorità che li educa e li guida dall’alto». Questa impostazione si allontana drasticamente non solo dalla dottrina di Smith e di Mandeville, secondo la quale il benessere sociale è in larga misura il prodotto di azioni non intenzionali, ma anche da quella dei Padri fondatori della repubblica americana. A differenza di Tocqueville, coloro che avevano redatto la costituzione di Filadelfia ritenevano che non fosse possibile modificare la natura umana e che pertanto, più realisticamente, ci si dovesse limitare a escogitare opportuni meccanismi istituzionali per fare in modo che il perseguimento della felicità fungesse da antidoto a passioni ben più pericolose per l’ordine sociale e politico11.
Interpretazioni di questo tipo corrono talvolta il rischio di scivolare sul piano inclinato che sfocia nell’unilateralismo, mostrandosi incapaci di afferrare l’originalità e la modernità del pensiero politico di Tocqueville. Invece di assolutizzare l’ispirazione «classica» o l’insofferenza per i valori della società borghese, temi che pure sono presenti nell’autore della Democrazia in America, occorre riprendere quella tradizione di studi che ha individuato in quest’opera un testo fondamentale del pensiero liberaldemocratico moderno, in cui per la prima volta viene messo a fuoco il trade-off tra libertà ed eguaglianza con l’intento di ricercare le soluzioni al problema della loro difficile coesistenza.
In questo lavoro mi propongo di mostrare come Tocqueville cerchi di individuare, a tal fine, un percorso realistico tra le varie correnti ideologiche che caratterizzano il pensiero politico dell’Ottocento: il pensiero reazionario e conservatore, la tradizione democratica di matrice illuministica, il liberalismo dell’epoca della Restaurazione. Tale percorso, in cui argomentazioni appartenenti a queste diverse tradizioni di pensiero vengono di volta in volta utilizzate l’una contro l’altra, produce un liberalismo di tipo nuovo, cioè una sintesi originale e unica che non può essere confusa con uno sterile eclettismo o una semplice giustapposizione di concetti e di idee. Attraverso tale ricostruzione diviene possibile rispondere a una domanda ricorrente che si pone allo studioso del pensiero di Tocqueville, ovvero se sia possibile rintracciare, al di là delle contraddizioni che pure esistono, un filo conduttore che consenta di pervenire a una interpretazione unitaria della sua opera.
1. TRA RIFIUTO DEL CONSERVATORISMO POLITICO E ACCETTAZIONE RAZIONALE DELLA DEMOCRAZIA
Tocqueville critica esplicitamente la posizione rigidamente antiegualitaria, legata al rifiuto dell’eredità illuministica sul piano intellettuale e della Rivoluzione francese su quello politico, che accomunava correnti di pensiero molto diverse tra loro: dalle dottrine reazionarie di de Maistre e de Bonald a quelle che avevano recepito esclusivamente in chiave tradizionalista e antiliberale il pensiero di Burke. L’argomento che Tocqueville oppone con insistenza a queste tesi si fonda su una distinzione analitica fondamentale, quella tra democrazia come assetto sociale [état social] e democrazia come sistema politico. Il primo a cogliere l’importanza di questa distinzione, che costituisce una vera e propria chiave di lettura dell’opera del pensatore francese, è stato John Stuart Mill. Nella sua recensione al secondo volume della Democrazia in America il filosofo inglese osservava che con il termine «democrazia Tocqueville non intende, in genere, uno specifico tipo di governo. […] Per democrazia [egli] intende eguaglianza delle condizioni, e l’assenza totale dell’aristocrazia, sia essa costituita da privilegi politici o dalla superiorità conferita dall’importanza e dal potere sociale». Per poi concludere che, nelle istituzioni democratiche, «Tocqueville non vede un aggravamento dei più seri mali tipici di una condizione democratica della società, ma piuttosto un loro correttivo»12.
Anche se dal punto di vista empirico è difficile stabilire una netta linea di confine tra le due accezioni, dato che è probabile che a una condizione di progressiva eguaglianza sociale tendano a corrispondere istituzioni basate sul principio dell’eguaglianza politica13, il significato essenziale di questa distinzione consiste nel fatto che l’avvento dell’assetto sociale egualitario ha tutte le caratteristiche, per usare un’espressione dello stesso Tocqueville, di una «rivoluzione irresistibile». Non è casuale che egli definisca l’affermazione dell’eguaglianza delle condizioni, quasi a sottolinearne polemicamente il carattere inevitabile, «un fatto provvidenziale», cioè un fatto che ha della Provvidenza «i caratteri essenziali: è universale, duraturo, si sottrae ogni giorno alla potenza dell’uomo; tutti gli avvenimenti, come anche tutti gli uomini, ne favoriscono lo sviluppo» [DA intr., 19].
L’ostilità nei confronti della democrazia tout court era pertanto destinata a generare una polemica sterile perché, confondendo eguaglianza delle condizioni e democrazia politica, precludeva la possibilità di identificare i potenziali rimedi alle conseguenze negative prodotte dall’assetto sociale democratico: «Molta gente in Francia considera l’eguaglianza come il primo male e la libertà politica come il secondo. Quando sono obbligati a subire l’una, si sforzano ...
Table of contents
- Alla ricerca di una «scienza politica nuova»
- Colophon
- Indice
- Note e abbreviazioni
- Introduzione
- 1. Un «libéral d’une espèce nouvelle»
- 2. Democrazia e potere giudiziario
- 3. «Tirannia della maggioranza» o «fatalismo della moltitudine»? Tocqueville e Bryce a confronto
- 4. Religione e democrazia