Fugaci ritratti
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Fugaci ritratti

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Questo libro raccoglie diversi articoli pubblicati su riviste e quotidiani; trattano di mitologia, letteratura, filosofia, storia, costume, attualità, tematiche curate con passione dall'autore, lettore assiduo di molteplici quotidiani e di tantissimi volumi. Sono stati apprezzati da un notevole pubblico, attraverso i social, che ha reclamato un vero e proprio libro.

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La Milano da bere e la rivoluzione dei magistrati

«La tragica condizione degli italiani è la mancanza di un senso austero della dignità, una coscienza severa di ossequio alle leggi e alla libertà».
Piero Gobetti
Agli inizi degli anni ’90 un lancio pubblicitario descriveva la capitale morale dell’Italia, Milano, come “Milano da bere”. Musica più calzante non poteva essere che quella dei Weather Report: fu scelto il brano Birdland che suggeriva un ritmo danzante, veloce.
Lo slogan accompagnava le immagini della giornata milanese, una città che «rinasce ogni mattina, pulsa come un cuore; Milano è positiva, ottimista, efficiente; Milano è da vivere, sognare e godere», mostrata secondo la tecnica dei fotogrammi accelerati, chiudendosi con il claim “Milano da bere”.
Era la descrizione del rampantismo diffuso, dell’arrivismo semplificatorio, di yuppes, di “nani e ballerine” che popolavano e frequentavano i migliori salotti della città.
Si apprezzava nella scala sociale solo chi aveva un opulento conto in banca, chi aveva amicizie con manager di aziende o membri di consigli di amministrazione, che al lavoro sodo preferivano gli happy hours, con cene fredde e succulente consumate in bar e ritrovi. Imperavano imponenti e raffinatissime sfilate di moda: chi veniva invitato era segno che contava nell’ambiente, a chi era negato l’accesso vuol dire che la carriera non era stata foriera di successi.
Ma quello spot fu preveggente e profetico anche per una diversa ragione: con esso si conferiva la chiara percezione di una città che viveva al di sopra dei suoi mezzi: quella era una ricchezza montata, fittizia, non risultato di una concreta economia reale, produttiva e saliente sul piano reddituale.
Si celava un surplus frutto di imbroglio, adamantinamente truffaldino. Si dava la raffigurazione della gradassa ma decadente vita culturale di una città pregna solo di futilitas: si spillavano quattrini da incarichi e prebende della pubblica amministrazione, nella quale erano collocati, funzionari di accatto, lenoni dell’ultima ora, che vivevano e si nutrivano alla greppia di altre fonti di danaro, denominate tangenti.
Tutti i partiti dell’allora arco costituzionale (al di fuori vi era solo il Movimento sociale e forze di estrema sinistra: la Lega, di converso, vi partecipò), in una logica di lottizzazione scientifica, erano ammessi al tavolo della spartizione, secondo percentuali precise e mai contestate, in un chiaro assetto di associazione a delinquere e di correità criminale, che durava da anni con il silenzio omertoso dei beneficiari.
Fu in questo contesto che il magistrato Antonio Di Pietro arrestò in flagranza di reato Mario Chiesa.
Così racconta l’inizio di Tangentopoli (così denominata dal notista di «la Repubblica» Piero Colaprico), Indro Montanelli nella sua Storia di Italia:
il pomeriggio del 17 febbraio 1992 – la giornata invernale era limpida; Chiesa ricevette nel suo elegante studio un modesto imprenditore, Luigi Magni, la cui impresa assicurava la pulizia del Pio Albergo Trivulzio.
«Ecco i soldi ingegnere», serafico disse il Magni.
«Solo 7 milioni?», replicò con sicumera mista a tracotanza Chiesa.
«Sì, non ho potuto mettere insieme la cifra intera, soprattutto così, in contanti».
«L’accordo però era…».
«Lo so, ingegnere, lo so. Porterò senz’altro gli altri 7 milioni».
Chiesa è in piedi, dietro la pesante scrivania in noce. Prende in mano 70 pezzi da 100 mila lire, apre un cassetto della scrivania e li butta dentro lestamente. Magni cerca di farlo parlare. Ha una valigetta con una microtelecamera e sul risvolto della giacca una potente microspia.
Dopo qualche minuto la porta dell’ufficio di Mario Chiesa si spalanca. Entrano il dottor Antonio Di Pietro, uno dei sostituti alla Procura di Milano, il capitano dei carabinieri Roberto Zuliani, che comanda il gruppo di investigatori del Nucleo-operativo e altri tre militari dell’Arma in borghese. Quando Chiesa dirà «questi sette milioni sono miei», Di Pietro risponderà «no quelli sono soldi nostri».
Chiesa, prima di essere scoperto in flagranza, aveva intascato poco prima un’altra tangente di 37 milioni di lire che furono riversati dal medesimo nella tazza del water del suo ufficio: si rivolse a Di Pietro, piombato nella sua stanza, implorando di andare un momento in bagno: lo fece per liberarsi delle somme incassate poc’anzi e nascoste nella giacca.
Montanelli scrive:
sette milioni furono il sassolino che formò la valanga di Mani pulite: portarono alla ribalta non episodi isolati di corruzione, ma un sistema efficiente e generalizzato di riscossione di un tributo illegale – per i metodi e fini spregevole – da applicarsi su ogni concessione, transazione nella quale il pubblico fosse parte in causa.
I partiti ed i loro emissari lucravano su tutto: sugli appalti, sui progetti, sui permessi, che per un’opera dovevano volta a volta essere concessi, sulle forniture, sull’approvazione di una determinate legge, su tutto ciò che comportava o facilitasse un flusso di denaro. Nessuno che avesse occhi per vedere poteva non essersi accorto di quanta sproporzione vi fosse tra le somme che i partiti raccoglievano con il finanziamento pubblico o con il tesseramento e le somme che venivano profuse per campagne elettorali, sedi e funzionari. E chiunque avesse occhi per vedere si rendeva conto di quanto il tenore di vita privato dei boiardi contrastasse con le loro dichiarazioni dei redditi, con i loro introiti palesi. Ma l’Italia era parsa a lungo un paese di ciechi, davanti ai quali potevano essere impunemente perpetrati i peggiori inganni1.
Gherardo Colombo, altro magistrato protagonista del pool, nel libro Lettera ad un figlio su Mani Pulite ritiene che il tentativo di scoperchiare il vaso di Pandora già fosse stato fatto, quando lui, insieme al giudice Turone scoprirono gli elenchi della loggia massonica P2 di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi e in quelle carte rinvenirono anche il riferimento al Conto protezione depositato in Svizzera e contenente laute somme a disposizione del Partito socialista italiano.
Scrive Colombo:
Il 17 marzo 1981, Giuliano Turone e io, allora in servizio all’ufficio istruzione del tribunale di Milano, scopriamo a Castiglion Fibocchi, vicino ad Arezzo, le carte della P2. La P2 – sigla di Propaganda 2 – era una loggia massonica segreta che riuniva, in una sorta di rete di potere occulto e parallelo, tanti nomi tra i più importanti del Paese: ministri, parlamentari, capi dei servizi segreti civili e militari, questori, prefetti, magistrati, ufficiali dell’esercito, generali dei carabinieri e della Guardia di finanza. E ancora giornalisti, editori, imprenditori. Al vertice c’era Licio Gelli, il grande «burattinaio». Viene alla luce un mondo sommerso che si regge su regole proprie, diverse da quelle che normano la vita di tutti e che interferisce pesantemente con l’attività delle istituzioni. La notizia è sconvolgente e, quando il caso esplode, i politici coinvolti non si capacitano di non sapere da dove provenga un attacco così diretto alla loro inviolabilità. Chi sono questi giudici che osano sfidarli? A chi rispondono? Chi li ha mandati? La nostra indipendenza li spiazza, non sanno con chi trattare. Noi ci muoviamo con grande cautela, tra mille ostacoli, documentando e formalizzando ogni nostro passo e guardandoci continuamente le spalle […]. Tra le carte della P2 troviamo un fogliettino che riporta l’indicazione di un conto corrente presso una banca svizzera, il «Conto Protezione», collegandolo all’onorevole socialista Claudio Martelli; su un altro foglio si trova l’indicazione di versamenti per sette milioni di dollari a favore dell’onorevole Craxi, all’epoca numero uno del Partito socialista2.
L’inchiesta non fu portata a termine, perché il processo si trasferì nel porto delle nebbie del Tribunale di Roma.
La cause che hanno determinato Mani Pulite sono state ben tratteggiate da un altro magistrato del pool, Pier Camillo Davigo, nel libro Il sistema della corruzione. Egli scrive:
sono individuabili alcuni specifici fattori che possono contribuire a spiegare l’esito particolarmente favorevole che quelle indagini ebbero nel periodo che va dal 1992 al 1995. L’enorme debito pubblico che il nostro paese aveva accumulato fino a quel momento e la crisi economica del 1992 avevano avuto come effetto, tra gli altri, quello di ridurre la spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi. Di conseguenza, si era ridotta la possibilità per i corruttori di trasferire il costo delle tangenti sul bilancio della Pubblica amministrazione… È mia ferma convinzione, infatti, e l’ho ribadito più volte, che le indagini si concludano con esito positivo specialmente nei momenti di grave recessione economica. Per chiarire questo passaggio è utile ricordare, a mo’ di esempio, tre grandi scandali: le frodi petrolifere del 1974; la vicenda della P2, con quello che ne è seguito nel 1981 con il caso del Banco Ambrosiano, in qualche modo ad essa connesso; infine – appunto – «Mani pulite» nel 1992. Si tratta di tre casi esplosi tutti in concomitanza con altrettante gravi crisi economiche, con la caduta del Pil e, soprattutto, con la riduzione della spesa della Pubblica amministrazione per acquisto di beni e servizi. Qual è la spiegazione possibile? Ci sono due motivi da considerare. Il primo è quello dell’acquisizione delle notizie di reato. Mi limito in questa sede alla corruzione, anche se altri reati attengono a fatti in parte diversi dalla corruzione, che in genere non vengono portati a conoscenza dell’autorità giudiziaria. La corruzione non avviene davanti a testimoni ed è nota soltanto a chi è direttamente coinvolto, cioè a corrotti e corruttori, che hanno un interesse comune e condiviso a osservare il silenzio. E infatti la si scopre sempre, mentre sono in corso indagini su altro, e soprattutto si scopre quando si rompe il patto di solidarietà tra coloro che commettono questi reati, cioè quando costoro litigano. Ciò accade, solitamente, quando la «torta» non si allarga più, anzi si restringe, ossia quando diminuisce la spesa destinata all’acquisto di beni e servizi e quindi non si può più utilizzare una certa somma di denaro, che dovrebbe essere ogni anno sempre maggiore, per accontentare i nuovi ingressi o comporre le liti. Ecco, allora, che esplodono le controversie: è a quel punto che gli inquirenti riescono a inserirsi e a ottenere finalmente notizie di reato. La seconda ragione è che nei momenti di recessione l’opinione pubblica è meno disposta – diciamo così – a farsi raccontare bugie. Si infuria, per esempio, quando sente dire che taluni personaggi potenti sono perseguitati da magistrati impazziti che farebbero supplenza rispetto ad altri poteri o addirittura tramerebbero un complotto mediatico-giudiziario per rovesciare la classe dirigente al potere3.
L’inchiesta Mani Pulite condotta a Milano tra il 1992-1994 ha prodotto 1.300 dichiarazioni di colpevolezza, fra condanne e patteggiamenti definiti. La percentuale di assoluzioni nel merito (cioè di imputati risultati estranei ai fatti) si aggira fra il 5 e il 6 per cento. I restanti altri, circa il 40 per cento degli indagati, si sono salvati grazie alla prescrizione, a cavilli procedurali o a modifiche legislative su misura4.
Le posizioni considerate sono state 4.520: quelle per le quali è stato richiesto il rinvio al giudizio 3.200.
1.281 sono state le sentenze di condanna; 700 le posizioni processuali trasmesse nel corso degli anni in altre città e nell’anno 2003 non ancora definite; probabilmente risulteranno prescritte.
Comprese il fenomeno che prese il nome di concussione ambientale, di dazione ambientale un magistrato oscuro, un perito elettrotecnico di Montenero di Bisaccia, Antonio Di Pietro.
Era consuetudine e prassi abituale aggiudicare un appalto, da quello della Metropolitana milanese a quello dell’aeroport...

Table of contents

  1. Fugaci ritratti
  2. Colophon
  3. Prefazione di Vittorio Sgarbi
  4. L’Infinito del giovane favoloso: il cuore della poesia
  5. Gabriele D’Annunzio: lettere d’amore a Barbara Leoni
  6. L’elogio della mitezza: quando il cuore è nella ragione
  7. Il processo a Gesù: il potere al cospetto della verità
  8. Elena, amor mio!
  9. Il mito di Eros e l’elogio dell’amore
  10. Donna, poesia che allontana la notte
  11. Il letto di Ulisse: il segno della fedeltà in amore
  12. Giordano Bruno: il profumo inebriante dell’eresia
  13. Nietzsche: il carro di Dioniso risplende sulla terra
  14. La cura
  15. Fecero la Costituzione senza l’ascia
  16. Il populismo e la rivoluzione dell’89: cronaca di una magica estate
  17. Marilyn Monroe: la bellezza addosso
  18. Il canto melodioso di Mina
  19. Gianluca Vacchi, Enjoy: il piacere della vita
  20. La “colonna infame” di Enzo Tortora
  21. La Milano da bere e la rivoluzione dei magistrati
  22. La colomba bianca di Giovanni Falcone
  23. Il libro, solo di carta
  24. Napoli non è solo Gomorra
  25. Indice