Capitolo XXIII
Partii per Parigi alla buonâora. Fu un viaggio privo di fatica, tantâè che al mio arrivo, in un pomeriggio assolato, mi riservai di risalire a piedi la collina fin le interminabili scalinate di poesia. Il boulevard grondante dâassenzio portava a una Montmartre maledettamente irriverente e straordinariamente piacevole e Parigi, sotto, pareva un meraviglioso fazzoletto di dama.
Alloggiai in una camera che dava lâaffacciata sui rivoli di vichi e viuzze dentro le quali, come un vino, spruzzavano gruppi festosi e scintillii di artisti in lontananza. Era la gioia di vivere, un fermento contagioso, unâatmosfera spensierata e coinvolgente di cui non si poteva non rimanere sopraffatti. Tutto sembrava spargersi sopra unâimmensa tela, in cui i protagonisti vivevano un periodo indimenticabile, con la consapevolezza di stare scrivendo una nuova storia.
Esiste un ramo verde di pensieri che unisce fra loro persone diverse e scomparate che camminano vicine con la missione della comunione e lâaspirazione del futuro.
Non tutti gli spazi sono luoghi, ma nessun luogo è lontano.
La tensione si ardimentò nelle mie mani intente a sciogliere i caratteri di un libro di filosofia antica. Mangiai solo una grossa pagnotta di segale e una di quelle mele di un tempo abitate da vermi, accompagnate entrambe da un bicchiere di latte appena munto. Poi presi a scrivere risentendo addosso uno sguardo alle mie spalle come se anche io facessi parte di quella tela. Scrissi tutta la notte, che mi parve un sogno. Come un grano dâacqua sâincagliò sul davanzale, il riflesso della lampa lambĂŹ talloni e scivolando fin le unghie rosate. La punta della mia scrittura sâera giallita dei riflessi della luna.
E mi sentivo nuovamente giovane nel naufragare le mani nel cuore dei miei lunghi capelli e lisciandoli fin lâultima ciocca prima della schiena di uno svolazzo di vita.
Il divano ricoperto in pergamena sembrava scriversi di quelle, mentre i motivi orientali, per il medaglione, si animavano fin le frange in cotone.
Piovve tutta la notte. Sembrava piovesse nella camera. Ma anche nellâacquarugiola maledettamente triste non riuscivo che trovarci intonazioni dâalbore. La vita val la pena di viverla sempre con slancio, passione, miraggio, delizia.
Il pozzo poco fuori cantava quando la fune cingeva i bordi componendo note, fino a riportare alla luce, unâacqua ora acquietata al travaglio del suono, mentre il prato sâargentava dâaurora. I fiori ammattiti dal vento si coricavano col ventre sullâerba e si risollevavano pian piano al dĂŹ venuto.
Ratto cominciai a prepararmi, indossai un panciotto che mai avrei potuto usare in veritĂ , una giacca grigia assai larga per non valorizzare le forme e mi prodigai per disporre con apparente casualitĂ , cosĂŹ che si fingesse un certo continuo prodigarsi, dentro unâampia borsa in cuoio da medico, gli sciroppi e degli unguenti piĂš colorati e sbalorditivi misti a erbe mediche, a bocce e boccali, a bollitori, spezie, fiale, infusi. Per completare, dei comuni occhiali da naso con lâocchiello per la catenella. Infine indossai una parrucca e disegnai due baffi sottili perchĂŠ il camuffamento raggiungesse una certa credibilitĂ . Portai con me un ombrello con il manico a forma di testa di leone, cui ero molto affezionato, regalatomi a una ricorrenza dal mio amato fratello, accompagnato dal consueto timore di smarrirlo. Anche se un ombrello di pregio difficilmente ci lascia.
Riconobbi colpi di tosse gracchianti ma usciti dal corpo di una giovinetta, come un discorrere. Mi venne incontro una donna graziosa, di corporatura esile, dai ricci capelli rossi, per servirmi la colazione. Mi vide acconciato diversamente da come ero arrivato, seppur chiuso dentro un grosso mantello, e il suo riso prese le rughe della collina.
Niente di peggio che presentarsi senza riguardo nei confronti delle occasioni. Mi scuserete madame ma oggi devo provare una parte particolare che mi necessita di invecchiarmi un poco. â Definii sorridendo.
Non abbiate alcuna preoccupazione, qui siamo a Parigi, dove ogni incantesimo diviene realtĂ , de rever et dâaimer. â Con una voce di cocente tepore femineo, che non era semplice di eludere.
Evidentemente non mi avete riconosciuto, levandomi la parrucca. â Quando in altri momenti non avrei atteso lungamente a togliere le brache.
Non posso crederci, proprio voi, qui, Lord Green, mi sembra incredibile, io ho visto tutte le vostre opere, devo dirlo al Caffè, tutti gli artisti vi adorano. â Correndo per la camera e muovendo i pugni come per salutare.
Ve ne prego, non ora, è per me una questione di vita o di morte quella che dovrò affrontare questâoggi. â Dissi rammaricato.
Capisco, questioni dâamore, allora vi auguro buona fortuna. â Rilasciandomi lentamente un bacio sulla guancia.
Le sue labbra avevano il verbo di unâamante desiderosa, ma le mie guance quello di un misantropo.
Raggiunsi il primo popolano per strada e gli diedi una grossa somma perchĂŠ facesse arrivare agli orecchi dellâufficiale Blanchard la notizia che in CittĂ si trovava un medico brillante per unâimportante conferenza, specializzato nella cura dei gravi mali che prendevano le giovani donne. Per fare in modo che non si ingelosisse chiesi a quellâuomo di ragguagliare che il medico si accompagnava nel soggiorno alla propria moglie. Gli diedi appuntamento due ore a seguire proprio innanzi palazzo David.
Fu una grossa insegna che stava in alto a una vecchia bottega a catturare la mia attenzione, e che riportava la scritta âIncommensurables Parisâ, nel mentre due innamorati si davano un bacio e venivano attraversati dalle foglie. Da dietro, in lontananza, si slanciava il Louvre, cosĂŹ maestosamente che mi parve di vederne tutti gli amati capolavori e per un momento pensai che vi avrei trovato esposta anche Susanne.
Voltandomi, fra gli orologi e i pezzi da collezione, nascosto da calamai e da uno scrittoio in radica con decorazioni floreali, vidi un pennino meraviglioso, finemente intagliato ma semplice, come preso da una luce incommensurabile.
Entrai sospingendo il piccolo portone e due campane fecero giungere il vecchio bottegaio che aveva due grandi occhi celesti, un piccolo naso allâinsĂš e che trascinava faticosamente la gamba destra.
â Vorrei quel pennino. â Indicando fra i bei oggetti.
Mio caro signore, me ne rammarico, ma quel pennino non è in vendita. â Rispose lui maneggiando una cornice.
Sono disposto a pagarvi la somma che riterrete di richiedermi. â Dissi io.
Ho detto che non è in vendita! â RibadĂŹ lui scontrosamente.
PerchĂŠ mai â risposi io â, non è forse questo un emporio di anciens meubles?
Non, monsieur, de vieux reves â Facendosi piĂš dolce.
Viviamo dei nostri sogni e sogniamo dalla nostra vita. â Aggiunsi io smuovendo una scatola musicale impolverata.
Su questo pennino vi sono molte leggende e racconti che si tramandano nel tempo, tanto è vero che ho deciso che a detenerlo sarĂ solo uno scrittore che lo meriterĂ , non lâho dato via per una fortuna. Tante volte mi sono state offerte cifre per cui avrei potuto addirittura garantirmi grosse rendite. Ma io sono custode di questo pennino che era finito nelle mani di mio nonno, che tanto gelosamente lo aveva custodito per lungo tempo, e di seguito tramandato, con la storia che reca dietro, anche a mio padre, e poi lui a me. â Disse ripulendo fra le mani un bicchiere di cristallo.
Raccontatemi, sono curioso. â Domandai io.
Ă una storia incredibile, vi sembrerò un vaneggiatore, ma pare che questo pennino â fece lui come rapito delle sue stesse parole â, appartenuto in passato a grandi uomini, sia in grado di rendere realtĂ le opere di fantasia, che si animano dalle sue mosse. So che sembra assurdo, infatti quasi nessuno ci crede.
Parlate, io vi credo. â Dissi come se sentissi un calore forte sulla fronte.
Diversamente non ha alcuna funzione, se non rilasciare lâinchiostro, neppure molto bene considerati i suoi anni. Ma nel momento in cui questa vera e propria opera dâarte percepisce una tale intensitĂ dalla mano che lo detiene, ne riconosce lâamore, e si rende capace di realizzare il desiderio piĂš irrealizzabile. Almeno cosĂŹ si narra. Io ho provato cosĂŹ tante volte, ma non è mai successo nulla. Altrimenti non me ne starei certo qui a vendere vecchi arnesi.
Lâuomo mi parve sincero e la cosa mi sembrò alquanto strana, ma proprio in quel momento sentii come se qualcuno mi chiamasse, una voce mai udita prima.
Ho deciso da tempo oramai, questo è un pennino che darò solo a uno scrittore che ama Parigi e che da Parigi è amato, mi dispiace.
Abbassai la parrucca e presto mi riconobbe.
Monsieur io adoro le vostre opere, sono deliziose, ma che fine avete fatto? Si parla tanto dei vostri audaci racconti, sinceramente non so quanto Parigi ami voi.
Prendete â porgendo una carta non di pregio â è una storia che ho scritto questa notte. Ă dedicata a Parigi.
Iniziò a leggerla. Parlava di un nobile uomo costretto a permanere lontano dalla Francia, un uomo che soffriva, ma che si era reso conto di amare cosĂŹ tanto Parigi, la vita parigina, al punto da riuscire, dopo molto sperare e desiare, a entrare nelle tele che ritraevano le giornate, a dialogare con gli scrittori e a passeggiare mano nella mano con la propria amata, lungo la Senna. Lâuomo lesse ad alta voce la battuta finale: â Mon amour, da oggi ti chiamerò col tuo vero nome, ParisâŚ
Il vecchio si commosse, poi si fermò a fissarmi per diverso tempo.
Io avevo un impegno gravoso, ma non ci pensai affatto.
Restammo seduti senza dire una parola per non so quanto tempo.
A un certo punto lâuomo si alzò in piedi e non aggiunse nulla, andò a incidere un pezzo di cuoio, con cui avvolse il pennino.
Da oggi â pronunciò â questo arnese tenuto a lungo riposo, questo legno dagli immensi poteri, questo piccolo scettro magico, tornerĂ ad essere nuovamente il pennino che è sempre stato. SarĂ il pennino di Lord Green.
In quel momento fui assalito completamente dallâemozione. Felice. Di una felicitĂ non dicibile. Anzi sĂŹ, la felicitĂ di bambino.
Non so come ricambiare un dono simile. â Piegando il capo in senso di riguardo e affetto e come rapito da quellâevento mi inginocchiai.
Presto il vecchio uomo fece per rialzarmi nonostante le esigue forze e rispose:
Abbiatene cura e continuate a scrivere nellâamore, consideratelo un dono di Parigi.
Dirvi grazie è poca cosa, non credo dâaver scritto un solo rigo senza amore. â Osservando il pennino tra le mie mani, come un figlio divino.
Lo riposi delicatamente nella giacca per preservarlo da tutto il resto e mâincamminai verso palazzo David. Mancava un quarto alle due ore dallâappuntamento e giunsi allâincontro con una certa pacatezza. Arrivando vidi smaniosamente lâuomo cercare la mia venuta e quando certo mi venne incontro.
Tutta la famiglia David vi attende di sopra. â Disse strizzandomi lâocchio.
Benissimo sarò subito da loro. â Provando a invecchiare il tono della voce.
Fui accompagnato al piano superiore e finalmente raggiunsi la camera di Susanne.
Salutai la servitĂš con lâaria di chi ha qualcosa da fasi perdonare, anche se non lâavevo.
Ella giaceva da sola, come una morente in un letto. Sentivo il suo sguardo sul mio cuore, ma finsi di arrivare al letto lentamente. Mi girai per guardarmi intorno e poi, finalmente, venne il momento che tanto avevo atteso e sperato. Vidi il suo volto. Era la mia amata, come se mai ci fossimo divisi.
Buon risveglio amore mio. â Dissi porgendole un fascio di narcisi che non sapevo piĂš come tenere in mano per lâemozione.
Andrea â sussurrò dâamore â finalmente sei qui, quanto ti ho atteso. â Lanciandosi verso di me, ancora sotto le coltri.
Senti come profuma la tua bocca, avvicinati e baciami, ogni bacio mio è per te.
CosÏ seguitò ma fu presa da una tale foga che rischiò di farmi perdere la parrucca.
Ti prego Susanne â pronunciai a voce bassa â non sai cosa farei in questo momento, ma continua a fingerti ammalata. Mentre accoglievo dalla sua bocca un respiro odori rigenerante.
Non sono ammalata ma soffro come una moribonda Andrea mio. â Lessi nella sua fronte gli spasmi come di un dolore...