Tredici gol dalla bandierina
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Tredici gol dalla bandierina

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Tredici gol dalla bandierina

About this book

Tredici gol (veramente) segnati dalla bandierina fra il 1974 e il 1981 sono la metafora e la parabola di una giovinezza. Quella di un ragazzo che sogna vita, musica e rivoluzione rivolgendosi alla figura mitica di Massimeddu (Massimo) Palanca, leggendaria ala sinistra del Catanzaro. Un'intera comunità, da sempre ai margini della vita nazionale, vive le gesta sportive del proprio idolo come un momento di riscatto. Per molti Palanca diviene il piccolo Mao-TzeTung del tiro a effetto, l'ala sinistra di sinistra, il leader capace di far sognare. Con lui cerca un dialogo irreale Vito Librandi, il protagonista, parallelamente immerso nel grande movimento giovanile di quegli anni. È la Rivoluzione vista e sognata dalla provincia, in un misto di ironia e surrealtà. L'epoca in cui tutto si discute e si trasforma, in una luce irregolare e travolgente: l'amore, la politica, l'impegno civile, la libertà sessuale. Un'immagine inedita e molto contemporanea di un Sud spesso considerato solo periferia. Un racconto agrodolce sulle illusioni e le disillusioni di una generazione nel quale la vita di alcuni compagni di liceo e gli eventi calcistici della loro squadra si fondono in un equilibrio bello e imperfetto. Che non potrà durare.

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Information

1. Dalla bandierina (uno)

Ma è vero che hai fatto tredici gol dalla bandierina, Massimè? È proprio vero? Certo, lo hanno detto tutti i giornali e io faccio fatica a pensare che è vero. Tredici sono tanti. Possibile che i portieri non lo sanno? Possibile mai che i portieri non s’organizzano e dicono: «Massimè, mo’ basta! Che ti pensi che fai fesso pure a me oggi?»
E invece no. La palla parte, vola, sta in aria un poco, poi gira, gira di un modo che non si può dire, gira che pare che va da un’altra parte. Ma poi gira giusto. Giusto e non sbagliato. Ed entra. Tredici sguardi tutti uguali dei portieri, tredici sguardi come per dire: proprio a mmia ’sta disgrazia? Proprio a mmia sta pigghiata ppo’ culu? Sì, così è, la palla gira. Sta in aria e gira. Il fatto è che ci mette troppo tempo e il portiere nel frattempo si pensa qualcosa. Si distrae. Magari si pensa che quella palla può stare in aria per sempre. Sospesa in aria, fuori dalla legge gravitazionale. Con uno stadio intero che la guarda senza aspettarsi niente, sospendendo ogni volontà. Anzi cancellandola.
Lo stadio non vuole nulla mentre vede quella palla volare. Non vuole che prenda terra sospendendo le speranze, staccando la spina al sogno. Ma si sbagliano. Credono di volere nulla ma qualcosa inceppa le intenzioni. Una tempesta opposita nella quale la curva nord e la curva ovest si trovano in equilibrio perfetto. Due voleri contrari che tirano la corda e lei sta ferma.
Quella palla ruota contro la mia porta, ti prego dio della bandierina e del margine dell’area allontanala dalla linea del gol. Quella palla ruota contro la porta del nemico, ti prego dio del fischio d’inizio e del fischio finale fa che trapassi la sua linea debole. Lo vedi allora come due grandi volontà si oppongono e si annullano. Positivo e negativo, principio e fine, il caffè e la birra, il culo e una colomba.
Massimè, ecco che la palla resta in aria. La palla che hai calciato tu. Il portiere la guarda e spera che ci resti per sempre, che annulli il futuro, le passioni, le malattie, le bollette dell’Enel, la cellulite della moglie, pure il rubinetto che perde perché un calciatore non ha tempo di pensare ai rubinetti.
La casa è lontana, ci tornerai a fine carriera, vai a pensare al rubinetto? Devi pensare alla Juventus, al Milan, al Lanerossi Vicenza, alla Sampdoria. Devi pensare che non vuoi che tuo figlio faccia il calciatore. I soldi del calcio vanno bene ma tanto meglio se sei notaio. Un notaio non deve valutare la traiettoria di una palla dalla bandierina. Non c’è lo stadio che grida cornuto, cambia mestiere, coglione, vaffanculo, bravo. Nessuno ti fa segno di qualcosa, ti chiama da dietro la rete, si aspetta la giornata buona da te, si aspetta di voler dimenticare o voler ricordare. Perché è allegro, è triste per un gol. Meno ancora, per un dribbling. Meno ancora perché prima di battere una rimessa laterale ti sei voltato e hai salutato da quella parte. Dove si trova lui. C’è una clausola preventiva sul contratto e il notaio sempre saprà come va a finire.
Il tiro a effetto non è contemplato. Niente traiettorie impreviste per un rogito, una donazione, un testamento. Un notaio non calcia mai dalla bandierina provando le variabili alle regole della gravità, della rotazione, del peso, della traiettoria dei corpi. Non aspetta che la palla si decida a scendere, che imbuchi l’angolo del suo destino, che le Moire smettano di filare.
Il portiere è colto dalla contemplazione di quello spazio scheggiato e incrinato. Il pallone ha individuato una frattura fra ascisse e ordinate e sopra una mensola immateriale si è posato ruotando. Guarda un poco a quella velocità come non si vedono tutti quegli esagoni neri che lo compongono! Bianco pare... Vola, vola la palumba! Quanti esagoni neri ci sono ogni due, tre, cinque, più esagoni bianchi? Nemmeno Massimeddu lo sa, lui che il pallone lo ha calciato non lo sa. Di sicuro non ci ha mai pensato. Il pallone sbianca rotando ma anche dalla distanza si vede che a ogni cambiamento di stato e di rotta muta pure il suo colore. Gli esagoni neri tingono diversamente il grigio della sfera quando la palla parte dall’angolo poi fa il primo tenue giro, poi si sospende sull’area di rigore mentre lassotto tutta un’umanità scalcia, sgomita o contempla guardando in aria alla ricerca della migliore posizione. Poi si scurisce. Quello è il segno che la palla sta provando l’intenzione di terminare il volo. Quel colore chiama a uscire dalla contemplazione se hai vegliato sull’intera traiettoria, se sei stato consapevole per tutto il tempo del suo volo e hai saputo che, per quanto perfetto, avrebbe avuto un termine. Quello è il segnale.
Se invece il tuo respiro è stato intercettato dal colmo della parabola, allora non tornerà a terra prima del pallone stesso. E con esso la tua intenzione, il tuo pensiero, il tuo senso del tempo. Il tiro a effetto avrà trafitto l’anima del portiere. Ma non di potenza, come dicono che Piola sfondasse le reti. Ne attira i sensi e poi affascina la sua coscienza di veglia. L’anima si è sospesa anch’essa con la rotazione della sfera desiderando che tale fosse per sempre.
Perde l’anima il portiere per un attimo e il suo corpo aspetta senza sapere di preciso cosa fare. Quando la ringoia con fatica, la palla sta già scurendo il suo grigio. L’anima non vuole tornare a terra ma deve, non può lasciare il portiere privo del sé in area di rigore. Basta quel diaframma di tempo per distrarlo e il lampo minimo è trascorso.
La palla è in rete e niente egli ne sa sino a quando non sente grida tutt’intorno. Sono solo tredici i portieri che hanno avuto questa percezione, questo privilegio, questo accesso alla contemplazione. Hanno percepito il bello nella sconfitta. Tutti gli altri o hanno vegliato troppo intercettando la parabola e guadagnando giusto un breve applauso o hanno visto passare solamente un tiro sbagliato che si è perso altrove.

2. Tredici anni e mezzo

A eccezion fatta delle ore della scuola, ho trascorso i primi tredici anni della mia vita chiuso in casa. Però li ho visti passare tutti i cortei del Catanzharu in Serie A. Diridindì diridindindà il Catanzharu in Serie A. Passavano dappertutto e passavano pure sotto casa mia. Così li ho visti, così li ho potuti vedere. Sennò stavi fresco che mia madre mi mandava in quel casino. Sia perché girano microbi e malattie sia perché c’è troppo disordine e ci sono quelli che dicono le parolacce.
Mia madre non mi ha fatto vedere manco Gesucraist Supestarra che dice che era blasfemo e pure il Vaticano lo proibiva. Ma i tifosi del Catanzharu erano ganzi, facevano casino seduti sopra i tetti delle Cinquecento con le bandiere e con gli striscioni che dicevano “Forza Aquile”. Quanti anni hai? Tredici e mezzo dico io. Sono sempre tredici e mezzo dal giorno dopo il compleanno al giorno prima del compleanno successivo. Un anno sano vale mezzo. Di sicuro c’è che manco ho fatto quattordici anni che il Catanzharu è tornato in serie B.
Non so se è per questo ma io ho esagerato con la masturbazione. Mi è venuta una brutta infiammazione. Piscio fuoco dall’uretra e mio padre mi ha portato dal medico ieri pomeriggio. Sei andato a donne? Questo mi ha chiesto il medico. Ma voi a uno di tredici anni e mezzo, magro, pallido, coi vetri cocacola agli occhi, con le orecchie grandi fuori dai capelli ricci ma corti tirati a forza con la scrima quasi al centro che i compagni di scuola lo chiamano topoggiggio nel 1974 a Catanzharu gli avreste chiesto mai sei andato a donne? Cosa sono le donne? Io conosco solo le mamme e le sorelle. Le donne non esistono. A me non mi interessa niente. Io vedo quelle in mutande su Vestro o su Postal Market e qualcosa mi prende, non so cosa c’entra. Non so se è il colore della carne che mi fa effetto o quello delle mutande. Mi masturbo perché mi piace, mi masturbo con un dito. Così lo so fare e così mi è venuto di farlo. Con un dito, un dito giusto sopra allu minchiollu.
A casa di mio cugino grande che si chiama Aldo e che ha tutti i libri di medicina, oggi ho spiato dentro alle tavole di anatomia mentre Zizzì preparava la solita bibita di quando la vado a trovare, acqua fresca con sciroppo di amarena e la fiestasnacca per merenda. Aldo studiava medicina ma poi lo zio Vitaliano è morto e lui ha dovuto lasciare e tornare a Catanzharu. Non gliela potevano mantenere l’università. Casomai ci toccava a lui mantenere a Zizzì e a tre sorelle femmine più piccole. L’hanno preso alla Sip dove lavorava il padre e tutti ora lo chiamano u dottora. Ha lasciato è vero ma aveva fatto solo sette esami in fondo. U dottora. Questa è la ‘ngiuria. Lui fa che ride ma io credo che si sente pigliato per il culo un poco.
Vito vieni che la bibita è pronta... Te la rompo la carta della fiestasnacca? La vuoi una? Te la mangi? Eh sì, dai che te la mangi... Così dice Zizzì dalla cucina girando il bicchiere con sopra scritto Saluti da Belluno col cucchiaino lungo tintintintin. Poi lo lascia poggiato sulla credenza di fòrmica marrò. Arrivo, Zizzì, nu minutu, Zizzì...
Pensa tu che la capocchia si chiama glande e il minchiollo si chiama prepuzio. U cazzu si chiama pene. Ma guarda nu pocu... A uno non gli dici mi ruppisti u cazzu, no. Mi hai infranto il pene. Io penso che così si deve dire. È tutto strano sulle tavole di anatomia ma u minchiollu non è u minchiollu. Prepuzio si chiama, prepuzio ti ho detto. Minchiollu lo dice Grabbiele che i suoi sono di Decollatura, che parla sempre una comica e che abita al mio rione.
Scendiamo a scuola a piedi tutti i giorni e lui parla sempre del suo pene. Quandu futti a prima vota ti si rumpa u minchiollu e ti esce sangue. Daveru? Sì, daveru. Deve essere vero per forza perché lo dice sempre pure mio zio Macù quando gli viene la simpatia. Lui ridacchia e a me stupido mi pare. Macù dice che sta per Immacolato. Io non lo so come si fa a chiamare un maschio Immacolato. No, mamma mia, non futtu eu... E chi me lo fa fare? Si rompe il minchiollo. A me non mi dà tanto fastidio che si rompe lui da solo ma che te lo deve rompere una femmina.
L’altro giorno mi sono preso di curiosità e ho cominciato a tirare quel filo di pelle con le mani. E tira tira si stende ma non si rompe. Un poco affiora sangue dalla pelle tirata allo spasimo. Focu dolura! E io stringo i denti e faccio forza, tiro col pollice e con l’indice a pinza. Voglio vedere se esce il sangue... Così me lo rompo subito, me lo rompo da me e non lo faccio fare a una femmina quandu futtu. E quandu futtu eu? Buh, cchi sacciu. Per conto mio meglio se il minchiollo te lo rompi solo così non hai bisogno delle femmine. Che poi che gli dici? Ahia ahia mi si è scorciato il minchiollo perché te l’ho messo nel pipirinnacchio? Non sia mai.
Le femmine sono antipatiche e poi si radunano e parlano fra di loro e una ti mostra a tutti col dito e dice, lo vedete a quello? A quello ci ho rotto il minchiollo. Io non la voglio fare una fine così. Certo che poi la pelle del prepuzio non si è rotta si è gonfiata, sembra un palloncino scuro e dolorante. Ma io zitto. Non posso dire: pa’... oh pa’, mi sono scippato il minchiollo con le mani ma poi non mi si è rotto, mi ha fatto solo una mezza goccia di sangue e ora è tutto gonfio accanto al glande.
Chi dicisti? Glande? Capocchia papà, a capocchia. Ah, e chistu fai? Figghiu meu allora si stupidu forta. Questo sono io. Prima un bambino, ora un ragazzino pallido e riservato. Mia madre teme per la mia salute e non mi fa uscire.
Nel frattempo l’infanzia è passata tutta. E pure la preadolescenza. Di quand’ero piccolo non ho ricordi. Non mi interessavo a niente. Non mi interessava niente se non la fantascienza con le storie di ufo e di marziani e, dopo il gollo di Catanzharu-Juventus, seguivo il calcio. Leggevo solo la cronaca del calcio sopra la Gazzetta del Sud. Vivevo a Catanzharu dove non avvenne mai nulla. Così dicevano i miei amici e tutti i miei parenti. Cca ‘on c’è nenta. A Cosenza non ci fu mai nenta, a Riggiu pu pu pu pu pu pu pu...
E anche dopo non avvenne mai nulla. Così è destinato. Pure ora a Catanzharu non succede, non succederà mai nulla. Nulla, a parte Massimeddu.

3. Prologo alla stagione dei bagni

La stagione dei bagni non è ancora cominciata. Noi già a luglio scendiamo al mare ma mia madre mi ha detto che lo ha visto a Massimeddu, all’alimentari sotto casa nostra. È venuto per il primo ritiro col Catanzharu. Me lo ha raccontato aggiustando i panini a provola e a prosciutto cotto.
«Mamma... oh mamma mia... e che tutto quello è Massimeddu?... una croce di spalle, focu meu! Io mi dicevo chissà chi è questo, chissà che pezzo di cristiano, due spalle come un portone, alto come una tenda. Macché... me l’ha detto la signora dell’alimentari... Signò, guardate signora mia che quello è... Io dicevo no, che non può essere. Come no? L’ala sinistra del Catanzharu, Massimo... Massimè tutti dinnu ca è nu campiona.
Tutti... Tutti? Chi sono questi tutti? Quattro cazzoni. Io so solo che questo pare che gli fai puh e cade a terra. Mi para ciampatu da hiocca. Sì, il puricino che la mamma non lo vuole e ci butta la ciampata, tanto forte che lo ammazza. Massimeddu ha due piedini, dui cosiceddi. Io mi pensavo che un calciatore come a questo doveva essere chissà chi e chissà come... Vedrai che non combina niente. Deve essere scemo il presidente che si va comprando a unu accussì...»
È quasi come scandalizzata mia madre. Un poco se la ride però. Le piace parlare di una cosa da maschi, il pallone. Mai l’avevo sentita prima parlare di calcio e forse mai più la sentirò.

4. La stagione dei bagni

Sono vuote, nullafacenti le estati della scuola media. Tranne il mare. Tutti i giorni, tutti gli anni, non cambiare stessa spiaggia stesso mare. Il lido Georgette, verso Squillace. L’ombrellone aperto alle nove. Certo che siete diventati cari quest’anno, eppoi la sdraia mi pare rotta e consumata che sembra quella dei zingari. Il pane con la sarz’e pummadoru calda calda e la scamorza squagliata dentro alle dieci. La prova a chi ce l’ha più lungo categoria da dodici a quattordici anni, dietro la cabina 19 dalle undici alle undici e sette. Alle undici e sette si corre urlando per il lido il nome della vittima. “Gianfranco bello ma senza uccello!”. Tutti tengono il ritmo con le mani e scandiscono le grida, come allo stadio.
Mi metto la maschera col tubo già dalle nove e mezza ma il mio primo bagno arriva verso le dodici che sono l’unico che non sa nuotare. Vito sei un babbo di quasi quattordici anni che non sta a galla, vergognati cazzone! Questa è l’estate del 1974, non siamo all’età della pietra. A settembre te ne vai al Ginnasio, cominciamo con greco e latino e tu stai ccu a faccia ’nto tubu? Speriamo che la Madonna di Porto t’assista figlio mio. Mi pari nu ’mbambulatu.
Io zitto incasso tutto, ogni critica. Taccio, gli occhi fissi verso il mare nemico, elemento ostile e avverso, pieno di bambini che urlano, giocano, si menano, spruzzano acqua, qualcuno bestemmia e suo padre ride sotto i baffi che gli fa piacere, che fa maschio. Le mamme distribuiscono fette di cocomero nell’acqua ai contendenti e io inizio a vedere i colori sbiancare per il vapore acqueo sul vetro della maschera.
Sto sudando. Ogni tanto stacco il tubo dalla bocca per sputare saliva, sollevo la maschera e sotto sono rosso e accaldato. Mi si irrita la pelle della nuca, i capelli tirano sotto l’elastico, il bordo delle labbra, gli zigomi fanno male oramai sotto la sagoma, sento il sapore di borotalco che si stacca dalla gomma e mi avvelena la lingua ma ho paura dell’acqua e la maschera mai che si sposta. Il tubo mi dà sicurezza fin dalla sabbia, il mare no. E si m’affucu? Meglio stare qui a sbavare nel boccaglio che passare il tempo al bar.
Già, il bar. Lì ho paura di incontrare Anna, la bonazza con due minne tante che ti dice «senti, me lo metti Come un bambino al jukebox?» e mi guarda e lo sa che siccome ha le minne tante tu non dirai di no sennò che maschio sei? Sei ricchione? Allora tu diventi rosso e corri a mettere la canzone al jukebox sennò rischi che si drizzi il pirolo nel costume da bagno solo guardandola e poi tutti se la ridono. U vidisti a chiddu? Per questo meglio che ti siedi subito a un tavolino dopo che hai messo i soldi nell’apposita fessura e battuto L9 Come un bambino. Certo, con la scusa che ha le minne tante mica paga il jukebox. Però vuole sempre messo Come un bambino, lei ha le minne tante, a noi ci fa le palle tante.
L’altro giorno Anna ha chiesto a Salvatore che ha già sedici anni e aiuta in cucina al lido se ci metteva Come un bambino. Salvatore ha replicato prontamente «eu tu mintu comu nu randa!» e dal jukebox non ci è passato per niente, è tornato a spostare bicchieri e tazzine dietro il banco. Manco ha alzato lo sguardo dalle tazzine e dai bicchieri lordi. Magari è incazzato acido che quelle poche milalire al mese che gli dà il padrone del lido per i servizi sono diventate ancora più poche.
Il padrone è uno stratirchione, così dicono tutti i ragazzi. Sasà ha tenuto gli occhi bassi che dicevano stai fresca che butto cinquanta lire per le tue minne. E Giovanna si è fatta viola, ha perso un po’ la sua baldanza, si è voltata ed è corsa in acqua come per dire sei un tamarro. Certo è che le sue minne ora paiono meno tante. Non lo vuole più messo Come un bambino. Lo sa che tutti aspettiamo che lo dica per fare la battuta e fargli cadere la faccia a terra un’altra volta.
In un modo o nell’altro le dodici sono arriva...

Table of contents

  1. Tredici gol dalla bandierina
  2. Colophon
  3. 1. Dalla bandierina (uno)
  4. 2. Tredici anni e mezzo
  5. 3. Prologo alla stagione dei bagni
  6. 4. La stagione dei bagni
  7. 5. 1974/75, non mi piace il Liceo Classico
  8. 6. Dissòi lógoi (primo)
  9. 7. Dalla bandierina (due)
  10. 8. Io studio così nessuno si lamenta
  11. 9. Dalla bandierina (tre)
  12. 10. 1975/76
  13. 11. Dalla bandierina (quattro)
  14. 12. La foto di Massimeddu non si tocca
  15. 13. Dissòi lógoi (secondo)
  16. 14. Il lato critico ovvero 1976/77 (dalla A alla B)
  17. 15. Come un inizio
  18. 16. Scrivere a pennarello
  19. 17. Luisa ai lov iu
  20. 18. Dissòi lógoi (terzo)
  21. 19. Versioni all’olandese
  22. 20. Dissòi lógoi (quarto)
  23. 21. Sono magro e liquido
  24. 22. Dalla bandierina (cinque)
  25. 23. Luisa e il Comunismo
  26. 24. Essere dolce
  27. 25. L’amico Gustino
  28. 26. Quasi tutti comunisti
  29. 27. Otto marzo del 1977
  30. 28. Le Mecap puzzano, sopratutto a Venezia
  31. 29. Alcune conseguenze del pensiero di Max Stirner
  32. 30. Un bacio a via Milano
  33. 31. 1978 ovvero è teso lo striscione?
  34. 32. Sciolti nel Movimento
  35. 33. Luisa, io ho paura
  36. 34. Dissòi lógoi (quinto)
  37. 35. Silenzio Totale
  38. 36. Ardo Moro sur Morini cinquanta
  39. 37. Massimè, ti presento il marranzano
  40. 38. Il basso e il timpano
  41. 39. Dalla bandierina (sei)
  42. 40. Giugno 1978 ma pure ottobre 1977
  43. 41. Dissòi lógoi (sesto)
  44. 42. Dalla bandierina (sette)
  45. 43. Noi suoniamo al festival contro la repressione
  46. 44. Dalla bandierina (otto)
  47. 45. Dissòi lógoi (settimo)
  48. 46. Dalla bandierina (nove)
  49. 47. Dissòi lógoi (ottavo ovvero 1978/1979)
  50. 48. 50/60
  51. 49. Dalla bandierina (dieci)
  52. 50. Dissòi lógoi (nono)
  53. 51. Devo farmi una canna
  54. 52. Dalla bandierina (undici)
  55. 53. Agosto 1979 cioè on de rod ovvero on de reiluei
  56. 54. Gennaio 1979 ovvero tipo A, B o C?
  57. 55. Dalla bandierina (dodici)
  58. 56. 1979 ovvero le castagne d’India e Patti Smith
  59. 57. Dalla bandierina (tredici)
  60. 58. Massimè, è il primo aprile 1980
  61. 59. Gli abbatteri
  62. 60. Ma’... oh, ma’!
  63. 61. Il prologo di un epilogo
  64. 62. 1981, insistendo con le fotografie
  65. 63. 1981 ma pure il 1980
  66. 64. Forse l’epilogo
  67. Frasario essenziale Catanzharese-Italiano
  68. Indice