Testimoni e collaboratori del nuovo secolo
Eugenio William Polito. Storia di un giovane in terra di ândrangheta
La storia di William iniziò a essermi nota il 3 marzo del 2008.
I Carabinieri mi chiamarono per rappresentarmi la situazione di un giovane uomo di venticinque anni. Erano intervenuti presso lâabitazione di William, in Ionadi, centro poco distante dalla cittĂ di Vibo Valentia, a seguito di una lite familiare che vedeva il coinvolgimento della moglie e di alcuni suoi parenti. Sembrava, inizialmente, una situazione relegata allâambito parentale, ma le dichiarazioni rese nella quasi immediatezza dal giovane avevano consentito di comprendere che si andava ben oltre: nella vicenda la ândrangheta del territorio aveva avuto un ruolo.
Le dichiarazioni di William aprivano uno scenario di altri tempi. Le scelte di vita erano forzate e decise da altri; lâautodeterminazione e il rispetto della volontĂ personale lasciavano il posto alla prepotenza e alle imposizioni, anche nella scelta della sposa.
William dichiarava di essere stato costretto, mediante minaccia a mano armata, a prendere in moglie Carmela Scuteri.
William, dopo avere conseguito il diploma, aveva svolto lâattivitĂ di piccolo imprenditore e commerciante. Era lâunico figlio maschio di una famiglia perbene. Il padre aveva lavorato come ragioniere e procacciatore di clienti per una impresa del luogo e la sua attivitĂ , anche grazie alle provvigioni che riceveva a fronte delle vendite, gli aveva consentito di fare crescere in modo agiato i figli.
William, dopo la conclusione del ciclo scolastico, aveva chiesto al padre di poter avviare una attivitĂ in proprio e il padre lo aveva aiutato.
Prima aveva avviato una attivitĂ di concessionaria di autoveicoli, lâAuto William, e, successivamente, poichĂŠ lâattivitĂ non decollava, aveva avviato un commercio di materiale per la casa a Tropea.
La mancanza di esperienza e la situazione economica generale non aveva, però, consentito neppure in questo campo di ottenere buoni risultati; la liquidità scarseggiava e le spese connesse alla gestione di una attività in proprio diventavano di difficile sopportazione.
Come troppo sovente accade, William, senza consultarsi con i propri genitori, ma con la presunzione tipica di molti giovani viziati, decise di risolvere i problemi da solo.
Parlarne in casa avrebbe significato ammettere la propria inesperienza; William, invece, appena ventenne, aveva intenzione di cavarsela da solo, di vivere per i fatti propri e di essere indipendente e autonomo.
Aveva spostato la propria residenza nella casa del mare dei genitori, in localitĂ Capo Vaticano di Ricadi, e in quella abitazione aveva pensato di potere avviare una esistenza libera e priva di vincoli.
Fu proprio a Ricadi che ebbe a incontrare Giovanni DâAloi. Questi abitava al terzo piano dellâimmobile dove viveva William e, vedendosi spesso, iniziò tra loro una frequentazione.
Giovanni DâAloi era un personaggio ben inserito nel contesto criminale, legato ai vertici del gruppo Mancuso. Antonio Mancuso era il suo capo; per lui si prestava a compiere i lavori piĂš disparati. Dopo la condanna di Antonio per associazione mafiosa subita allâesito del processo âDynastyâ e fino alla sua scarcerazione per motivi di salute, Giovanni si era messo a disposizione sua e dei suoi familiari.
Parlando a bordo del proprio veicolo, Giovanni DâAloi si compiaceva di avere un rapporto simbiotico con Antonio Mancuso: ÂŤIo sono venticinque anni che sono con il capo assoluto di NicoteraÂť.
Col passare del tempo, William aveva compreso che Giovanni, oltre allâattivitĂ di ristoratore che svolgeva ufficialmente, gestiva un giro di denaro. Spesso il DâAloi si era rivolto a lui, con diverse scuse, per ottenere assegni del suo conto corrente. Giovanni aveva necessitĂ di un assegno di un importo determinato e William provvedeva. Compilava il modulo, sottoscriveva, cedeva lâassegno a Giovanni e questi ne faceva lâuso che riteneva, dando a William il medesimo importo in contanti. Si era prestato anche a rilasciare gli assegni necessari per lâacquisto di un fabbricato rurale sul Monte Poro da parte di Giovanni DâAloi.
William aveva capito che Giovanni aveva buona disponibilitĂ di contante e che, quindi, avrebbe potuto essergli dâaiuto per risolvere i problemi di liquiditĂ in cui si era trovato invischiato.
Si fece coraggio e gli chiese se fosse disponibile per un prestito di denaro che pensava di poter restituire in tempi brevi.
Giovanni, che per professione prestava denaro a usura, si rese immediatamente disponibile.
Iniziarono cosĂŹ a stringersi sempre maggiormente i loro rapporti. William iniziò a condividere con Giovanni anche le occasioni in cui questi si rivolgeva alle proprie vittime per chiedere, con le minacce, la restituzione del denaro in prestito; dâaltra parte, William pensava che, mettendosi a disposizione, avrebbe potuto ottenerne dei vantaggi: sia in termini di percentuale di interesse da pagare che per quanto concerneva i tempi della restituzione.
Aveva iniziato ad accompagnarlo anche nei luoghi piĂš pericolosi, nelle abitazioni dei capi della cosca, da Antonio e Giovanni Mancuso.
La masseria di Giovanni Mancuso era divenuto luogo in cui spesso si recava, accompagnando il DâAloi che, avendo libertĂ di movimento e non essendo ancora divenuto di particolare interesse per le forze dellâordine, rappresentava lâelemento di congiunzione dei fratelli. Antonio era sottoposto agli arresti domiciliari, non poteva quindi proseguire nella conduzione dei suoi affari se non con lâausilio di uomini fidati. Il patrimonio della famiglia doveva continuare a fruttare e Antonio aveva quindi chiesto al fratello Giovanni di mantenere e incentivare i rapporti giĂ coltivati.
Giovanni Mancuso era divenuto, quindi, il sostituto del fratello Antonio e, per non dare nellâocchio, utilizzava il DâAloi come strumento di trasmissione di messaggi diretti al fratello.
William, per il tramite di DâAloi, era venuto a conoscenza di molti nomi di vittime della cosca. Qualcuno di questi lo aveva conosciuto. Ricordava bene Giuseppe Grasso, lâelettricista, marito di Francesca Franzè; lo aveva incontrato con Giovanni DâAloi.
Nel corso della sua vita imprenditoriale, Giuseppe Grasso era stato costretto ad assumere soldati della cosca. Tra questi, anche Giovanni DâAloi. Le assunzioni erano ovviamente fittizie. Grasso pagava i contributi e forniva gli alibi ai delinquenti che avevano, in questo modo, la possibilitĂ di giustificare, dinanzi alla legge, le possidenze e il tenore di vita. Giovanni DâAloi in realtĂ non aveva mai lavorato veramente per il Grasso; solo sporadicamente si faceva vedere nei cantieri dellâimpresa, ma le visite erano finalizzate a controllare come si svolgesse lâattivitĂ piĂš che a prestare lavoro.
Fu proprio DâAloi a fornire le notizie ad Antonio Mancuso circa la situazione drammatica in cui ormai era venuto a trovarsi Giuseppe Grasso. Per ironizzare, lo chiamavano Pino âGuniaâ, per significare che ormai era entrato nella fase dellâagonia e le sue imprese erano al collasso.
Il ruolo di fiducia che William aveva assunto, gli aveva consentito di ottenere lâaffidamento necessario per ottenerne dei benefici: per lui, i benefici erano, in quel momento, soldi liquidi.
William, però, non si era rivolto solo a Giovanni per ottenere denaro in prestito. Nella sua mente di giovane arrogante, non voleva certamente mostrare al DâAloi di essere in cattive acque; voleva dare lâimmagine dellâimprenditore che stava affrontando un periodo di difficoltĂ facilmente superabile.
La situazione andò, invece, a peggiorare drammaticamente e fu costretto a chiudere lâattivitĂ di Tropea, rifugiandosi dai genitori che, a Ionadi, avevano dei magazzini di proprietĂ che avrebbero potuto mettere a disposizione del figlio per avviare un nuovo commercio.
In pochi anni, insomma, dal 2001 al 2005, William aveva avviato diverse attivitĂ , accumulando debiti tenuti nascosti alla famiglia. Alla fine si era anche sistemato in un appartamento a Ionadi, lasciando la casa di Ricadi.
Malgrado lâallontanamento, i rapporti con Giovanni DâAloi proseguirono. Questi aveva, nel frattempo, iniziato una relazione con una donna, vedova con figli, e William ne aveva conosciuto la figliastra Carmela, detta Amelia.
Amelia frequentava la scuola per parrucchieri a Vibo Valentia e, un giorno, William lâaveva invitata a bere un caffè. Quel caffè fu per William una sciagura.
Fino ad allora aveva mantenuto rapporti troppo ravvicinati con Giovanni DâAloi ma, con il passare del tempo, il rientro presso lâabitazione dei genitori, persone sane e oneste senza alcun collegamento con la criminalitĂ , poteva fare sperare in una presa di coscienza che lo salvasse dalla immaturitĂ fino ad allora dimostrata. Lâappuntamento cui Amelia si recò, invece, divenne motivo per costringere William a impegnarsi per una promessa di matrimonio.
William, ragazzo di oggi, divenne personaggio di unâepoca passata, protagonista di una farsa tragica in cui i matrimoni si combinano e gli sposi rispondono al volere di chi decide per la loro vita. Neppure Amelia aveva alcuna intenzione di prendere in sposo William; non lo conosceva quasi, non poteva sapere se si trattasse o meno della persona adatta e giusta con cui dividere la propria esistenza.
I metodi per convincere William furono molto bruschi e, allo stesso tempo, convincenti. Fu portato in una masseria e, sotto la minaccia di un fucile puntato alla testa, Giovanni DâAloi e il fratello grande di Amelia lo convinsero che il matrimonio sâaveva da fare.
La vicenda, che sembra appartenere a un altro secolo, si chiuse proprio con il matrimonio, celebrato il 20 ottobre 2007, tra William e Carmela detta Amelia.
Si trattava di coinvolgere William e, attraverso un âsacramentoâ, di inserirlo allâinterno del gruppo criminale cui apparteneva Giovanni DâAloi.
La storia delle organizzazioni criminali insegna come sia sempre indispensabile una cerimonia, che mutua la propria consistenza da un sacramento religioso, per entrare nella famiglia mafiosa. Di regola si tratta del âbattesimoâ del nuovo affiliato; in questo caso, unâaltra cerimonia religiosa, il matrimonio, avrebbe determinato lâinserimento, a pieno titolo, di William nella organizzazione ândranghetistica.
Dâaltra parte, Giovanni DâAloi aveva giĂ deciso da un pezzo che quel ragazzo doveva essere un suo soldato. Nellâestate dellâanno 2007, Giovanni, uomo privo di scrupoli, che mirava a ottenere dalle sue conoscenze solo benefici, disconoscendo il vincolo dâamicizia che William, ingenuamente, pensava di avere stretto con lui, ottenne una serie di notizie che intendeva sfruttare.
Aveva saputo dal giovane che il padre aveva intenzione di fabbricare delle villette su un terreno lottizzato, al fine di lucrare il profitto derivante dalla vendita dei fabbricati. Per la famiglia doveva essere un investimento che avrebbe consentito di assicurare un futuro tranquillo ai figli. Per Giovanni, invece, rappresentava unâoccasione da non lasciarsi sfuggire. Pensò di parlarne con il suo capo, Antonio Mancuso, cosĂŹ da assicurargli la possibilitĂ di chiedere una mazzetta. In tal modo, Giovanni avrebbe accresciuto la propria autorevolezza dinanzi al gruppo mafioso.
William si trovò, suo malgrado, ad accompagnare il padre Domenico al cospetto di Antonio Mancuso che, con lucidità e freddezza, impose, senza mezzi termini, il pagamento di centocinquantamila euro o la cessione di una villetta a conclusione dei lavori programmati.
La vicenda determinò una rottura dei rapporti tra William e la sua famiglia. Di colpo il padre si rese conto che il figlio, in quegli anni di indipendenza e autonomia, aveva intrapreso strade e stretto rapporti assai pericolosi. Domenico era una persona perbene, che aveva sempre lavorato onestamente e con il sudore della sua fronte aveva risparmiato del denaro che avrebbe consentito alla sua famiglia di vivere con serenità . Ora William stava rovinando tutto, mettendo a repentaglio non solo il patrimonio ma la sua stessa vita e quella dei suoi cari. Con i Mancuso non si poteva certo scherzare; Domenico ne era ben cosciente, avendo vissuto sempre in quel territorio. Sapeva bene che il suo datore di lavoro era finito in cattive acque, tanto da subire il fallimento della sua impresa, proprio a causa della cosca dei Mancuso.
Domenico non usò mezzi termini con il figlio. La frequentazione di quella gente non poteva continuare, avrebbe dovuto scegliere tra i delinquenti e la sua famiglia.
Fu cosÏ che quando William fu indotto a sposarsi, la sua famiglia non partecipò al matrimonio. La giovane donna che il figlio avrebbe sposato apparteneva al mondo che Domenico voleva tenere lontano da sÊ e dai suoi cari.
Il matrimonio, comunque, ebbe breve durata, solo quattro mesi. Fu Amelia ad andarsene il 14 febbraio del 2008. Il matrimonio era stato imposto anche alla giovane donna che, a differenza di William, non intendeva accettare la vita con un uomo che non amava.
Lâallontanamento di Amelia non fu gradito al DâAloi, che riteneva William responsabile per non essere riuscito a farsi rispettare dalla moglie. I rapporti con il mafioso iniziarono a incrinarsi e William iniziò a temere per la sua vita. Nel periodo di tempo in cui aveva frequentato Giovanni era divenuto depositario di molti suoi segreti; conosceva tante delle sue malefatte e delle vicende delittuose di cui si era reso responsabile.
La rottura intervenuta con la moglie aveva un evidente riflesso anche nei rapporti con il gruppo criminale e, immediatamente dopo la separazione, William venne fatto oggetto di minacce implicite ed esplicite. Passarono poche settimane e William, allâepoca venticinquenne, comprese che se avesse voluto salvare la propria vita, avrebbe dovuto affidarsi alla Giustizia.
Nei primi giorni di marzo del 2008, maturò la sua decisione e si presentò presso gli uffici del Comando dei Carabinieri dove dichiarò di essere stato al servizio di un gruppo ândranghet...