Storia segreta del Pci
eBook - ePub

Storia segreta del Pci

Dai partigiani al caso Moro

  1. English
  2. ePUB (mobile friendly)
  3. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Storia segreta del Pci

Dai partigiani al caso Moro

About this book

È l'unico volume che ricostruisce la genesi politica e la storia del complotto internazionale che portò al rapimento dell'onorevole Aldo Moro, contestando le tesi "politicamente corrette" apparse fino ad ora in una miriade di pubblicazioni. Storia segreta del PCI è il libro più documentato e l'ultimo atto di una vicenda descritta attraverso migliaia di carte ufficiali del Governo italiano (che solo Wikileaks, probabilmente, avrebbe pubblicato) e attraverso il racconto di numerosi osservatori diretti e partecipanti, come i partigiani italiani fuggiti dal nostro Paese - residenti in Cecoslovacchia - e personalità della nostra Ambasciata a Praga. Rudolf Barak, ex Ministro dell'Interno cecoslovacco negli anni cinquanta - che mai aveva accettato di incontrare uno studioso straniero - confermò personalmente a Rocco Turi che i partigiani italiani furono al servizio del Kgb e della polizia segreta cecoslovacca. Negli otto anni del Ministero di Rudolf Barak (1953-1961) i nostri partigiani furono proprio al suo servizio. L'eredità fu raccolta dai suoi successori in tutti gli anni della Guerra fredda e la Cecoslovacchia fu meta per l'addestramento di terroristi provenienti da tutto il mondo.

Frequently asked questions

Yes, you can cancel anytime from the Subscription tab in your account settings on the Perlego website. Your subscription will stay active until the end of your current billing period. Learn how to cancel your subscription.
No, books cannot be downloaded as external files, such as PDFs, for use outside of Perlego. However, you can download books within the Perlego app for offline reading on mobile or tablet. Learn more here.
Perlego offers two plans: Essential and Complete
  • Essential is ideal for learners and professionals who enjoy exploring a wide range of subjects. Access the Essential Library with 800,000+ trusted titles and best-sellers across business, personal growth, and the humanities. Includes unlimited reading time and Standard Read Aloud voice.
  • Complete: Perfect for advanced learners and researchers needing full, unrestricted access. Unlock 1.4M+ books across hundreds of subjects, including academic and specialized titles. The Complete Plan also includes advanced features like Premium Read Aloud and Research Assistant.
Both plans are available with monthly, semester, or annual billing cycles.
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Yes! You can use the Perlego app on both iOS or Android devices to read anytime, anywhere — even offline. Perfect for commutes or when you’re on the go.
Please note we cannot support devices running on iOS 13 and Android 7 or earlier. Learn more about using the app.
Yes, you can access Storia segreta del Pci by Rocco Turi in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in History & Italian History. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

Parte prima

Terrorismo, resistenza, fuga
e vita dei partigiani in Cecoslovacchia

1.

Il terrorismo in Italia e la fuga dei partigiani
della Volante Rossa in Cecoslovacchia

Il terrorismo italiano contemporaneo nacque come metodo di lotta antifascista. Era stato appena compiuto un delitto politico con l’uccisione del leader socialista Giacomo Matteotti, possibile capo dell’opposizione, avvenuto il 10 giugno 1924, dopo circa un mese dalla vittoria elettorale fascista con il 70% dei voti e 375 seggi su 535. Se il fascismo aveva legittimato il delitto politico, era normale e logico che i suoi oppositori considerassero lecito e anche doveroso l’esecuzione di un identico crimine ideologico. E così dal 1925, a partire dal tentativo di Tito Zaniboni, un ex deputato socialista, di attentare alla vita di Mussolini, fu dato inizio a una serie di azioni terroristiche contro il regime fascista che culminarono con l’eliminazione di tutte le libertà e l’adozione delle Leggi speciali. Le suggestioni favorevoli al terrorismo furono raccolte dal Partito Comunista Italiano il quale, nel corso del Comitato centrale del giugno 1928, approvò ufficialmente l’istigazione del conflitto sociale come metodo e l’adozione della lotta terroristica per innescare un processo insurrezionale.
La risoluzione del Comitato centrale del Pci del 1928 risulta ancora oggi approvata da una quota, sebbene minima, del comunismo contemporaneo, laddove il conflitto sociale viene definito «ricchezza e non problema» della società.
Il 20 marzo del 1943 – da Radio Milano Libertà (emittente che trasmetteva da Mosca) – anche Palmiro Togliatti lanciò un appello a compiere sabotaggi e azioni terroristiche «contro uomini e cose legate al fascismo e al nazismo», istigazioni al delitto politico:
Questi treni ci vuole qualcuno che li faccia deragliare […]. Queste fabbriche bisogna non lasciarle più funzionare. Ci vuole dei gruppi di uomini arditi che pensino a farle andare in aria […]. Bisogna che questi gerarchi incomincino a sentirsi bruciare la terra sotto i piedi. Ci vuole qualcuno che apra loro la strada dell’altro mondo […]. Quando questi sgherri squadristi incominceranno a far conoscenza con la bomba e con la rivoltella partigiana, non c’è dubbio che il loro numero diminuirà. Anche da noi dunque occorre il gruppo ardito, il gruppo di partigiani che impugna le armi e si pone all’avanguardia della lotta per la salvezza di tutta la nazione1.
Ma il proclama di Togliatti non fu raccolto immediatamente dalle masse popolari, mentre le azioni terroristiche proseguirono come operazioni di gruppi di avanguardia, incoraggiate dal Centro estero del Partito Comunista, anche se i danni procurati al nemico continuarono a essere trascurabili. D’altro canto, il fenomeno terroristico, che poi si trasformò in fenomeno partigiano, pur continuando a utilizzare gli strumenti tecnici tradizionali del terrorismo classico, non rappresentava un terrorismo spontaneo nato dal basso. Esso era comunque fomentato da un Partito Comunista organizzato e disciplinato sulla posizione del Comintern staliniano dopo la fine dell’alleanza strategica fra Stalin e Hitler e dopo l’aggressione nazista all’Urss. Quel terrorismo fu importato in Italia e non avendo alcun riferimento culturale rispetto al movimento operaio tradizionale non ricevette appoggio da parte delle masse popolari.
Il fascismo era ancora ben solido e la moltitudine della popolazione italiana, piuttosto che avventurarsi in una lotta armata, era desiderosa di reagire alla crisi economica e politica attraverso una latente e invisibile mobilitazione non soltanto nei luoghi di lavoro. Quando poi ci fu lo sbarco alleato fra Anzio e Nettuno nel gennaio 1944, si diffuse la risonanza di piccole ma crescenti azioni terroristiche (iniziate nel Nord dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943) e nel 1945 maturò l’insurrezione nazionale in un movimento collettivo e furono coinvolti settori del Paese fino ad allora considerati ai margini della lotta di liberazione.
I libri di storia hanno ripetutamente sottovalutato il ruolo degli Stati Uniti nella liberazione italiana: solo dopo lo sbarco alleato si diffuse nell’opinione pubblica la consapevolezza di raggiungere l’obiettivo attraverso un forte e più deciso movimento partigiano. Proprio dopo l’attentato contro i tedeschi di via Rasella ci fu un’immediata rappresaglia: il 24 marzo 1944 l’esercito nazista reagì nei confronti di coloro che venivano chiamati «banditi», con l’uccisione di 335 persone in una cava di tufo sulla via Ardeatina a Roma.
Il terrorismo dei piccoli gruppi (che a posteriori venne definito «giusto») si trasformò in vera e propria Resistenza di gran parte del popolo italiano contro i nazifascisti. A rigore d’analisi politica, infatti, la definizione di Resistenza può essere attribuita soltanto alle azioni, sebbene violente, relative al periodo in cui il terrorismo dei piccoli gruppi venne condiviso dalla maggior parte della popolazione. Proprio il grado di condivisione e legittimazione dell’impresa terroristica e il successo della sua «politica» rappresentano i parametri indicativi per classificare l’azione alla stregua di un fenomeno resistenziale. Naturalmente, si tratta di un’analisi svolta a posteriori perché non esistono parametri obiettivi per classificare come «resistenziale» un fenomeno ancora in movimento.
Pertanto, non furono nobilitati solo i partigiani (di cui la maggioranza della popolazione condivideva il programma per sconfiggere il fascismo) che si erano riuniti in bande dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e presero parte alla Resistenza2.
Furono nobilitati a posteriori come resistenti anche coloro che nel passato agirono in quanto gruppi terroristici d’avanguardia, senza che all’epoca avessero la certezza che le loro azioni avrebbero portato alla conquista della democrazia. Non possono essere ugualmente nobilitati, e neppure appena giustificati, i partigiani devianti che anche dopo l’avvenuta liberazione continuarono a compiere, al solo scopo di vendetta, azioni di sabotaggio e assassinii (Volante Rossa). Infatti, nel 1945 il movimento di massa partigiana della Resistenza si interruppe solo ufficialmente; nel ’46 alcuni dei suoi componenti continuarono a vendicarsi ancora contro i fascisti.
La data limite fu il 18 giugno 1946, allorquando il guardasigilli Palmiro Togliatti, dopo pochi giorni dal referendum istituzionale, considerando ormai superata la fase di istigazione al terrorismo degli anni precedenti, favorì la concessione di un’amnistia per coloro che «furono travolti da passione politica». Il Decreto n. 4 del 22 giugno 1946, pubblicato nella «Gazzetta Ufficiale» del 23 giugno, precisava che coloro che si trovavano in condizione di latitanza avrebbero dovuto costituirsi entro 4 mesi. Era ben chiaro a tutti che da quel momento i partigiani avrebbero dovuto astenersi da qualsiasi forma di lotta violenta. Evidentemente la Volante Rossa3 non aveva ancora raggiunto il proprio obiettivo politico, né credeva che il partito si sarebbe accontentato dei risultati politici raggiunti. Infatti, nonostante i vincoli imposti dall’amnistia, i partigiani ribelli che continuarono a «combattere», soprattutto quelli del milanese e del «triangolo rosso» fra Bologna, Reggio Emilia e Modena, furono aiutati dal partito a fuggire; vengono ancora oggi idealizzati al ruolo di «eroi».
A guerra terminata, in realtà, il Pci si era scomposto in due anime (due facce della stessa medaglia, ovvero «doppia morale»): la prima adottò un mezzo legale per perseguire la sua politica, l’altra adoperò un mezzo decisamente illegale. L’anima legale del Pci ebbe il compito di mitizzare e romanticizzare i partigiani e la loro figura, senza distinzione con gruppi che anche a fine guerra agivano isolati contro i nemici fascisti. L’anima illegale tendeva a proteggere, aiutandoli a fuggire, gli ex partigiani che continuarono a delinquere perché accusati di omicidi e vendette personali.
Alla guerra di liberazione non era seguito un completo processo di sostituzione delle figure amministrative e politiche locali compromesse con il fascismo. Ci fu, in pratica, una sostanziale continuità fra regime fascista e sistema repubblicano. Alcuni funzionari, fascisti o sospettati di essere tali, rimasero al loro posto provocando un malcontento diffuso tra le forze che avevano partecipato alla Resistenza. Per di più, fra coloro che in periodo fascista avevano goduto di privilegi era tipico un comportamento sociale altero e sprezzante che fomentò l’odio dei comunisti.
Per molti partigiani comunisti (coloro che furono identificati come capi storici delle Brigate Rosse e, alcuni di essi, artefici discreti e fondamentali del rapimento dell’onorevole Aldo Moro) le ragioni della guerra partigiana non si erano quindi esaurite con la sconfitta dei fascisti. La lotta non si sarebbe conclusa se non con la presa del potere e l’instaurazione «dell’ordine nuovo». Per i partigiani comunisti, ispirati dal modello sovietico, le prospettive democratiche, che si aprivano con la fine del conflitto, erano insignificanti. Moltissimi continuarono, perciò, a vivere una quasi clandestinità in attesa degli sviluppi della situazione e di più chiari ordini del partito. Esso, partecipando al riordinamento conservatore del Paese, aveva già dato ampiamente inizio alla politica della «doppia morale»: da un lato curava i rapporti con la Democrazia Cristiana in classico stile consociativo e dall’altro restava fedele al significato più radicale della lotta. In tanti pensavano che prima o dopo il partito avrebbe dato ordine di «tornare a combattere per la presa definitiva del palazzo»4. Anche in Grecia fu seguita la medesima logica. I partigiani continuarono a combattere per conquistare il potere senza consegnare le armi.
L’attesa dei partigiani fu interrotta dalla decisione (a volte individuale, altre volte di gruppo o del «partito locale») di tornare ad «agire». Accadde attraverso l’organizzazione Volante Rossa. Tra l’altro, il 18 settembre 1947 il ministro dell’Interno Mario Scelba aveva accusato il Pci di mire eversive: «Sono ben pochi in Italia − egli disse − coloro che credono che il Partito Comunista abbia scartato dal suo programma la conquista del potere e l’instaurazione di una dittatura totalitaria di tipo fascista».
Numerosi furono i reati gravi che essi commisero, dopo il 25 aprile 1945, quasi sempre per motivi di vendetta o di presunti motivi politici; in quest’ambito le forze dell’ordine, nell’operare indagini e investigazioni, si distinsero spesso per brutalità e torture durante gli interrogatori. In assenza di prove, le autorità, a volte, attribuirono i delitti a innocenti, i quali avevano il torto di essere noti partigiani comunisti. Anni dopo, infatti, molte accuse risultarono false. In altri casi, invece, con la complicità di esponenti amici della magistratura, i crimini commessi dai partigiani comunisti vennero poi attribuiti ad altre forze politiche.
Si verificò insomma un tale guazzabuglio fra accusa e difesa, fra partigiani e fascisti, fra reticenti e favoreggiatori, tra falsi accusatori e falsi difensori, per cui fu difficile risalire ai veri colpevoli di tanti assassinii. Per questo motivo, secondo i partigiani comunisti di più provata fede ortodossa dell’Emilia Romagna, la repressione di quei crimini fu la «repressione contro la Resistenza».
Quando iniziò la catena delle indagini e la ricerca dei colpevoli dei reati politici commessi dopo il 25 aprile 1945, si scoprì che le vittime furono circa quindicimila (tremila soltanto nella città di Milano). Centinaia di partigiani accusati di tali gravissimi reati, riuniti nell’associazione Volante Rossa, riuscirono a sottrarsi prima di essere individuati e giudicati. Li soccorse il Partito Comunista Italiano, disse Antonio Campolunghi, il quale, stringendo un accordo con il Partito cecoslovacco e non solo, riuscì a farli giungere in Boemia attraverso vie tortuose e clandestine percorse in Jugoslavia, Ungheria, Romania, Russia, Austria. Questo fu confermato da Sauro Ballardini che fu il primo, fra i partigiani comunisti implicati, a fuggire nell’ottobre del 1946: «Visto il clima dell’epoca, l’unica soluzione praticabile era di scappare dal nostro paese»5.
L’itinerario di fuga attraverso l’Austria e la frontiera cecoslovacca nei pressi della città di Mikulov fu attivato per ultimo e fu utilizzato da coloro che erano rimasti lungo tempo nella clandestinità in Italia. A Mikulov venivano presi in consegna dalla polizia segreta cecoslovacca e condotti nei luoghi stabiliti. Infatti, considerato il clima dell’epoca, l’unica soluzione praticabile era di scappare dal nostro Paese. E il Pci li aiutò a fuggire e li difese dalla giustizia italiana.
Nel ricostruire la loro fuga all’Est viene qui evitato di appesantire il racconto personale di inutili particolari. Le storie qui rappresentate sono la testimonianza di chi, superate reticenze, paure e ordini «dall’alto» accettò di parlare e narrare della propria vita. Si tratta di storie, riportate attraverso i fatti salienti – così come furono registrate – con l’aggiunta di elementi che consentiranno al lettore non familiare con il contesto politico e socioculturale dell’epoca di orientarsi.

2.

Prime notizie sulla fuga dei partigiani comunisti italiani in Cecoslovacchia

Nel 1949 le prime notizie sulla presenza di fuggitivi e clandestini comunisti italiani residenti in Cecoslovacchia iniziarono a trapelare nonostante le rigide precauzioni.
Il 18 agosto, infatti, una fonte fiduciaria (di origine cecoslovacca) del nostro Ministero dell’Interno informò che a Seletic vivevano 22 italiani, giunti di recente per «svolgere compiti non chiari»1: «Il 20 maggio 1949 un gruppo di 22 italiani è arrivato a Seletic (contea Jacin), Cecoslovacchia, ufficialmente per lavorare nelle foreste».
Il gruppo era composto da elementi «di scelta», di età fra i 24 e i 30 anni. Tutti erano stati partigiani durante l’ultimo conflitto e avevano esperienza militare. Fra loro, sei parlavano francese e uno il russo. Ricevevano quattro visite alla settimana da parte di un italiano, dottore in filosofia presso l’Università di Praga, da cui prendevano istruzioni. Tra l’altro, «durante il recente Congresso del Partito Comunista Ceco il gruppo ha ricevuto anche una visita dei capi della delegazione del Pci; ogni domenica ricevono visita da un ufficiale del Pcc».
La stessa fonte confidenziale sostenne che tutto il gruppo fece ritorno in Italia nel periodo fra agosto e dicembre per esplicare compiti specifici di «organizzatore partigiano».
Già nel settembre era stata interessata la Legazione ...

Table of contents

  1. Storia segreta del Pci
  2. Colophon
  3. Indice
  4. Introduzione
  5. Tavola sinottica
  6. Parte prima Terrorismo, resistenza, fuga e vita dei partigiani in Cecoslovacchia
  7. Parte seconda Dalla Primavera di Praga al rapimento di Aldo Moro e oltre
  8. Conclusioni
  9. Appendice
  10. Note
  11. Appendice documentaria
  12. Documenti consultati
  13. Ringraziamenti