Storia della Romania
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Storia della Romania

Florin Constantiniu

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La Storia della Romania (e implicitamente del popolo romeno), dall'antichità alle controverse vicende della "rivoluzione" del dicembre del 1989, è una sintesi scritta con la convinzione più volte espressa dall'autore che «i peccati di oggi sono, in tanti casi, i peccati di ieri, ripetuti, aggravati, proprio perché nascosti, taciuti dagli storici, per paura di essere biasimati per mancanza di patriottismo». Florin Costantiniu si è assunto l'impegno di prescindere dai dogmi, dai tabù, dalle distorsioni della divulgata storiografia "ufficiale" imposta dal regime precedente l'89, presentando una visione personale, non neutrale dal punto di vista identitario, tuttavia lontana da tentazioni nazionalistiche, «una visione dettata dal desiderio sincero di mostrare ciò che di positivo e negativo è accaduto nel divenire dei romeni come nazione e Stato» Lo storico romeno espone il succedersi degli eventi senza condizionamenti ideologici, strutturando la narrazione storica con l'analisi sia dei rapporti di forza tra gli Stati, sia quelli fra cittadini-sudditi e potere, presi in esame da diverse prospettive (giuridica, militare, religiosa culturale ed economica), ponendo in rilievo la questione agraria che ha attraversato tutto l'arco della storia romena.

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Information

Year
2015
ISBN
9788849845884

Parte quarta

Storia contemporanea

Romania Felix?

Dopo la catastrofe militare del 1916 e la pace onerosa di Bucarest del 1918, la Grande unione apparve alla società romena, soprattutto a quella del Vecchio regno, come il risveglio da un incubo che pareva non avere fine, e come un dono che la Storia, per una volta benevola, faceva al popolo romeno, dopo avergli fatto credere che la sua aspirazione all’unità fosse compromessa o, nel migliore dei casi, messa da parte per non si sa quanto tempo.
Questo inaspettato e felice esito ebbe anche un risvolto negativo. Avvenne qualcosa di simile alla campagna dell’armata romena del 1913 [contro i bulgari, nella seconda guerra balcanica]: allora, il conseguimento di una rapida vittoria, ottenuta praticamente senza combattere, aveva celato le carenze dell’organizzazione e della preparazione militare, i cui effetti si videro nel 1916 con il pesante tributo di sangue versato. Ora, nel 1919, l’euforia e la sorpresa della Grande unione facevano dimenticare – o facevano desiderare che fossero dimenticate – le gravi colpe e gli errori dell’apparato governativo e della classe politica, responsabili delle sciagure che si erano abbattute sul Paese. Anziché stabilire Le responsabilità (titolo di un opuscolo apparso nel 1918), così come aveva chiesto il generale Averescu nella primavera del 1918 (ma anche lui avrebbe poi desistito dal ricercarle), sull’onda della vittoria, gli errori venivano dimenticati e le colpe condonate: Brătianu si mostrò magnanimo nei confronti di Marghiloman – che un anno prima aveva chiesto l’incriminazione del governo Bratianu – perché sapeva quanto vulnerabile fosse la sua posizione (Averescu, e non solo lui, lo aveva mostrato chiaramente nelle sue Răspunderile – «Le responsabilità», appunto). Venne trovato il consueto alibi esterno, perché tutti ne uscissero innocenti e nessuno si sentisse colpevole di alcunché: la soverchiante superiorità del nemico e la vergogna degli Alleati per non avere tenuto fede agli impegni presi.
Dato che T. Maiorescu e P.P. Carp, sostenitori dell’alleanza con gli imperi centrali erano morti, e il conservatore A. Marghiloman era, politicamente parlando, «un uomo finito» [in italiano nel testo], anche se il Parlamento nel 1919 lo aveva acclamato, mentre Brătianu, suo avversario liberale, era stato accolto con freddezza, la sola personalità politica accusata di ciò che adesso viene chiamato «collaborazionismo» era Costantin Stere. Questi, per la rilevanza del suo pensiero politico e il ruolo determinante avuto nella realizzazione dell’unione della Bessarabia con la Romania, restava un pericoloso rivale politico. Gli avversari e i pretesi o supposti amici (per quanto possa valere l’amicizia in politica) gioivano nel vederlo ai margini dell’agone politico, tenuto permanentemente in scacco dalla minaccia di essere chiamato davanti a una corte di giustizia per aver stampato il giornale «Lumina» («La luce»), utilizzato in modo strumentale dalle autorità di occupazione come mezzo di propaganda al fronte e nelle retrovie, e per aver auspicato la detronizzazione di re Ferdinand.
Gli anni di guerra sottoposero la società romena a un esame impietoso. Superato degnamente dal mondo contadino, grazie al quale le penurie e le carenze dovute allo sforzo bellico non si erano trasformate in disastro, passato con successo dalla classe politica dei territori redenti, classe dirigente questa che diede prova sia di maturità politica che pratica, dato che seppe orientarsi con intelligenza e scaltrezza nel quadro venutosi a creare dopo il crollo degli imperi russo e austro-ungarico, ma non superato, quell’esame, dalla classe politica del Vecchio regno, incapace di andare oltre il gioco di basso profilo delle lotte di potere e innalzarsi verso l’ideale nazionale, anche a prezzo del sacrificio di sé.
Nelle sue memorie scritte durante la guerra, Ştefan Zeletin dichiara: «Sapevamo bene che non era stata la forza del nemico a vincerci, quanto piuttosto le colpe della nostra classe dirigente. Con questa dovevamo sistemare i nostri conti. Fra di noi (militari al fronte) non vi era uno che non avesse l’incrollabile convinzione che il nostro Paese sarebbe stato destinato alla rovina se non avesse sconfessato tanto i metodi quanto gli uomini del passato. Tutti condividevamo l’idea che si dovesse recidere il male alla radice e costruire il Paese su nuove basi. E di fronte a questo compito ciascuno si esaltava esponendo il proprio punto di vista. Oggi hanno dimenticato tutti la determinazione insita in quei propositi. Da noi si dimentica facilmente tutto». Il 1918, pur con l’avvento della Grande Romania, rappresentò, sfortunatamente, un «inaugurale» mancato.
Se, subito dopo la Grande unione si fosse avviato un processo politico (non giuridico) sulla condotta tenuta in guerra dai governanti, e non solo da quelli, e le responsabilità inerenti, se si fosse stabilito correttamente chi e quanto avesse sbagliato, la società romena sarebbe andata avanti nella sua nuova fase di sviluppo come un organismo sano, vigoroso, capace di rispondere alle nuove sfide che le si sarebbero presentate. Ma, dato che questo processo non ebbe luogo e i mali furono tenuti nascosti, e la compiacenza su ordinazione era diventata la parola d’ordine, e dato che la causa principale delle manchevolezze fu cercata all’esterno e non all’interno, la società romena presa nel suo insieme entrò nella nuova fase storica come un organismo roso da mali interiori, celati da coloro che erano chiamati a dirigerla.
A questa visione delle cose si potrebbe obiettare che nel periodo fra le due guerre la Romania conobbe il suo momento di gloria, che in soli due decenni l’economia nazionale dopo essere uscita dalla crisi del periodo 1929-1933 registrò un indubbio progresso; che sul piano culturale si affermarono personalità quali Emil Cioran, Mircea Eliade, Eugen Ionesco e altri, che conobbero fama mondiale [anche perché esuli che, per farsi conoscere, adottarono una lingua di larga diffusione]. Tutto ciò è vero, ma non annulla i mali che si erano annidati nella società romena, semmai li ha riconvertiti, proprio come la conchiglia che crea la perla con il granello di sabbia che vi penetra.
Nella storia universale, la borghesia si è dimostrata la classe dotata della più dirompente forza di creazione che l’umanità abbia mai conosciuto, e la società romena si è venuta integrando in questa realtà storica con la differenza che, a causa di circostanze sfavorevoli (in primis la lunga dominazione ottomana poco propensa per prassi e natura al capitalismo), la borghesia romena è rimasta relativamente debole e le sue azioni sono state proporzionali alle sue forze. Essa ha plasmato lo Stato nazionale e ha posto le basi dell’industria nazionale, ma nel suo sforzo di raggiungere questi obiettivi, non ha potuto scrollarsi di dosso la nefasta eredità orientale turco-fanariota, sia nella società che nella sua condotta politica.
La frattura tra governanti e governati è stata così profonda che persino l’istituzione preposta alla versione ufficiosa dei fatti l’Enciclopedie a României (L’enciclopedia della Romania, vol. I, 1938) ne ha constatato e analizzato le conseguenze: «fra la classe dirigente, dei potenti e degli abbienti, di coloro che possono influire sulla o tramite la politica (i governanti) e tutti gli altri, i governati, vi è una distanza incolmabile. […] I governanti non prendono provvedimenti radicali contro una legge iniqua o dannosa, ma vi si adattano, riscrivendola e svuotandola del contenuto che avrebbe dovuto avere nella mente dei suo autori. L’inesistenza di una classe di mezzo ha aggravato il divario fra gli uni e gli altri perché non ha potuto creare o preparare quel personale subordinato e qualificato per l’applicazione effettiva della legge, effettivamente corrispondente alle sue intenzioni e finalità». La Grande Romania, o per meglio dire la società romena all’interno delle sue frontiere, procedette nella evoluzione delle sue strutture continuando a utilizzare le vecchie coordinate della mazzetta e del favoritismo. Lo spirito civico, senza il quale non può esistere la vera democrazia, in queste condizioni non poté svilupparsi. Il filosofo e uomo politico Mihai Ralea ha osservato correttamente: «Di fronte a tutte le anomalie e ingiustizie il romeno tende ad adattarsi. Non si rassegna del tutto poiché di solito cerca individualmente di ottenere un miglioramento della situazione trovando per quanto possibile un aggiustamento attraverso insistenze o favori che lo renderanno o lo faranno sentire un’eccezione, un privilegiato. E una volta raggiunto lo scopo, la situazione generale gli sarà indifferente, non lo interesserà più». Non c’è da stupirsi se, in tale contesto, la democrazia si sia dimostrata fragile quando negli anni Trenta sarebbe stata aggredita da due totalitarismi – legionario e regio – che l’avrebbero presto abbattuta.
La gioia del compimento dell’unità nazionale fu turbata dalla crisi che si abbatté su tutto il continente in conseguenza delle distruzioni causate dalla guerra e della disorganizzazione del sistema di scambi economici. Ma se il presente era tempestato di difficoltà, il futuro pareva pieno di promesse. La guerra aveva cambiato, si potrebbe dire – data la rapidità delle trasformazioni – «da un giorno all’altro», l’aspetto e lo status della Romania in Europa. Se nel 1912 aveva un’estensione di 130.177 km2, con una popolazione di 7.160.682 abitanti, nel 1920 era arrivata ad avere una superficie di 295.049 km2, con 15.541.424 abitanti, divenendo in tal modo il decimo Paese in Europa per grandezza e il secondo, in Europa centrale, per numero di abitanti, dopo la Polonia. La Transilvania e il Banato apportavano una significativa dote industriale, mentre i giacimenti petroliferi della Valacchia promettevano di essere una cospicua risorsa nella misura in cui l’«oro nero» diventava il «nervus rerum» del mondo industrializzato.
Dal punto di vista della struttura etnica della popolazione, la Romania restava uno Stato nazionale anche dopo l’unione della Bessarabia, della Bucovina, della Transilvania e del Banato. Il peso delle varie minoranze era così ripartito, secondo il censimento del 1930:
Abitanti Percentuale
Romeni 12.981.324 71,9
Ungheresi (e secleri o secui) 1.425.507 7,9
Tedeschi (sassoni e svevi) 745.421 4,1
Ebrei 728.115 4,0
Ucraini 582.115 3,2
Russi 409.150 2,3
Bulgari 366.384 2,0
Zingari 262.501 1,5
Turchi e tartari 176.913 1,0
Gagauzi (turchi cristianizzati) 105.750 0,6
Cechi e slovacchi 51.842 0,3
Serbi, croati e sloveni 51.062 0,3
Altri (polacchi, greci, armeni) 170.944 0,6
Totale 18.057.028 100,0
L’apporto industriale della Transilvania e del Banato (con capoluogo Timişoara) fece crescere, naturalmente, il peso della popolazione operaia, senza però modificare fondamentalmente la struttura professionale della popolazione del Paese, caratterizzata come agricola. Il censimento del 1930 dà la seguente ripartizione della popolazione attiva, secondo le professioni:
Illustration
Nelle zone rurali la popolazione attiva occupata nello sfruttamento del suolo cresceva del 90,4 per cento, facendo della Romania un Paese in cui le masse contadine formavano la maggioranza della popolazione e davano un apporto decisivo al funzionamento dell’economia nazionale, prevalentemente agricola. Analizzando i dati del censimento del 1930, L’Enciclopedia della Romania nel 1939 traeva la conclusione che «la Romania può essere definita dal punto di vista delle categorie professionali come composta da una popolazione in maggioranza agricola, con un sistema di sfruttamento del suolo primitivo e a carattere familiare, un grado di industrializzazione modesto, ancora insufficiente (nonostante il progresso riscontrato negli ultimi 3-4 anni), un apparato amministrativo pletorico. Questa situazione spiega, tenendo conto anche della congiuntura internazionale, il reddito basso della popolazione rurale, l’alto costo dei prodotti industriali, il ritmo lento della circolazione dei beni e dei servizi e del commercio in genere – consentendo l’accumulo dei benefici nelle mani di pochi – e infine uno standard di vita modesto della fascia rappresentata dai funzionari».
Un mutamento di ampio raggio nel settore di base dell’economia nazionale – quello agricolo – fu determinato dalla riforma agraria del 1921, una fra le più radicali dell’Europa orientale (a eccezione naturalmente della Russia sovietica). Essa ebbe come conseguenza principale la scomparsa del ceto dei grandi possidenti. Se prima della riforma agraria alla grande proprietà (5.835 grandi proprietari) spettava il 47,7 per cento del terreno arabile, dopo di essa, la sua estensione si ridusse al 10,4 per cento, mentre la piccola proprietà contadina crebbe rispettivamente dal 52,3 per cento al 89,6 per cento del terreno arabile.
La riforma agraria eliminò l’ingiusta distribuzione della terra, determinando però la frantumazione della proprietà, come si può constatare dalla tabella seguente (compilata sulla base del censimento del 1930 e completata con i dati del 1934):
Illustration
Secondo l’opinione degli esperti espressa nella Enciclopedia României, «Questa frantumazione della proprietà contadina è deleteria e neutralizza i benefici sociali offerti all’agricoltura e alla popolazione rurale dall’ultima riforma agraria». Tuttavia convenivano che l’intervento di uno Stato che avesse assicurato una superficie minima della fattoria contadina, sarebbe stato in grado di garantire la sussistenza economica e un’esistenza decente alla famiglia contadina.
Nella realtà dei fatti, la soluzione adottata era sbagliata, in quanto non poteva essere messa in pratica e non poteva dare gli effetti sperati. Nessuna riforma agraria avrebbe potuto risolvere la questione contadina, conseguenza della suddivisione della piccola proprietà rurale dovuta alle eredità ramificate e successive. La soluzione del problema rurale doveva risiedere nella industrializzazione, nell’assorbimento della forza lavoro da parte dell’industria.
Nel periodo fra le due guerre, lo sviluppo dell’industria fu rimarchevole, come risulta dalla crescita della potenza motrice: rispetto ai 14,8 HP (cavalli-vapore), [l’unità pratica di potenza di una macchina, equivalente a 75 chilogrammetri al secondo, ovvero a 735,5 W] per mille abitanti nel 1915 nel Vechiul Regat, nel 1935 la grande industria utilizzava 28 HP per mille abitanti, e sull’intero territorio la potenza era arrivata a 30,5 HP per mille abitanti. Si può notare, quindi, che nel Vecchio regno ci fu un raddoppiamento del livello di potenza motrice, cosa che dà la misura del progresso realizzato dall’industrializzazione del Paese.
La crisi economica degli anni che vanno dal ’29 al ’33 colpì anche l’industria romena; ciò nonostante, il riassorbimento degli effetti della crisi non si lasciò attendere e, se il 1928 fu l’anno che conobbe il più alto numero di impianti industriali, nel 1937 gli altri indici di industrializzazione toccarono quote relativamente alte, come mostra la tabella seguente:
Illustration
La Romania, per la struttura e le tendenze della sua economia, appare come un Paese dai forti contrasti: nell’agricoltura, la preponderanza della piccola azienda contadina, primitiva e povera; nell’industria, con una consistenza ancora ridotta nell’economia nazionale, anche se in piena espansione, il principale ramo è quello petrolifero, mentre sotto l’aspetto della modernizzazione autentica lo è quello metallurgico. Gli indici principali sono i seguenti: da 1.851.303 tonnellate di petrolio nel 1921 si passa a 7.149.641 t nel 1937, mentre nell’industria metallurgica il valore della produzione (in migliaia di lei) cresce in un decennio da 8.575.686 nel 1927 a 10.494.414 nel 1937.
I divari nei settori economico-sociali, fra le classi e le categorie sociali e i rispettivi profitti e redditi, si mostrano chiaramente nel paesaggio urbano e l’ambiente circostante. Gli osservatori stranieri concordano nel rilevare lo strano accostamento fra il lusso...

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Constantiniu, F. (2015). Storia della Romania ([edition unavailable]). Rubbettino Editore. Retrieved from https://www.perlego.com/book/1242646/storia-della-romania-pdf (Original work published 2015)

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Constantiniu, Florin. (2015) 2015. Storia Della Romania. [Edition unavailable]. Rubbettino Editore. https://www.perlego.com/book/1242646/storia-della-romania-pdf.

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Constantiniu, F. (2015) Storia della Romania. [edition unavailable]. Rubbettino Editore. Available at: https://www.perlego.com/book/1242646/storia-della-romania-pdf (Accessed: 14 October 2022).

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Constantiniu, Florin. Storia Della Romania. [edition unavailable]. Rubbettino Editore, 2015. Web. 14 Oct. 2022.