Razionalismo in politica
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Razionalismo in politica

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In questo celeberrimo saggio del 1962, Michael Oakeshott definisce la filosofia del razionalismo politico moderno, orgogliosamente persuasa di poter fondare ogni analisi su una pregiudiziale avversione a qualsivoglia autorità e tradizione. L'ossessione per la perfezione e per l'uniformità segna in profondità quest'atteggiamento, che si basa sulla celebrazione della conoscenza "tecnico-scientifica" e sulla totale svalutazione di quella "pratica".La dimensione ideologica e semplificatoria della vita pubblica nell'età moderna – con tutte le sciagure che ciò ha comportato – è figlia di tale visione generale. I maggiori temi di discussione vengono così trattati in modo semplicistico e banalizzante, e sono esaminati soltanto sotto il profilo tecnico: cioè nell'assoluta incapacità di intuirne la complessità.Michael Oakeshott (1901-1990) è stato fra i maggiori filosofi politici del Novecento. Grande studioso di Thomas Hobbes, docente di scienza politica per vari decenni alla London School of Economics, è stato il massimo interprete del pensiero conservatore nel secondo dopoguerra. Le sue opere principali sono Experience and Its Modes (1933), Rationalism in Politics and Other Essays (1962), On Human Conduct (1975) e The Politics of Faith and the Politics of Skepticism (apparso postumo nel 1996).

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Information

Razionalismo in politica

Les grands hommes, en apprenant aux
faibles à réfléchir, les ont mis sur la route
de l’erreur.{1}
Vauvenargues, Maximes et Réflexions, 221
UNO
Scopo di questo saggio è considerare il carattere e la discendenza della più straordinaria moda intellettuale dell’Europa post-Rinascimentale. Il Razionalismo di cui intendo occuparmi è il Razionalismo moderno. Non vi è dubbio che la sua superficie rifletta la luce di razionalismi di un passato più distante, ma nella sua profondità vi è una qualità che gli è peculiare, ed è proprio questa qualità che io intendo esaminare, e segnatamente in riferimento al suo impatto sulla politica europea. Quello che io chiamo Razionalismo in politica non è, ovviamente, l’unica moda (né tanto meno la più feconda) nel pensiero politico europeo dell’età moderna. Si tratta tuttavia di una maniera di pensare forte e persistente che, traendo sostegno dalla propria parentela con molti altri fattori che hanno un forte peso nella composizione intellettuale dell’Europa contemporanea, è arrivata a influenzare le idee non soltanto di una, bensì di tutte le visioni politiche, travalicando qualunque linea di partito. In un modo o nell’altro, per convinzione, per la sua supposta inevitabilità, per i suoi presunti successi, o perfino per disattenzione, quasi tutti i tipi di politica sono oggi divenuti razionalisti o quasi-razionalisti.
Il carattere e l’indole generale del Razionalista non sono, a mio avviso, difficili da individuare. Fondamentalmente egli è un sostenitore (il Razionalista è sempre sostenitore di qualcosa) dell’indipendenza di pensiero in ogni occasione, della libertà di pensiero da ogni autorità che non sia la “ragione”. Le sue condizioni nel mondo moderno lo hanno reso litigioso: è nemico dell’autorità, del pregiudizio, di ciò che è semplicemente tradizionale, consuetudinario o abituale. Il suo atteggiamento mentale è scettico e ottimistico a un tempo: scettico, perché non vi è opinione, abitudine, credenza, nulla che sia così fermamente radicato o così ampiamente condiviso che lo trattenga dall’esaminare e giudicare tutto attraverso quella che egli definisce la propria “ragione”; ottimistico, perché il Razionalista non dubita mai del potere della propria “ragione” (se correttamente utilizzata) di determinare il valore di una cosa, la verità di un’opinione o la correttezza di un’azione. Egli è inoltre rinvigorito dalla sua fede nell’esistenza di una “ragione” comune a tutta l’umanità, un potere di valutazione razionale comune a tutti gli esseri umani, che costituisce il fondamento e l’ispirazione della discussione: fisso sulla sua porta brilla l’insegnamento di Parmenide (“giudica in base alla discussione razionale”). Accanto a questa qualità, che conferisce al Razionalista un tocco di egualitarismo intellettuale, egli è anche in qualche modo un individualista, in quanto trova difficile credere che qualcuno in grado di pensare onestamente e con chiarezza possa pensare in maniera diversa dalla sua.
È tuttavia un errore attribuirgli un’eccessiva preoccupazione per l’argomentazione a priori. Il Razionalista non trascura l’esperienza, anche se spesso dà questa impressione perché insiste sempre sul fatto che si tratta della sua esperienza personale (in quanto vuole iniziare ogni cosa de novo), e perché riduce con straordinaria rapidità il groviglio e la varietà dell’esperienza a un insieme di principi che potrà quindi attaccare o difendere in base a considerazioni unicamente razionali. Il Razionalista non ha il senso dell’accumulo dell’esperienza ma soltanto della disponibilità dell’esperienza quando questa sia stata convertita in una formula: il passato ha un significato per lui soltanto perché gli è di ingombro. Non possiede minimamente quella capacità negativa (che Keats attribuiva a Shakespeare), il potere di accettare i misteri e le incertezze dell’esperienza senza alcuna nervosa ricerca dell’ordine e della chiarezza, ma soltanto la capacità di sottomettere l’esperienza; non ha alcuna attitudine per quell’attenta e accurata valutazione di ciò che effettivamente si presenta alla nostra attenzione che Lichtenberg{2} chiamava entusiasmo negativo, ma solo la capacità di riconoscere il generico schema che una teoria generale impone agli eventi. La sua struttura mentale è gnostica e la sagacia della regola di Ruhnken, Oportet quaedam nescire,{3} non ha presa su di lui. Vi sono menti che ci danno l’idea di aver assorbito una raffinata educazione finalizzata a iniziarle alle tradizioni e alle conquiste della propria civiltà; l’impressione immediata che da esse riceviamo è di cultura, di godimento di un’eredità. Non è questo, però, il caso della mente del Razionalista che, nel migliore dei casi, ci appare uno strumento neutrale ben temprato, una mente ben addestrata piuttosto che educata. Dal punto di vista intellettuale la sua ambizione non è tanto quella di condividere l’esperienza della propria razza quanto di apparire una persona che si è fatta da sé. E questo conferisce alle sue attività intellettuali e pratiche un carattere di ponderatezza e consapevolezza pressoché straordinario che le priva di ogni idea di passività e le spoglia di qualunque senso di ritmo e di continuità, dissolvendole così in una serie di momenti critici, ciascuno dei quali deve essere superato da un tour de raison. La sua mente non ha atmosfera, cambiamenti di stagione e di temperatura; i suoi processi mentali, per quanto possibile, sono isolati da qualunque influenza esterna e avvengono nel vuoto. Ed essendosi isolato dalla conoscenza tradizionale della propria società e ritenendo di nessun valore qualunque educazione che vada al di là dell’addestramento a una tecnica di analisi, è prono ad attribuire all’umanità una necessaria inesperienza in tutti i momenti critici della vita, e se fosse maggiormente autocritico inizierebbe probabilmente a domandarsi con stupore come abbia fatto a sopravvivere la razza umana. Con una fantasia quasi poetica si sforza di vivere ogni giorno come se fosse il primo della sua vita, e ritiene che il crearsi un’abitudine sia sinonimo di fallimento. E se guardiamo al di sotto della superficie, senza avere ancora preoccupazione di analisi, possiamo forse intravedere nel temperamento, se non nel carattere, del Razionalista una profonda diffidenza verso il tempo, un’impaziente fame di eternità e un irritabile nervosismo di fronte a tutto ciò che è momentaneo e transitorio.
Ora, di tutti i mondi, il mondo della politica potrebbe sembrare il meno adatto a essere trattato razionalisticamente, in quanto la politica è sempre così profondamente venata di elementi tradizionali, legati alle circostanze e transitori. E, in effetti, alcuni convinti Razionalisti hanno ammesso la propria sconfitta su questo punto: Clemenceau, il quale è intellettualmente figlio della moderna tradizione Razionalista (per esempio, nella sua trattazione della morale e della religione), non fu affatto un Razionalista in politica. Ma non tutti hanno ammesso la propria sconfitta. Se prescindiamo dalla religione, le più grandi ed evidenti vittorie del Razionalismo sono nel campo della politica: è difficile immaginare che una persona pronta a trasferire il proprio razionalismo nella maniera di condurre la propria vita possa esitare a trasferirlo nella conduzione degli affari pubblici.{4}
Ciò che è tuttavia importante osservare in questo tipo umano (perché costituisce la sua caratteristica) non sono tanto le decisioni e le azioni che egli è ispirato a prendere o a fare, ma la fonte di questa ispirazione, la sua idea (e nel suo caso si tratterà di un’idea conscia e deliberata) di attività politica. Egli crede ovviamente nella mente aperta, la mente libera da pregiudizi e dal loro retaggio, l’abitudine. Egli ritiene che la “ragione” umana priva di impedimenti (se solo potesse essere indotta a questo utilizzo) sia una guida infallibile nell’attività politica. Egli ritiene, inoltre, che la discussione costituisca la tecnica e il modo di operare della “ragione”; la verità di un’opinione e il fondamento “razionale” (non l’uso) di un’istituzione sono le uniche cose che abbiano importanza per lui. Di conseguenza, buona parte della sua attività politica consiste nel trascinare l’eredità sociale, politica, giuridica e istituzionale della sua società di fronte al tribunale del proprio intelletto; quanto al resto, si tratta di amministrazione razionale, con la “ragione” che esercita una giurisdizione priva di controlli sulle circostanze del caso. Per il Razionalista nulla ha valore semplicemente perché esiste (né certamente perché è esistito per molte generazioni), la familiarità è priva di valore e nulla deve rimanere immutato per mancanza di un accurato esame. Egli è pertanto maggiormente incline a comprendere e a impegnarsi nella distruzione e nella creazione di qualcosa piuttosto che accettarla o riformarla. Rappezzare, riparare (ossia fare qualcosa che richieda una paziente conoscenza del materiale) sono per lui una perdita di tempo; egli preferisce sempre l’invenzione di un nuovo artificio all’utilizzo di un espediente d’uso corrente e ben collaudato. Non riconosce il cambiamento a meno che non si tratti di un cambiamento deliberatamente indotto, e di conseguenza cade facilmente nell’errore di identificare ciò che è tradizionale e consuetudinario con qualcosa di immutabile. Questo fatto è efficacemente illustrato dall’atteggiamento razionalistico di fronte a una tradizione intellettuale: non è pensabile, ovviamente, conservare o migliorare tale tradizione, perché entrambe queste opzioni implicano un atteggiamento di sottomissione; essa deve pertanto venire distrutta. E per rimpiazzarla il Razionalista inserisce al suo posto qualcosa di sua creazione, un’ideologia, il riassunto formalizzato del supposto substrato di verità razionale contenuto nella tradizione.
La conduzione degli affari, per il Razionalista, consiste nel risolvere problemi e, in questa impresa, nessuna persona la cui ragione sia divenuta inflessibile perché si è arresa all’abitudine o perché è obnubilata dai fumi della tradizione può pensare di avere successo. In questa attività il Razionalista afferma di rifarsi all’esempio dell’ingegnere la cui mente (si suppone) è controllata sotto ogni aspetto dalla tecnica appropriata e il cui primo passo consiste nell’eliminare dalla propria attenzione tutto ciò che non è direttamente legato alle sue specifiche intenzioni. Questa assimilazione della politica all’ingegneria costituisce quello che può essere definito il vero e proprio mito della politica razionalistica. E si tratta, ovviamente, di un tema ricorrente nella letteratura del Razionalismo. La politica a esso ispirata può essere definita la politica del bisogno momentaneo: per il Razionalista la politica è sempre istruita in base alla sensazione del momento. Egli attende che le circostanze gli forniscano dei problemi, ma rifiuta il loro aiuto al momento di risolverli. Il fatto che qualcosa possa ergersi a mo’ di ostacolo tra una società e la soddisfazione dei bisogni avvertiti in un particolare momento della sua storia a...

Table of contents

  1. Titolo pagina
  2. Sull’autore
  3. Razionalismo in politica
  4. Date
  5. Vita e opere
  6. Bibliografia