1. Etica normativa e frammentazione morale nell’età moderna
L’epoca in cui viviamo è pervasa da minacce alla pace, violenza, riscaldamento climatico, degrado ambientale, frodi, incompetenza, aumento della popolazione in alcuni paesi poveri, carestie e decadimento rapido dei nostri artefatti. Le stesse occupazioni di una volta sono superate. La tecnologia avanzata, perseguendo il miglioramento della qualità della vita, ha eliminato impieghi su cui molti facevano conto e ha contribuito all’aumento del costo della sanità. Le macchine hanno in parte reso obsoleto il nostro lavoro. Gli sforzi tecnologici finalizzati allo sviluppo umano hanno reso l’esistenza di molti più difficile e per tutti più pericolosa.
Il mondo odierno pone almeno due sfide importanti all’etica. Una è pratica: offrire principi guida per affrontare i problemi appena esposti. Abbiamo bisogno di punti di riferimento fermi per l’agire personale, istituzionale e internazionale. L’atra sfida etica è di natura teorica. Essa è in parte rappresentata dalla visione del mondo naturalistica (che comunemente si crede sia avallata dal progresso scientifico) secondo cui il mondo naturale (l’universo privo di enti soprannaturali) sarebbe l’unica realtà esistente e il metodo scientifico sarebbe l’unica via affidabile per conoscere il reale. Questo naturalismo non sembra lasciare spazio ai valori, al bene e al male intrinseco. La scienza sarebbe infatti tenuta a mantenersi «neutrale rispetto ai valori»1. Essa non dovrebbe emettere giudizi di valore al di fuori di quelli consentiti dai propri criteri interni di certezza, utili per accertare le proprie verità in base ai parametri di scientificità.
Anche coloro che non condividono l’assunto scientista (secondo il quale la scienza offrirebbe l’unica modalità di conoscenza attendibile del mondo e della natura) propendono facilmente verso lo scetticismo riguardo ai valori. I valori non si vedono. Possiamo contemplare un buon dipinto, ma la sua bontà non è come i colori e le forme e può sfuggire a molti osservatori. Analogamente possiamo osservare una buona azione, ma la bontà morale non è una proprietà che salta subito all’occhio, ne è visibile nei movimenti del corpo. Il valore non è nemmeno misurabile quantitativamente, né serve a formulare spiegazioni o descrizioni di natura scientifica2. Di conseguenza come possiamo a ragion veduta affermare che i criteri del corretto e del bene non siano una proiezione delle nostre preferenze? In assenza di un criterio di misura empirico, è davvero possibile stabilire principi condivisibili da tutti nonostante le molte differenze individuali e culturali?
Alla luce di queste sfide etiche e di altre che mi accingerò a descrivere, alcuni osservatori attenti del mondo contemporaneo potrebbero sentirsi alienati, disorientati e ansiosi. Sorprendentemente, “La Seconda Venuta” di William Butler Yeats anticipò già questi sentimenti. L’inizio della poesia recita:
Turbinando nel cerchio che si allarga
Il falcone non può sentire il falconiere
Le cose cadono a pezzi, il centro non può tenere.
Pura anarchia dilaga nel mondo
La marea insanguinata s’innalza e dovunque
La cerimonia dell’innocenza è annegata.
I migliori mancano di ogni convinzione mentre i peggiori
Sono pieni di intensità appassionata3.
In questo saggio, tratterò dei problemi pratici e teorici appena delineati, iniziando con l’elencare alcune risorse fondamentali di cui l’etica (tradizionalmente nota come “filosofia morale”) si avvale.
L’etica normativa – la tipologia di cui voglio principalmente discutere – ha tradizionalmente considerato tre domande correlate. Primo, la domanda sul carattere: chi è l’uomo buono? Più specificatamente, quali tratti del carattere costituiscono le virtù morali? Secondo, la domanda sull’agire: come dobbiamo comportarci nel distribuire risorse e oneri (per esempio, l’assistenza sanitaria e gli oneri militari)? Come dobbiamo regolare la nostra condotta? Terzo, la domanda sul valore: quali tipi di cose sono da considerarsi dei beni fini a sé stessi, che vale la pena ricercare in quanto tali, piuttosto che come dei mezzi in vista di altro? Il nostro punto di vista su questi beni condizionerà in gran parte il tipo e il contenuto dell’istruzione che privilegiamo. Esso determinerà anche ciò che ci sta a cuore.
Incomincerò con l’illustrare i quattro tipi di concezioni normative derivabili dall’una o l’altra delle tre domande sopraesposte: la domanda sul carattere, sull’agire e sul bene dell’uomo.
1. PRINCIPALI TIPI DI CONCEZIONI ETICHE
Esistono tante concezioni etiche, molte di più di quelle che posso trattare in questa sede. Le quattro concezioni che mi accingo a delineare sono ampliabili e combinabili in diversi modi. Prese individualmente o in combinazione, esse offrono una chiave per comprendere altri tipi di concezioni etiche. Costituiscono anche un punto di partenza per afferrare gli strumenti che la riflessione morale ha generalmente a disposizione per risolvere una moltitudine di problemi di grande attualità.
Etica delle virtù
L’etica delle virtù è una delle concezioni etiche più apprezzate. Essa esige che ciascuno sia buono, virtuoso, onesto, equo, gentile e retto. Platone e Aristotele hanno elaborato una concezione di questo tipo, le cui molteplici varianti hanno tuttora un seguito. Aristotele, ad esempio, non considera buono colui che ben agisce4. Egli definisce piuttosto le buone azioni come quel tipo di azioni che compie colui che è buono. In tal modo, Aristotele sembra considerare la virtù morale come prioritaria, dal punto di vista etico, rispetto all’atto morale. Riguardo al tipo di azioni considerate giuste, egli sostiene, ad esempio, che «le opere si dicono giuste e temperate quando sono tali quali le compirebbe l’uomo giusto e il temperante» (Etica a Nicomaco, 1105b5ff). Per Aristotele, virtù come la giustizia e la temperanza sono più fondamentali dei corrispettivi atti, dal punto di vista etico: «La virtù fa retto lo scopo e la saggezza fa retti i mezzi per raggiungerlo» (1144a).
Secondo l’etica delle virtù, gli attori morali e i tratti del loro carattere, non le norme dell’agire, sono di primaria importanza dal punto di vista etico. Si tratta di comprendere come sia giusto agire attraverso l’esame della natura e delle inclinazioni dell’uomo retto, non il contrario. Non prestabiliamo per esempio che l’essenza della giustizia consiste nel trattare tutti in modo equo, per poi definire giusto colui che di regola si comporta in questo modo. I modelli di vita sono assolutamente importanti per l’apprendimento morale sia per gli adulti sia per i bambini, nella vita ordinaria così come nella vita professionale. L’uomo saggio è il modello di vita principale in etica. Uomini di questo tipo incarnano tutte le virtù morali e costituiscono dei buoni consiglieri nelle decisioni etiche.
Aristotele esamina le virtù nel contesto della sua teoria sul bene umano. A tale proposito, egli afferma che il «bene più perfetto deve essere qualcosa di completo». Solo la felicità (la fioritura umana in alcune traduzioni) adempie questo prerequisito.
Ora la felicità è senza dubbio completa più di qualsiasi altra cosa [in quanto scelta per sé stessa]. Infatti, la scegliamo sempre per sé stessa e mai in vista di altro, mentre onore e piacere e intelligenza e ogni virtù li scegliamo, sì, anche per sé stessi - sceglieremmo infatti ciascuno di questi beni anche se non ne derivasse nient’altro -, ma li scegliamo anche in vista della felicità, [5] perché è per loro mezzo che pensiamo di diventar felici. (1097b1-5)5.
La felicità, dunque, costituisce il fine supremo: possiamo scegliere altre cose per sé stesse, ma solo quando «per mezzo loro» otteniamo la felicità. La felicità, tuttavia, non è un sentimento. Essa richiede un «certo tipo di vita», ovvero «attività» e «azioni accompagnate da ragione» (1098a 14). Il «bene dell’uomo», perciò, «consiste in un’attività dell’anima [della mente, grossomodo] secondo la sua virtù» (1098a 14-17).
L’etica ha a che fare in gran parte con la condotta morale. Considerando i tratti del carattere di primaria importanza rispetto agli atti, l’etica delle virtù può andare incontro alla seguente critica: può essa determinare come dobbiamo agire? Quale comportamento richiede da noi l’essere generosi o retti? L’etica delle virtù offre degli strumenti per rispondere a tale quesito, incluso l’appello alla saggezza pratica applicata al contesto decisionale. L’uomo saggio è un modello di virtù. In un noto passo, Aristotele definisce la virtù come «una disposizione concernente la scelta, consistente in una medietà in rapporto a noi, determinata in base ad un criterio, e precisamente al criterio in base al quale la determinerebbe l’uomo saggio. Medietà tra due vizi, tra quello per eccesso e quello per difetto […]» (1107a 1-4). Si consideri la beneficenza. Se relativamente alle mie possibilità sono egoista e indifferente ai bisogni altrui, questo è un difetto. Se regalo tutti i miei beni in una sola volta, così dall’essere impossibilitato in seguito a elargire anche ad altri, mi comporto in modo eccessivo. Entro tale prospettiva, la bontà delle scelte si misura in base a questo tipo di paragoni. Esiste, tuttavia, un approccio morale diametralmente opposto al primo il quale dà priorità alle azioni rispetto alle virtù del carattere. La contrapposizione tra i due approcci può aiutare a chiarire l’entità di entrambi.
L’Etica delle regole
Con tutta probabilità, l’etica delle regole è al giorno d’oggi la concezione etica predominante. Essa si contraddistingue generalmente per l’enfasi posta sulle norme dell’agire, la cui identificazione costituisce l’obiettivo principale dell’etica. Per quanto importanti siano le virtù, e da coltivare sin dall’infanzia, esse passano in secondo piano. Secondo i seguaci dell’etica delle regole, si possono per esempio trasmettere e coltivare le virtù della generosità e della rettitudine solo dopo avere appreso le norme che governano la generosità e la retta condotta.
Etica della prescrizione divina
Vi sono diverse tipologie di etica delle regole. L’etica della prescrizione divina è tra le più antiche e consolidate. Essa in parte stabilisce che ciò che dobbiamo fare è seguire le norme emanate da Dio6. I dieci comandamenti (Esodo 20: 1-17), i comandamenti dell’amore (Matteo 22:37-39) e il discorso della montagna (Matteo 5-7) sono tra i più noti esempi di principi morali emanati da Dio. I dieci comandamenti costituiscono un codice morale minimo. Essi proibiscono l’uccidere, il mentire, il rubare, l’avidità e l’adulterio7. A questi, i comandamenti dell’amore aggiungono (tra le altre cose) l’ingiunzione assai più esigente di amare il prossimo come sé stessi.
Codici di comportamento più specifici possono essere derivati da entrambe le tipologie di comandamenti. Tale deduzione non è tuttavia un esercizio scontato. Si consideri, ad esempio, quanto sia difficile stabilire se e quando gli avvocati difensori «commettono falsa testimonianza». Essi possono presentare un’immagine faziosa del caso anche senza mentire, distruggendo magari la credibilità di alcuni testimoni o esagerando l’importanza di alcune dichiarazioni veraci ma fuorvianti.
Per quanto l’etica della prescrizione divina sia di fondamentale importanza in tutte le principali tradizioni religiose, essa è normalmente difendibile solo all’interno di una prospettiva di fede particolare. In tal senso, a differenza degli altri modelli etici trattati in questo saggio, l’etica della prescrizione divina non rappresenta un sistema etico universale. Tuttavia, essa è comunemente ricollegabile agli altri modelli, in quanto molti dei loro requisiti coincidono. Nella seconda parte del saggio, prenderò di nuovo in considerazione l’etica della prescrizione divina, nel trattare della possibile integrazione tra etica e religione.
Etica kantiana
Un altro noto modello di etica delle regole è quello del grande filosofo del diciottesimo secolo, Immanuel Kant. Il suo principio fondamentale, l’imperativo categorico, afferma, in una delle sue tante formule, che noi dobbiamo sempre agire in modo da volere razionalmente che il principio del nostro agire diventi legge universale:
Agisci come se la massima della tua azione dovesse essere elevata dalla tua volontà a legge universale della natura8.
Di conseguenza, non mi è lecito abbandonare nessuno a morire sul ciglio della strada, se non posso razionalmente volere che tale pratica diventi legge universale – anche nel caso in cui i...