Capitolo 1
Soft power, infowarfare e conflitto geoeconomico
Premessa metodologica
Da non molti anni anche in Italia si è cominciato a prestare sempre maggiore attenzione al controllo del potere informativo, dei media e del sinergico connubio tra potere politico e potere economico che tale controllo consente anche in una relazione privato-pubblico. Anche se tale connubio definisce solo una delle modalità con le quali si estrinseca il Soft power, o “potere morbido”.
Secondo la definizione fornitane dall’enciclopedia Treccani trattasi dell’abilità nella creazione del consenso attraverso la persuasione e non la coercizione. Più estensivo il contenuto nella definizione fornitane da Wikipedia, che lo presenta come una abilità, cui si fa ricorso nelle relazioni internazionali per (citando): «persuadere, convincere, attrarre e cooptare, tramite risorse intangibili quali cultura, valori e istituzioni della politica».
Come noto, tale espressione è stata coniata negli anni Novanta dallo scienziato politico J. S. Nye Jr.(op. cit.) allo scopo di esplicitare come, in un mondo globalizzato, a dominare l’atlante politico non debba essere necessariamente lo scontro (anche cinetico) di civiltà, caratterizzato dal ricorso all’hard power, quanto piuttosto quell’insieme di interdipendenze valoriali (appunto potere “dolce”) con le quali gli Stati possono rafforzare il proprio potere, e rafforzare corrispondentemente la propria immagine a livello planetario.
Nye sostiene che:
States can attract other states through personality, high and popular culture, values, institutions, policies, and political values.
Ma fa piacere ricordare che un concetto analogo era già stato espresso oltre trenta anni fa (1987) dall’allora Col. C. Jean, quando, nell’incipit del suo articolo Rapporti economici e problemi del trasferimento delle tecnologie critiche (op. cit.), così scriveva: «La sicurezza non possiede le dimensioni solo militari. Riguarda anche il complesso delle relazioni politiche, culturali, economiche e tecnologiche fra gli Stati».
Tale potere morbido viene oggi a inserirsi in un contesto però inadatto a recepirlo sul piano delle codificazioni formali. Poiché la nozione di ibridazione della guerra cinetica non trova ancora una definizione codificata in trattati o carte costituzionali, come forse sarebbe opportuno. Tanto che la Costituzione italiana al riguardo prevede le sole due nozioni di guerra e di pace.
Ciò premesso, ne consegue che il ruolo della ie in rapporto al Soft power viene a caratterizzarsi nella ricerca ed elaborazione di quelle informazioni che consentano allo Stato:
•di identificare interventi mirati a condizionamenti cognitivi a livello politico-sociale, non percepibili come tali prima-facie, in quanto mascherati dal formalismo espressivo dei contenuti stessi, e anche
•di attuare con successo azioni di Soft power laddove richieste per il raggiungimento di obiettivi strategici ai fini della propria sicurezza nazionale, ivi compresi il depistaggio e anche il sabotaggio, ora prevalentemente attuato con mezzi informatici.
Da questa definizione emerge che il ricorso al Soft power può anche rappresentare un fattore complementare e di rafforzamento di altre misure di economic warfare, mirato a indebolire – per meglio colpire – potenzialità e vulnerabilità di sistemi economici e finanziari nazionali o regionali, con finalità che possono essere, oltreché difensive e offensive, anche preventive e controffensive.
Una affermazione calzante della rilevanza degli effetti del Soft power verso terzi è quella implicitamente contenuta nei capisaldi strategici del nuovo framework di sicurezza nazionale propugnato da Trump, in specifico nell’avvertimento a quanti cerchino di disegnare un mondo in antitesi ai valori e agli interessi americani, nonché nel mantra retorico dell’“America First”, quale obiettivo da perseguire anche con gli strumenti tipici del potere morbido. Facile immaginare che gli strumenti di matrice culturale del Soft power, in quanto utilizzati a fini di economic warfare, siano in toto assimilabili a strumenti di guerra ibrida. Associandoli a interventi di natura cibernetica o diplomatica, a false notizie, quando non ad altri metodi illegali o criminogeni, si cerca di influenzare l’avversario politico o economico, (Stati esteri, ma non solo) per condizionarlo nelle decisioni o per limitarne l’operatività, ma anche per destabilizzarlo o per provocare una polarizzazione della sua società. Per cui rientrano in questo armamentario di strumenti di guerra ibrida anche le azioni tipiche della lawfare, come le sanzioni economiche, create per operare sui due distinti piani operativi e offensivi: quello giuridico-legale e quello psicologico.
A questo punto è però necessario soffermarsi su alcuni distinguo di carattere semantico necessari a meglio qualificare l’ambito applicativo del Soft power. Il glossario dei nostri Servizi Informativi così definisce la nozione di rischio:
Sebbene spesso impiegato come sinonimo di pericolo e minaccia, il termine indica un danno potenziale per la sicurezza nazionale che deriva da un evento (tanto intenzionale che accidentale) riconducibile a una minaccia e dalla sua interazione con le vulnerabilità del sistema-paese o di suoi settori e articolazioni. Minacce, vulnerabilità e impatto costituiscono, quindi, le variabili principali, in funzione delle quali viene valutata l’esistenza di un rischio e il relativo livello ai fini della sua gestione, ossia dell’adozione delle necessarie contromisure (tanto preventive che reattive).
Mentre lo stesso glossario definisce la minaccia economico-finanziaria come:
Insieme dei fenomeni di illegalità economica (riciclaggio, pratiche distorsive del mercato, evasione fiscale e contributiva, contraffazione e contrabbando, etc.) e delle attività in danno degli interessi economici, finanziari, industriali e scientifici poste in essere da soggetti, statuali o non, con particolare riguardo a: infrastrutture critiche; livelli occupazionali e produttivi; patrimonio tecnologico e scientifico; libera concorrenza e operatività dei mercati finanziari.
(Ad avviso di chi scrive, questa definizione – nella sua generalità e genericità – consente di ricomprendervi le due fonti generatrici delle minacce, sia quella esterna al territorio italiano – oggi più frequentemente considerata – sia quella interna, riconducibile alle conseguenze di inconsapevoli errori di matrice politico-economica, e di cui si dirà più oltre.) Non si concorda pienamente con tali definizioni allorquando riconducono di fatto il rischio al danno potenziale causato dall’operare della minaccia. In considerazione della complessità delle forme con le quali azioni offensive di Soft power vengono attuate, è preferibile – ad avviso dello scrivente – parlare di “fattori di rischio”, “rischio” e “minaccia” come di tre ambiti separati ma funzionalmente e logicamente correlati.
Il fatto che l’Italia detenga un livello di indebitamento pubblico molto elevato in relazione a vari parametri costituisce un fattore di rischio. La probabilità che il nostro paese possa essere dannosamente contagiato/influenzato da un negativo evento geopolitico a rilevanza economico-finanziaria occorso ad esempio in un paese dell’eurozona, definisce un rischio. Mentre l’annunciata intenzione del presidente di una nazione estera di elevare dazi all’importazione di una serie di nostri prodotti se non ci conformassimo a condizioni proposte, ovvero...