Albert Camus
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A sessant'anni dalla morte

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A sessant'anni dalla morte

About this book

La tensione tra il dolore e la gioia di vivere, tra la miseria e il sole, attraversa tutta l’opera di Albert Camus. Vissuta, all’inizio sotto l’influenza di Gide, di Grenier e di Nietzsche, questa tensione si colora, nella produzione matura, di un pessimismo particolare che comprende non solo il divino ma anche l’umano. Un pessimismo che non impedisce una profonda gratitudine verso la vita come documenta l’ultimo romanzo incompiuto, L e premier homme. A sessant’anni dalla morte, una serie di saggi prendono in esame questi ed altri aspetti della produzione del pensatore francese.

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1. Il volto, la vita

Ma se la settimana di soggiorno sulle colline di Vicenza gli aveva dato la certezza della «sola felicità di cui sia capace: una coscienza attenta e amica», è soprattutto la scoperta della Toscana a rivelargli la musica del mondo. «Il flauto aspro e tenero delle cicale, il profumo d’acqua e di stelle», ammirati nelle passeggiate quotidiane della campagna vicentina, lascia il passo allo scenario maestoso delle città toscane, ai volti che la popolano, così familiari e comuni all’eleganza artistica che li custodisce: «Pisa, finalmente, viva e austera, coi suoi palazzi verdi e gialli, le sue cupole e, lungo l’Arno severo, la sua grazia. Come è nobile il suo rifiutarsi. Città pudica e sensibile. E così vicina a me di notte nelle strade deserte...che, passeggiandovi solo, la mia voglia di lacrime finalmente si sfoga. Qualcosa di aperto in me comincia a cicatrizzarsi», annota l’8 settembre [1] . E l’indomani: «Pisa e gli uomini sdraiati davanti al Duomo. Il Camposanto, le sue linee rette, i cipressi a ogni angolo. Si capiscono le discordie del Quattrocento e del Cinquecento. Qui ogni città conta, col suo volto e le sue verità profonde» [2] . «Mi sono soffermato su certi volti, ho bevuto certi sorrisi»; se i passi lungo l’Arno ritmavano la sua solitudine, basta una risata di donna, un’ora passata a oziare sull’erba di piazza dei Miracoli, l’acqua tiepida e fluida delle sue fontane per sentirsi ebbri di passione e di attesa: Firenze lo aspetta.
«I Giotto di Santa Croce. Il sorriso interiore di S. Francesco, innamorato della natura e della vita. Giustifica chi ha il gusto della felicità. Su Firenze una luce dolce e tenue. La pioggia attende e gonfia il cielo. La deposizione del Giottino: nei denti stretti il dolore di Maria» [3]. Ciò che interessa a Camus è il rapporto tra i volti umani e quello delle opere d’arte tra il senso della terra e quello della pittura. Tra la felicità terrestre e quella celeste, ma dove la prima motiva la seconda: «è perché ha il gusto della felicità che Francesco sorride». Così come lo strazio della Madonna è tutto nello sforzo fisico di trattenerlo. Il volto dice sempre la vita: è questa la lezione che abbiamo perduto. Alla Mostra Giottesca Camus si rende conto che «i volti dei primitivi fiorentini sono gli stessi che s’incontrano per strada ogni giorno», a testimonianza della grandezza dell’arte e dell’eternità della vita. Solo che «ci vuole tempo per accorgersi». Un criterio puramente utilitaristico ci ha diseducato a guardare i nostri contemporanei, e non sappiamo più vedere «ciò che vi è di essenziale in un viso» [4]. Se ci riuscissimo, ci renderemmo conto di quanto i primitivi senesi e fiorentini fossero capaci di esaltare la grandezza dell’uomo e la sua centralità. Non è infatti per ignoranza delle leggi prospettiche che hanno voluto ritrarre gli edifici più piccoli delle persone, ma per «l’ostinazione nel far credito all’uomo e ai santi che mettono in scena» [5]. Questo binomio inscindibile tra l’arte e la vita è confermato anche nelle note più sensuali: «Le rose di santa Maria Novella e le donne, questa domenica mattina, nelle vie di Firenze. Seni liberi, occhi e labbra che ti lasciano col batticuore, la gola secca e una vampata alle reni» [6]. C’è, in gran parte della produzione camusiana, una vena di panismo solare, una “esultante pienezza” del mondo. Tra possesso e privazione, essa motiva il suo ragionare per immagini, sostanziato da una irrefrenabile gioia di vivere ma governata da un equilibrio sempre precario: «Era tutto il mio amore di vivere: una passione silenziosa per ciò che, forse, era sul punto di sfuggirmi, una amarezza sotto la fiamma» [7].
È stato ipotizzato essere di suggestione plotiniana questo senso panico del tutto, questo «sole» che «è di più della storia». L’esigenza di Camus sarebbe quella di «una totalità indifferenziata, un’assoluta unità che precede l’intelligenza stessa» [8]. È una tesi fondata. Camus aveva studiato il neoplatonismo e sul confronto tra il pensiero di Plotino e quello del suo conterraneo, S. Agostino, aveva sostenuto la sua tesi di laurea [9]. Per quanto l’influenza del primo sul secondo sia stata importante, la differenza tra il pensatore cristiano e quello pagano è abissale, almeno su un punto. Il filosofo di Tagaste è tormentato dal problema del male, dal dramma della libertà e della salvezza. Per Plotino la libertà e il male sono un assurdo. «Occorrerebbe passare da Plotino a S. Agostino, ma Camus piuttosto che seguire una linea di sviluppo tra i due pensatori sembra portare l’inquietudine di Agostino in quella di Plotino; allora comincia a delinearsi l’assurdo e l’assoluto panico si precisa come esaltazione vitale» [10]. Camus non raccoglie la lezione di Agostino. Mutua da Nietzsche il concetto di “morte cosciente”: tenere «gli occhi aperti sulla luce come sulla morte» è l’impegno che lega il giovane scrittore algerino al filosofo di Rocken. È Nietzsche a insegnargli che «nessuna sofferenza ha potuto, né potrà, indurmi a portare falsa testimonianza contro la vita, come io la conosco» [11]. Per Camus non esiste altra verità, altra religione, che non sia quella, panica e mortale, dei sensi. Si definiva volentieri pagano. Per questo potrà dire di se stesso: non credo in Dio, e non sono ateo. Desiderare un altro mondo è tradire questa vita, l’amore breve di questa terra, caduco e generoso, le “nozze” tra l’uomo e la natura che gli fanno escludere qualsiasi promessa d’immortalità: «Che m’importava di rivivere nell’anima, e senza occhi per vedere Vicenza, senza mani per toccare l’uva di Vicenza, senza pelle per sentire la carezza della notte sulla strada da Monte Berico a Villa Valmarana?» [12]


[1] A. Camus, Taccuini, cit., vol. I, p. 49.
[2] Ibid.
[3] Ibid., p. 50.
[4] Ibid., p. 51.
[5] Ibid., p. 52.
[6] Ibid., pp. 52-53.
[7] Cfr. A. Rigobello, Camus, Istituto editoriale del Mezzogiorno, Napoli 1963.
[8] Ibid., p. 20.
[9] Cfr. A. Camus, Métaphysique chrétienne et néoplatonisme, Gallimard, Paris 1965, tr. it. Metafisic a cristiana e neo-platonismo, a cura di L. Chiuchiù, Diabasis, Reggio Emilia 2004.
[10] A. Rigobello, Camus, cit., p. 20.
[11] A. Camus, Taccuini, cit., vol. III, p. 278.
[12] A. Camus, Saggi letterari, cit., p. 51.

2. L’arte toscana, la religione del corpo

L’ebbro attaccamento sensuale alla natura, l’insaziabile fame di vivere «che è il sale delle mie giornate», è anche criterio di lettura dell’a rte toscana. In essa, lo spirito trova nel corpo la propria ragione: i pittori toscani «sono i romanzieri del corpo» [1] . Così l’amato Piero della Francesca è il rappresentante-principe di questa religione dove «l’amour de vivre» e «le désespoir de vivre» camusiani trovano una loro abbagliante conferma: «Uscendo dal sepolcro, il Cristo risorto di Piero della Francesca non ha uno sguardo umano. Non ha dipinto in viso nulla di felice – ma solo una selvaggia grandezza senz’anima che non posso fare a meno d’intendere come una decisione di vivere» [2] . Il giovane Camus ignora – volutamente? – l’ ésprit de geometrie che governa il capolavoro pierfrancescano, la filosofia umanistico-rinascimentale che lo sottende. Ciò che lo colpisce è la “fiamma” dello sguardo del Risorto, la forza selvaggia della figura che vuole imporre la sua legge di vita, il suo balzo felino a dominare la morte. Saranno invece i personaggi della Flagellazione ...

Table of contents

  1. Copertina
  2. Albert Camus
  3. Indice dei contenuti
  4. La colpevole innocenza del mondo
  5. Albert Camus, “MORALISTA”
  6. Storia e trascendenza
  7. Camus e la Toscana
  8. 1. Il volto, la vita
  9. 2. L’arte toscana, la religione del corpo
  10. 3. “Le dénuement”: i fiori, la morte
  11. 4. Il ritorno, le lacrime
  12. 5. Dall’“esilio” al ”regno”: l’ultimo addio
  13. La carezza della sfinge
  14. Il tempo come problema religioso