1. L’INIZIO DELLA PARTITA
All’improvviso, un rumore intermittente, cupo, sordo. Qualcuno bussava alla porta di legno.
Artemisia sospirò, un po’ indispettita, e sprofondò di qualche centimetro ancora nell’acqua calda. Aveva voglia di stare sola, in quel momento, ma non poteva scacciare nessuno, soprattutto se la chiamavano a quell’ora insolita: poteva essere qualcosa di importante.
“Avanti” disse, controvoglia.
La maniglia cigolò e si vide penetrare lentamente negli appartamenti del comandante supremo di Nox un uomo con la divisa delle guardie reali. Quando fu entrato definitivamente, il suo corpo venne attraversato dalla sorpresa e, istintivamente, fece per andarsene.
“Torno più tardi, mia signora, non volevo disturbare.”
Ma Artemisia, nuda e immersa nell’acqua, era senza vergogna o pudore. Perché vergogna e pudore possono essere provati solo in presenza di qualcuno a cui si riconosce un certo status d’importanza. Non si prova vergogna da soli in una stanza, non si prova pudore nei confronti di uno schiavo. Così Artemisia non provava vergogna e pudore di fronte ad un umano. Per lei non aveva valore.
Così, noncurante, fece un pigro gesto con la mano, bloccandolo nel suo intento di uscire.
“Stai pure, soldato. Hai qualcosa da dirmi?”
Disse queste parole con una tale calma, che il Kineth fu rincuorato e rimase. Nessuno aveva mai visto la Terribile Artemisia in un tale stato di languore e rilassatezza. Non pareva più lei, sembrava... sì, sembrava proprio un’umana, una bella e seducente donna, che nulla aveva a che fare con l’omicidio o la politica.
“Vi porto delle buone notizie, mia signora” fece il Kineth, piano, quasi volesse mantenere in quel luogo la pace e la calma del momento.
“Dimmi pure” lo spronò lei, chiudendo gli occhi e godendo dell’acqua calda.
“Gli informatori che avevate inviato mesi or sono ai Guardiani sono tornati, proprio poco fa. Erano stanchi e stremati: hanno viaggiato giorno e notte ininterrottamente per mettervi al corrente di ciò che hanno scoperto.”
“Hanno solo fatto il loro dovere, quello per cui vengono profumatamente pagati, non presentarmeli come gli eroi della nostra epoca. Dunque, che notizie portano?”
Il Kineth la guardava con interesse, adesso, mentre lei ancora non poteva accorgersene, con le palpebre abbassate.
“Sono entrati tre intrusi una settimana fa. Sono Diesiani.”
A quel punto Artemisia spalancò gli occhi.
“Come fate a saperlo?”
“Perché con loro c’è Ferybor Indilathior, signora, il comandante supremo di Dies.”
Artemisia dapprima parve proprio non crederci. Poi però allargò un sorriso e tornò a chiudere gli occhi, appoggiando la testa al bordo del recipiente di legno che fungeva da vasca da bagno.
“Ma pensa un po’, ha avuto il coraggio di ritornare. Non lo credevo, se devo essere sincera.”
Rise ancora, smuovendo un po’ l’acqua con le braccia.
“E gli altri chi sono?” chiese dopo una breve pausa.
“Purtroppo non lo sappiamo. Sappiamo che una è una donna bionda, ma non conosciamo la sua identità. L’altro è un giovane sui vent’anni.”
Artemisia non commentò, sembrava che fosse mentalmente impegnata, che stesse ragionando. Dopo un po’ aprì nuovamente gli occhi e si alzò in piedi, lasciando che l’acqua le gocciolasse copiosa dal corpo nudo, snello e perfetto.
“Hai fatto un buon lavoro, soldato.”
Artemisia uscì dalla vasca con sensualità, camminò verso la parete. Si coprì con una veste e, finalmente, guardò in faccia il Kineth.
“Se non hai nient’altro da dirmi, puoi andare. Mi occuperò io di riferirlo al re.”
Il soldato, allora, confermò che non c’era nient’altro da sapere e fece il saluto, andandosene. Artemisia, invece, continuò ad asciugarsi con tutta calma, sorridendo e pregustando già l’effetto che quelle informazioni avrebbero avuto su Knoth.
Rientrata nei suoi panni, Artemisia aveva riacquisito anche il suo solito carattere dominante e crudele. Niente era rimasto di ciò che il Kineth aveva visto in lei poco prima, né la calma, né la sensualità. Il bagno caldo era una delle poche cose che le facevano dimenticare il presente, che la rilassavano a tal punto da non pensare più a nulla. Era una delle poche volte che si sentiva umana, e come tale piena di sentimenti e passioni, e come tale cedevole alle più peccaminose tentazioni.
Ma ora, ora che era tornata nella vita reale, riemergendo dal limbo che l’avvolgeva talvolta, nulla era rimasto di quella sua parte passionale. Era tornata ad essere la sterminatrice più spietata di Nox, quella temuta persino dal diavolo in persona. E, ora, quella donna assassina e sterminatrice, se ne stava davanti al portone della Sala del Trono, indugiando. Pensava. Poi, poco dopo, si mosse e con forza spalancò le due ante di pesantissimo legno.
La Sala del Trono era una grande stanza rettangolare, col pavimento a scacchiera rossa e nera. Alcune mattonelle erano rotte, e ai due lati lunghi torreggiavano grandi finestre. Nulla stava in quel luogo a parte il trono di Nox, rovinato in più punti, i bassorilievi ormai irriconoscibili a causa dello scorrere del tempo.
Seduto sullo scranno stava il re, quell’uomo imponente e dall’aspetto ripugnante, reso ancora peggiore dalla lunga cicatrice che gli attraversava tutto il volto. In quel momento sembrava seccato da qualcosa che la vampira non riuscì a identificare. Contava comunque sul fatto che, dopo aver sentito le notizie che gli stava portando, il suo umore potesse migliore. O, almeno, fino a quando non fosse venuto a sapere del ritorno di Ferybor Indilathior; si mormorava che ancora dopo tanti anni il re avesse il sonno disturbato dal ricordo di lui. Ogni notte il comandante supremo di Dies si presentava al suo cospetto e lo perseguitava, ogni notte pareva che volesse fargli rivivere quei momenti di infamia.
Artemisia, ad ogni modo, doveva dirglielo. Anzi, sotto sotto, le interessava vedere che effetto avrebbe fatto la notizia del grande e trionfale ritorno dello sfacciato Ferybor. Ci sarebbe stato da ridere.
La vampira già gongolava interiormente, mentre si fermava dinnanzi al suo re.
“Finalmente ti fai rivedere, Artemisia” disse l’uomo, con tono scocciato.
“Qualcosa non va, mio signore?”
Knoth la fissò per un attimo.
“I cittadini di Zarhat sono sempre più inquieti.”
“Troverò il modo di calmali, non temete. Ora però aprite bene le orecchie, sono portatrice di notizie incredibili.”
Il re si fece attento.
“In che senso incredibili?”
Artemisia abbassò gli occhi e, con un sorriso, iniziò a camminare con aria di superiorità.
“Rammentate cosa vi dissi a proposito delle intenzioni di Enpera?”
Knoth si alzò irritato dal trono.
“Sbrigati a parlare, Artemisia!”
“Vi dissi” continuò lei, con calma, “che avrebbe tentato di salvare la ragazzina inviando una squadra di pochi membri, tentando un’operazione in incognito. E, pensate un po’, avevo ragione!”
“Che è accaduto?”
“Gli informatori hanno individuato tre persone attraversare i Guardiani sette giorni fa.”
Artemisia spiegò sorridente la situazione, servendosi delle poche informazioni di cui disponeva, ma ebbe cura di tenere il particolare del comandante supremo di Dies per ultimo.
Come previsto, il re rimase soddisfatto e il suo umore migliorò, venendo a sapere che Enpera era tutt’altro che intenzionata ad attaccare frontalmente. Appena Artemisia ebbe pronunciato il nome di Ferybor, però, il re cambiò completamente umore e saltò in piedi con aria iraconda.
“Lui? Lui? Quel dannatissimo elfo?”
Artemisia sorrise. Era esattamente la reazione che si sarebbe aspettata.
“Già, proprio lui. Quello che voi torturaste personalmente; quello che, nonostante i tormenti, non fece altro che gridare quel solito ed inutile nome, senza darvi alcuna informazione riguardo a Dies...”
“Basta!”
“Quello che riuscì a sfuggirvi con facilità, senza l’aiuto di nessuno. Quello che vi strappò l’occhio e vi sfigurò il volto...”
“Artemisia, ti avverto, smettila immediatamente!”
“Quello che vi mise in ridicolo davanti a tutto il regno.”
Il re perse definitivamente le staffe. Tentò di afferrare Artemisia per il collo, ma lei si scansò con un agile balzo. Poi mostrò le sue ali da pipistrello e volò verso l’alto, andando a sedersi su uno degli architravi di legno del soffitto,
“Quello che, ora, ha avuto il coraggio di ritornare, dimostrando al mondo intero che di voi non gliene importa un accidente. Bel tipo, vero?”
Artemisia rise di gusto e accavallò le gambe, mentre Knoth, con un gesto istintivo, si portava una mano sull’occhio cieco e si copriva la cicatrice.
“Eh, sì” continuò Artemisia, “quella storia è diventata leggenda, lo sapete? Quando si vuole ridere del re, nelle locande, c’è sempre qualche vecchio ubriaco che ricorda ancora quella vicenda. Pensate quale terribile crollo avrà la vostra immagine quando si verrà a sapere che è tornato”.
Il re alzò lo sguardo e le puntò contro un indice accusatore, come per ammonirla. Lei, però, continuò a parlare imperterrita.
“L’ho conosciuto anche io, sapete? Ah, già, lo sapete bene, perché era uno dei motivi per cui non volevate prendermi come comandante. Comunque, l’abbiamo avuto in casa per qualche giorno, e io ero incaricata di curargli le ferite. E, più ci ripenso, più continuo a ripetermi che quello aveva proprio un bel carattere e, se posso dirlo, anche un bel corpo.”
“Taci, Artemisia!”
Lei sorrise maliziosa, poi si alzò e prese a passeggiare con calma sull’architrave.
“Oh, non adiratevi, maestà. Volevo solo essere sicura che non ci fossero dubbi, che lo ricordaste bene.”
“Dubbi non ce ne sono affatto! È tornato! Quello stramaledettissimo elfo è tornato! Voglio che lo uccidi! Voglio avere la sua testa! Voglio vederlo morto!”
Artemisia finse uno sguardo stupito.
“Come, ucciderlo? Subito? Senza nemmeno giocarci un po’?”
“Guarda, Artemisia, sono stanco dei tuoi giochi e delle tue idee stupide. Io lo voglio morto, adesso. Non deve nemmeno arrivare a vedere la valle. E se vuoi qualcuno con cui divertirti, prenditi uno dei prigionieri e torturalo quanto ti pare, ma non provare a contrattare sul comandante!”
Artemisia incassò il colpo ma non si diede per vinta. Non voleva uccidere il suo amato avversario senza divertirsi. Per una vita aveva sognato di rincontrarlo e confrontarsi con lui, parlargli magari, e non avrebbe certo rovinato tutto così. Non poteva ucciderlo come tutti gli altri semplici prigionieri. Quello, per lei, era un ospite speciale.
Ferybor era l’unico uomo che avesse mai stimato e reputato degno di rispetto in tutta la sua vita, insieme a Heor, non poteva riservargli lo stesso destino degli avanzi di galera e dei traditori. No, andava ucciso con classe, con charme; con una leale battaglia e...