Il computer dimenticato
eBook - ePub

Il computer dimenticato

Charles Babbage, Ada Lovelace e la ricerca della macchina perfetta

Silvio Hénin

Share book
  1. 160 pages
  2. Italian
  3. ePUB (mobile friendly)
  4. Available on iOS & Android
eBook - ePub

Il computer dimenticato

Charles Babbage, Ada Lovelace e la ricerca della macchina perfetta

Silvio Hénin

Book details
Book preview
Table of contents
Citations

About This Book

Charles Babbage e Ada Lovelace siglano una delle più coinvolgenti collaborazioni scientifiche nella storia delle invenzioni. Lui, i cui interessi spaziavano dalla teologia all'economia industriale, fu inventore di numerosi congegni, tra cui la Macchina alle differenze e la Macchina analitica, antesignana (un secolo prima!) del moderno computer. Lei, Ada, figlia del poeta Lord Byron, fu la migliore interprete della visione di Babbage, anticipando concetti propri dell'information technology. Sullo sfondo dell'Inghilterra vittoriana, il volume racconta i passi di questo dinamico duo, in un'appassionante intreccio di scienza, tecnologia e umanità.

Frequently asked questions

How do I cancel my subscription?
Simply head over to the account section in settings and click on “Cancel Subscription” - it’s as simple as that. After you cancel, your membership will stay active for the remainder of the time you’ve paid for. Learn more here.
Can/how do I download books?
At the moment all of our mobile-responsive ePub books are available to download via the app. Most of our PDFs are also available to download and we're working on making the final remaining ones downloadable now. Learn more here.
What is the difference between the pricing plans?
Both plans give you full access to the library and all of Perlego’s features. The only differences are the price and subscription period: With the annual plan you’ll save around 30% compared to 12 months on the monthly plan.
What is Perlego?
We are an online textbook subscription service, where you can get access to an entire online library for less than the price of a single book per month. With over 1 million books across 1000+ topics, we’ve got you covered! Learn more here.
Do you support text-to-speech?
Look out for the read-aloud symbol on your next book to see if you can listen to it. The read-aloud tool reads text aloud for you, highlighting the text as it is being read. You can pause it, speed it up and slow it down. Learn more here.
Is Il computer dimenticato an online PDF/ePUB?
Yes, you can access Il computer dimenticato by Silvio Hénin in PDF and/or ePUB format, as well as other popular books in Biowissenschaften & Wissenschaft Allgemein. We have over one million books available in our catalogue for you to explore.

Information

Publisher
Hoepli
Year
2015
ISBN
9788820371234

Capitolo 1

LA SCENA

Immaginate un immenso berretto di cotone che cade improvvisamente sopra gli occhi della città, una nuvola di fumo mescolato con nebbia portata dal vento (…)
Si potrebbe credere che l’intera città sia soggetta a una sorta di incantesimo, i passanti assomigliano a fantasmi e noi stessi ci sentiamo un po’ spettrali.
Giuseppe Mazzini, lettera da Londra, 1837

Lo sfondo: il Regno Unito

La scena si apre sul Regno Unito di Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda, su cui dominava la dinastia degli Hannover. Nel 1800 l’unione contava 16 milioni di abitanti ed era ancora un paese prevalentemente agricolo, ma cent’anni dopo i cittadini sarebbero stati 41 milioni e la nazione sarebbe diventata la prima potenza commerciale e industriale del mondo. I possedimenti coloniali del Regno Unito si estendevano dal Canada alla Nuova Zelanda, passando per il Sudafrica, l’India e l’Australia; come aveva declamato secoli prima l’imperatore Carlo V d’Asburgo, anche i monarchi inglesi potevano dire con orgoglio che sulle loro terre “non tramontava mai il sole”. La perdita delle colonie americane con la guerra di indipendenza degli Stati Uniti e poi le guerre contro la Francia di Napoleone avevano prodotto non pochi danni all’erario, ma la Rivoluzione industriale cominciava a dare i suoi frutti e a produrre un vertiginoso aumento della ricchezza nazionale, anche se questa non era certo distribuita equamente. Anzi, il divario tra ricchi e poveri andava aumentando e ciò creava drammatici squilibri sociali, scontento e rivolte.
La Rivoluzione industriale era iniziata già nella seconda metà del secolo precedente e si fondava su tre elementi: la meccanizzazione della produzione, la divisione del lavoro e la concentrazione dei lavoratori in grandi stabilimenti. Il primo aveva permesso di utilizzare macchine di nuova invenzione per rendere più veloce la produzione, sfruttando prima l’energia dei corsi d’acqua e poi quella dei motori a vapore. La divisione del lavoro, cioè la frammentazione dei processi industriali in tante piccole operazioni elementari affidate a operai generici, aveva ulteriormente aumentato la produttività e abbassato i costi di produzione, migliorando i profitti. Il fenomeno era stato doloroso: molti abili artigiani, capaci di produrre di persona ogni manufatto dall’inizio alla fine, lavorando a casa propria, avevano visto scomparire il proprio lavoro ed erano stati sostituiti da operai non specializzati, perfino donne e bambini, ammassati in grandi fabbriche e pagati molto meno. Ne era scaturita una violenta rivolta capeggiata da gruppi di disoccupati soprannominati luddisti, dal nome del loro mitico ispiratore Ned Ludd. Le prime insurrezioni scoppiarono nel 1811 e si manifestarono con la distruzione delle macchine e degli impianti industriali e, da allora, “luddismo” divenne sinonimo di atteggiamento anti-tecnologico. Il movimento, che era stato sostenuto perfino da un Lord – George Byron –, si spense poi lentamente, anche perché erano intervenuti altri e più gravi problemi politici e sociali. Il luddismo non era riuscito a fermare la meccanizzazione, che anzi si estese non solo a tutti i settori produttivi, da quelli tessili a quelli metallurgici, dalle vetrerie ai mattonifici, ma anche ai trasporti terrestri, alla navigazione e alle attività minerarie. Ingegneri come George Stephenson e Isambard K. Brunel costruivano ponti, canali, gallerie, locomotive, linee ferroviarie e varavano transatlantici a vapore; fisici come Charles Wheatstone stendevano lungo le rotaie le prime linee telegrafiche che diventarono l’internet dell’Ottocento. Enormi fabbriche sfornavano chilometri di tessuti, tonnellate di stoviglie, milioni di spilli, bottoni e bottiglie. La tecnologia stava trionfando e presso la classe borghese era ormai vista come la sorgente di una nuova età dell’oro per l’intera nazione, un luminoso progresso destinato a continuare in eterno, rendendo tutti più ricchi e felici. Le grandi macchine sbuffanti e trasudanti olio erano il mito dell’epoca e le invenzioni di nuovi congegni erano un fatto quotidiano e un evento mediatico.
Nonostante questo trionfo della modernità, le istituzioni britanniche erano rimaste piuttosto arretrate. Il Parlamento si divideva nella Camera dei Lord e nella Camera di Comuni. La prima era popolata dai nobili proprietari terrieri che non venivano eletti, ma vi entravano per diritto ereditario.1 I membri della seconda erano invece eletti, ma solo un decimo della popolazione maschile adulta aveva diritto al voto, cioè coloro che disponevano di una proprietà del valore di almeno 40 scellini.2 Una drastica riforma elettorale fu faticosamente approvata nel 1832, ma i votanti aumentarono solo di mezzo milione; il suffragio universale era ancora molto lontano e pochi lo reclamavano. A fronte del veloce progresso tecnico e nonostante i numerosi uomini di ingegno che vi contribuivano con invenzioni e idee, anche l’educazione tecnicoscientifica del Regno Unito aveva accumulato crescenti ritardi. Le due maggiori università inglesi, Oxford e Cambridge, non prevedevano insegnamenti all’altezza delle aspettative di un paese in forte sviluppo. A Cambridge si insegnavano la fisica e la matematica di Newton, ormai piuttosto datate, a Oxford solo materie classiche e perfino le vecchie dottrine aristoteliche. Entrambi gli atenei erano ancora scuole confessionali strettamente legate alla Chiesa d’Inghilterra, che escludevano gli ebrei, i cattolici, altri nonconformisti e, naturalmente, le donne di qualunque fede. La prima università a introdurre insegnamenti di nuovo tipo fu lo University College di Londra nel 1826, che fu anche aperto a chiunque, senza discriminazione di fede o di genere. Non esistevano neppure scuole superiori dove si insegnassero materie tecnico-scientifiche, i prestigiosi collegi come Eton, Harrow e Rugby erano dedicati ai rampolli delle classi agiate che venivano preparati alle più alte cariche politiche e amministrative, compiti per i quali la fisica, la matematica e l’ingegneria erano considerate conoscenze inutili, se non dannose. Per la media borghesia vi erano solo poche scuole professionali per addestrare tecnici e operai specializzati, sostenute da donazioni di possidenti illuminati, ma, in generale, la formazione tecnica avveniva sul campo, con l’apprendistato e l’affiancamento a colleghi esperti.
Le cose non andavano meglio nel settore della ricerca e nelle società scientifiche. La ricerca era ancora un’attività privata, condotta da persone che potevano permettersi di esercitarla a proprie spese, e la formazione dei ricercatori era spesso autodidattica e dilettantesca. Nelle università non si svolgeva ricerca scientifica, ma solo insegnamento, e la scienza non era ancora una professione, nessuno poteva vivere di ricerca. Il termine scienziato (scientist) fu coniato nel 1833 da William Whewell, compagno di Babbage, proprio per distinguere questa figura da quella del filosofo e darle una connotazione professionale, ma si dovrà arrivare alla fine del secolo prima che il concetto moderno di scienziato e di ricercatore diventi realtà. Le poche organizzazioni che riunivano gli studiosi, prima fra tutte l’antica e gloriosa Royal Society fondata nel Seicento, erano ormai ridotte allo stato di circoli culturali di dilettanti. Poteva accedervi chiunque fosse presentato da tre colleghi e pagasse la quota annuale di 50 sterline, anche se era totalmente digiuno di scienza o di matematica; questo gli permetteva di aggiungere l’ambitissima sigla F.R.S. (Fellow of the Royal Society) sui biglietti da visita, come un fronzolo di moda e indice di uno status sociale. Le scoperte e le invenzioni importanti, infine, non erano incentivate con finanziamenti o borse di studio; l’inventore poteva solo contare su finanziatori privati, nella speranza che l’invenzione avesse successo e diventasse un bene commerciabile e redditizio.
Diversamente andavano le cose nel continente, soprattutto in Francia e nei paesi di lingua tedesca. Pur essendo leggermente in ritardo rispetto al Regno Unito in fatto di industrializzazione, i sovrani di questi paesi avevano messo in moto strumenti per incentivare e premiare la ricerca e l’innovazione. In Francia, il governo rivoluzionario e Napoleone avevano creato scuole tecniche superiori, come la prestigiosa École Polytechnique, e rinnovato quelle esistenti, come l’École des Ponts et Chaussées. Nei paesi tedeschi vi erano, a metà del secolo, nove scuole tecniche superiori e tutte le maggiori università avevano introdotto corsi di fisica, chimica e fisiologia. Le iniziative tedesche e francesi servivano ad allevare un corpo di tecnici professionisti per l’amministrazione statale, per le forze armate e per l’industria privata. Perfino negli stati dell’Italia preunitaria i governi locali cercavano di incentivare ricerca e innovazione, in particolare nel Granducato di Toscana, nel Regno Lombardo-Veneto e nel Regno di Sardegna. Nel continente la crescita tecnologica e il progresso scientifico erano considerati come eventi strettamente collegati tra loro e come valori nazionali da sviluppare e difendere.
Con tutto ciò, anche nel Regno Unito non mancavano scienziati di valore: fisici come Michael Faraday studiavano l’elettromagnetismo scoprendo i principi si cui si baserà l’utilizzo dell’elettricità per scopi pratici; chimici come John Dalton e Humphrey Davy cominciavano a gettare luce sulla costituzione atomica della materia; geologi come Charles Lyell rivedevano al rialzo l’età della Terra e il biologo Charles Darwin rivoluzionava l’intera storia della vita terrestre; matematici come Augustus De Morgan e George Boole fondavano la logica matematica, disciplina fondamentale per i moderni computer. Ma tutto era delegato all’iniziativa privata e lo Stato “lasciava fare”, almeno quando non ostacolava le iniziative con la burocrazia.

In primo piano: Londra

La capitale del Regno Unito, dove si svolge gran parte di questa storia, era la più grande città d’Europa e il primo porto commerciale del mondo; nel 1810 contava un milione e mezzo di abitanti che crebbero velocemente fino ai sei milioni della fine del secolo. Londra non era una città industriale, le manifatture si trovavano a nord, in città come Manchester, Liverpool e Birmingham, ma era il centro del capitale finanziario e lo hub dei commerci mondiali. La maggioranza della popolazione era povera, molti i disoccupati, ed era pervasa dall’alcolismo, dalla piccola criminalità, dalla sporcizia, da case cadenti e fredde, da bambini abbandonati e denutriti, da accattoni; per farsene un’idea basta rileggersi Oliver Twist o La piccola Dorrit di Charles Dickens. La popolazione era costituita soprattutto da immigrati che venivano dalle campagne inglesi, gallesi e scozzesi, cacciati dalla mancanza di lavoro agricolo, a cui si aggiungevano gli irlandesi, cacciati dalla carestia che aveva colpito il loro paese. Avendo poche industrie, Londra non poteva garantire lavoro a tutti costoro, che finivano per vivere di espedienti e dormire in tuguri. Poi vi era l’altra Londra, il centro amministrativo del Regno, la sede del Governo, la residenza della casa reale, dei nobili e dei ricchi borghesi. Le due Londra vivevano a stretto contatto e si intersecavano, le barriere sociali erano implicite, ma insuperabili. Non mancava una classe intermedia di insegnanti, artisti e artigiani, maggiordomi e istitutrici, commessi, impiegati e uscieri, ma questi “finché avevano il loro impiego si sentivano mezzi signori, senza impiego decadevano fino a diventare goffe, superflue e fastidiose nullità”.3
Figura 1.1 – Londra, Westminster, sede del Parlamento prima dell’incendio (Incisione di J. Shury & Son, stampata da Day & Haghe, 1833).
La Londra ottocentesca era costituita da quattro zone principali. A sud del Tamigi vi era un’area poco popolata, ancora non propriamente parte della città e ancora prevalentemente agricola, divisa in tanti piccoli borghi che si stavano rapidamente inurbando. A nord-est, verso l’estuario del grande fiume, vi erano i docks, i grandi impianti portuali fatti di moli, cantieri, magazzini e miriadi di piccole attività legate al commercio marittimo. Il resto della zona era misero, abitato dal proletariato, da mendicanti professionisti, da prostitute e locali di infimo ordine, da puzzolenti attività come le concerie di pellame. L’East End era anche l’area della criminalità dove, alla fine del secolo, si aggirava Jack lo Squartatore. Nel centro della capitale vi era la City, con le banche, le assicurazioni, gli uffici delle maggiori imprese commerciali; grandi palazzi tra cui risaltava imponente la cattedrale di San Paolo. Il lato occidentale della città, il West End, era l’area più signorile della metropoli. Nella parte meridionale vi erano il palazzo reale, Buckingham Palace, e il palazzo di Westminster, sede dei due rami del Parlamento. La grandiosa architettura goticheggiante che oggi conosciamo non faceva parte dello skyline di Londra nel periodo di cui parliamo. I vecchi edifici (figura 1.1) furono quasi totalmente distrutti da un incendio nel 1834 e la loro ricostruzione nel nuovo stile richiese molto tempo. L’attrazione di tutti i turisti, le caratteristiche Torre Vittoria e Torre dell’orologio con il Big Ben furono terminate più di vent’anni dopo l’incendio. Più a nord si trovavano le residenze di nobili e ricchi borghesi e i due grandi parchi pubblici, Hyde Park e Regent’s Park che, con il più piccolo Saint James Park, costituivano il polmone verde della città.

West End, una sera di fine primavera

Nella serata di lunedì 17 giugno 1833, la casa al numero 5 di Dorset Street, situata tra i due grandi parchi pubblici, era animata dalla presenza di molte persone, come spesso succedeva durante la stagione mondana londinese. L’evento era uno degli ultimi per quell’anno: con il caldo estivo il fetore che saliva dal Tamigi – una vera cloaca a cielo aperto – sarebbe diventato insopportabile e coloro che se lo potevano permettere avrebbero lasciato la città per le loro residenze di campagna. Quella sera si cominciava già ad avvertire il leggero olezzo che veniva da una stalla vicina, ma gli ospiti erano abituati a ben altre puzze e non ci facevano caso. I numerosi invitati si spostavano in continuazione da un locale all’altro, conversando e ridendo. Certo non erano lì per il buffet, che si limitava a tazze di tè e a fette di pane nero imburrate. Il padrone di casa, un uomo sui quarant’anni, di media statura e sobriamente elegante, cercava di intrattenere un po’ tutti, a volte solo con qualche battuta, un breve aneddoto, un pettegolezzo o un gioco di parole, altre volte con una conversazione colta. L’uomo era noto non solo per la sua intelligenza e la sua erudizione, ma anche per la sua capacità di affascinare gli ascoltatori, per la sua socievolezza e per una forte propensione all’ironia. Le sue battute erano spesso sarcastiche e pungenti, a volte così sottili da non essere capite all’istante, ma mai volutamente offensive: gli attacchi feroci preferiva scriverli.
I ricevimenti in Dorset Street attiravano molte delle personalità più in vista dell’Inghilterra ottocentesca e anche stranieri di passaggio, e potevano riunire da duecento a trecento persone alla volta. Vi si incontravano aristocratici e politici, come Lord Wellington, vincitore di Waterloo e Primo Ministro, o Lord Ashley, filantropo e riformatore degli istituti per malati di mente. Vi si potevano trovare scienziati come Charles Wheatstone, fisico, crittografo e inventore di un telegrafo, o come Michael Faraday, scopritore di quei fenomeni dell’elettromagnetismo che ci hanno permesso di disporre di motori elettrici, radio e televisione. L’astronomia era rappresentata da John Herschel, figlio dello scopritore del pianeta Urano ed ex compagno di università del padrone di casa. La matematica e la logica erano impersonate da Augustus De Morgan e da Mary Somerville, traduttrice di libri di analisi e autrice di testi scientifici. Letterati, attori e musicisti non mancavano: tra loro era ospite assiduo Charles Dickens, il più grande romanziere dell’era vittoriana, l’autore de Il circolo Pickwick e David Copperfield. Anche il geologo Charles Lyell e il naturalista Charles Darwin erano tra i frequentatori, ma quest’ultimo non poteva esserci quella sera di giugno, si trovava dall’altra parte del mondo a studiare strane specie animali, studi che avrebbero sconvolto l’idea che l’uomo aveva di se stesso e della propria origine. Fu proprio Lyell a introdurre Darwin a quelle serate, promettendogli che avrebbe incontrato “il meglio dei letterati di Londra e numerose belle donne”. Non erano rari gli stranieri, come Luciano Bonaparte, il fratello repubblicano di Napoleone, e Camillo Benso, conte di Cavour. Vi erano anche persone meno famose, gentiluomini e dame dell’alta società e della ricca borghesia. In quei tempi era quasi un obbligo sociale frequentare i salotti buoni, in particolare quelli scientifici e intellettuali, non tanto per ciò che si sarebbe imparato, ma per chi vi si avrebbe incontrato, per poter alimentare quella frenetica circolazione di pettegolezzi e maldicenze che farebbe impallidire i nostri Facebook e Twitter.
Oltre alle chiacchiere da salotto e alle disquisizioni colte, le serate in Dorset Street erano ambite anche per i curiosi oggetti meccanici che l’anfitrione orgogliosamente mostrava e spiegava ai suoi ospiti. Era l’epoca del trionfo della meccanica e, in un mondo dove le uniche tecnologie sofisticate presenti nelle case dei ricchi erano le serrature, gli orologi e i girarrosto,4 ogni nuovo meccanismo era oggetto di meraviglia. Tre anni addietro era entrata in servizio la prima linea ferroviaria da Liverpool a Manchester e da un decennio navi di ferro a vapore traversavano l’Atlantico; telai meccanici, pompe idrauliche, mulini e macchine utensili mossi dal vapore riempivano ormai le grandi fabbriche della Rivoluzione industriale. L’esibizione di una nuova invenzione diventava perciò un evento mondano, ambìto come il ballo di corte o la caccia alla volpe. Nella casa di Dorset Street vi erano almeno due curiosità meccaniche da ammirare. La prima era un misterioso marchingegno fatto di ingranaggi di bronzo connessi fra loro, che portavano incisi dei numeri sulla circonferenza. Il secondo era un’argentea figurina femminile alta trenta centimetri che reggeva, sull’indice della mano destra, un minuscolo uccellino; caricata la molla, il volatile muoveva il becco, le ali e la coda. La figura era stata accuratamente vestita con l’aiuto di un’amica del padrone di casa: per il pudore vittoriano la nudità era accettabile solo nei quadri e nelle statue dell’antichità classica, ma sempre con giudizio e qualc...

Table of contents