Gli economisti: indovini o scienziati?
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Gli economisti: indovini o scienziati?

Come e perchè a volte ci azzeccano

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Gli economisti: indovini o scienziati?

Come e perchè a volte ci azzeccano

About this book

Gli economisti, soprattutto negli ultimi tempi, non godono buona fama: li si accusa di non aver previsto la crisi iniziata nel 2007 e di non riuscire a proporre soluzione adeguate per uscirne. Per alcuni aspetti questo giudizio è condivisibile. Ma è anche ingeneroso nei confronti di quelli che la crisi, al contrario, l'avevano predetta. Questo volume ricostruisce il percorso di una scienza che, nonostante tutto, ha concorso in modo determinante a favorire la crescita materiale e il benessere dell'umanità. Certamente gli economisti non sono indovini e può darsi che alcuni di loro non siano scienziati a tutto tondo, tuttavia in molte occasioni ci hanno preso.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2015
eBook ISBN
9788820369651

Postfazione

THE BIG FOUR: DIALOGHI IMPOSSIBILI

Questo capitolo è dedicato a economisti che il Nobel non lo hanno mai vinto. E non perché non lo meritassero, ma per ineludibili questioni anagrafiche: tutti operarono e vissero ben prima che venisse istituito il premio. Il fatto che non abbiano vinto il Nobel li accomuna, ma c’è un altro motivo per cui abbiamo scelto di illustrarne brevemente la vita e le opere: si tratta di autori che, ciascuno a proprio modo, hanno modificato in misura sostanziale lo studio delle cose economiche. Il loro apporto si è tradotto in “momenti d’oro” per la scienza economica. Grazie alle loro riflessioni si è arrivati a un giro di boa determinante.
Ovviamente, in questo come in tutti gli altri capitoli del libro, sono maggiori le omissioni che le presenze e mai come in questo caso ci rendiamo conto dei tagli crudeli che abbiamo deciso di fare.
Utilizziamo per questa parte un criterio stilistico diverso rispetto a quello usato nel resto del libro: il ricorso all’artifizio letterario dei dialoghi impossibili. Abbiamo cioè immaginato di andare a trovare ciascuno degli economisti sui quali è caduta la scelta, per intraprendere con loro una conversazione, per l’appunto impossibile.
Non sappiamo se il “trucco” letterario qui utilizzato possa essere gradito ai lettori, ci è sembrato però un buon metodo per affrontare argomenti basilari nella scienza economica con un tratto stilistico maggiormente discorsivo.

Adam Smith

Adam Smith (1723-1790) nasce a Kirkaldy, in Scozia. Si racconta che a quattro anni fu rapito da una banda di zingari, i quali però furono costretti ad abbandonarlo quasi subito perché inseguiti dallo zio di Adam: in pratica questo episodio è l’unico momento movimentato della vita di Smith, che per il resto si svolse tranquilla e senza drammi.
In gioventù conosce i maggiori esponenti dell’illuminismo scozzese e stringe una forte amicizia con David Hume, al quale resta legato per tutta la vita. Nutre un’ammirazione critica per Francois Quesnay, conosciuto durante un soggiorno in Francia: a lui avrebbe voluto dedicare la sua Ricchezza delle nazioni, ma l’autore francese muore prima della pubblicazione dell’opera.
Ricopre incarichi di docenza presso l’università di Edimburgo e poi a Glasgow, dove scrive la Teoria dei sentimenti morali (1759). Negli anni a seguire si occupa della preparazione di un’Indagine sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni che pubblicherà nel 1776. Grazie alla notorietà acquisita con le sue opere può condurre un’esistenza tranquilla, circondato da amici e parenti.
La sera dell’11 luglio 1790 Smith riunisce per la consueta cena della domenica un gruppo di amici. Si è già ritirato quando torna sui suoi passi dicendo: “Signori, mi piace la vostra compagnia, ma credo che debba lasciarvi per un altro mondo”. Quella stessa notte Adam Smith muore nel sonno.
Kirkaldy (Scozia), ottobre 1776
Arrivo a Kirkaldy da terra, dopo un lungo viaggio dal sud dell’Inghilterra. Come d’abitudine da queste parti a ottobre, piove e fa già freddo. Ho appuntamento con il dottor Smith e mi affretto ad arrivare a casa sua in High Street per tempo, senza neppure cambiarmi d’abito. D’altra parte, conoscendo la proverbiale distrazione di Smith, non escludo che possa essersi dimenticato dell’incontro.
La casa si affaccia su una delle vie principali della città. È modesta ma dignitosa, probabilmente abbastanza comoda per Smith e per la madre. Busso alla porta e dopo poco si affaccia una signora anziana ma dal viso ancora giovanile: immagino sia la madre di Smith e le chiedo di poter parlare con il figlio, avendo con lui un appuntamento. La signora Smith mi fa entrare e mi introduce in una stanza attigua, le cui pareti sono tappezzate di libri, a eccezione di quella di fronte a me, dove si trova un grande camino con il fuoco già acceso.
La signora mi chiede di attendere: il figlio scenderà da lì a poco, nel frattempo posso scaldarmi al fuoco del camino e bere un the caldo che è già pronto per me. Infreddolito come sono, apprezzo molto queste piccole cortesie e, mentre attendo, mi guardo intorno. Leggo qualche titolo dei libri disposti sugli scaffali: ovviamente vi è tutto quello che ha scritto il suo amico David Hume, poi vedo le opere di William Petty tra cui un esemplare di Noterelle sulla moneta, un suo lavoro ingiustamente dimenticato.
Non manca un’edizione francese del Tableau Economique di Francois Quesnay che, immagino, Smith ha comperato in Francia durante il suo soggiorno di qualche anno fa. E poi Voltaire, Rousseau e gli altri illuministi.
Ora capisco perché in passato si è descritto a un amico con questa espressione: “Nulla è bello di mio se non i miei libri”. Una biblioteca così ricca la dice lunga sull’erudizione del suo proprietario e sulla vastità dei suoi interessi, e si comprende quanto poco uomini come lui apprezzerebbero di essere incasellati in una categoria come quella degli “economisti”…
Smith ha licenziato pochi mesi fa la sua Ricchezza, scritta proprio in questa casa e, per gran parte, in questa stessa stanza dove adesso mi trovo a sorseggiare il the e a curiosare fra i libri di questo studioso destinato a essere considerato, a torto o a ragione, il fondatore dell’economia come scienza.
Ecco che Adam Smith compare sulla porta: non è certo quel che si dice un Adone. Il labbro inferiore è prominente, il gran naso aquilino e gli occhi sporgenti sotto pesanti palpebre non lo rendono un uomo attraente. Mentre si avvicina per stringermi la mano noto quello di cui già altri mi avevano detto: Smith soffre di una malattia nervosa che gli provoca un continuo tremolio della testa e un modo di parlare bizzarro e incespicante.
Nonostante questo, il suo fare gioviale e amichevole lo rende subito simpatico. Comprendo perfettamente il fascino che dovette esercitare sui suoi studenti durante gli anni di insegnamento a Glasgow. Mi immagino le sue lezioni, dense di riferimenti filosofici, nelle quali l’economia non si distingueva dalle altre “scienze morali” per cui aveva la cattedra. E, del resto Smith è autore non solo della Ricchezza, ma anche della Teoria dei sentimenti morali: sulla coerenza fra le due opere vorrei chiedere chiarimenti al loro autore, ma prima mi preme qualche osservazione.
Conclusi i convenevoli di circostanza mi permetto di provocarlo con una considerazione che da tempo ho in mente: “Dottor Smith, perdonate se introduco le mie argomentazioni in modo così poco adatto alla gentilezza di vostra madre e vostra personale, ma devo raccontare la mia esperienza di viaggio. Dunque sono sbarcato a Londra con l’intenzione di risalire la vostra isola da sud verso nord. La stessa Londra me la immaginavo come quella dei dipinti del Canaletto, ma è tutt’altra cosa! Se si esclude l’area del centro, relativamente piccola, il resto della città è fatto di tuguri, di case fatiscenti, di strade fangose. E dappertutto odori nauseabondi di materiale organico in decomposizione”.
Mentre parlo Smith mi ascolta assorto camminando dinanzi al camino e ho modo di notare la sua andatura singolare: cammina in avanti, poi si ferma e scarta su un lato, poi di nuovo parte in avanti sul nuovo percorso. È un’andatura che un suo amico ha definito “vermicolare” e in effetti non saprei davvero in che altro modo descriverla.
“Risalendo l’isola – proseguo – ho visto di tutto, ma quasi tutto ben poco commendevole: le miniere sono luoghi terribili, gli stabilimenti industriali un concentrato di sfruttamento e di rumori tali da rendere l’inferno un luogo di villeggiatura. Quando piove, e qui piove spesso, dottor Smith, le strade che ho percorso diventano impraticabili, al punto che è meglio deviare su terreni non battuti, ma il cui drenaggio naturale consente di potersi muovere con un certo agio. Ora, dottor Smith, quello che non ho visto è l’equilibrio che presupponete sia presente grazie alla mano invisibile di cui parlate nella vostra Ricchezza. Dov’è quell’equilibrio che sembra essere il risultato dell’agire umano?”
Smith non appare colpito da queste mie osservazioni: ha probabilmente già intuito gran parte delle mie obiezioni, ma insisto sperando al tempo stesso di non risultare sgradito. D’altronde le condizioni di vita di tanti cittadini inglesi mi sono sembrate molto lontane dall’accettabile per un paese civile.
Lui mi interrompe con un cenno della mano: “Conosco anche io la situazione del mio popolo, perché per quanto mi muova poco da Kirkaldy, mi rendo ben conto di come vivono i lavoratori. Ma, vedete signor mio, voi avete letto la mia Ricchezza considerandolo un manuale, un libro di testo entro il quale trovare la soluzione economica ai problemi che ci assillano. In realtà io ho voluto scrivere un insieme di raccomandazioni alla classe politica del mio tempo: era quello il mio scopo. Vi sono contenute critiche alle tante opinioni il cui prevalere ha prodotto gravi danni a questo povero paese”.
E prosegue: “Pensate al mercantilismo. Nel mio libro più di duecento pagine sono dedicate ai mercantilisti e ai loro errori: non so dirvi se servirà a qualcosa aver smontato pezzo per pezzo il loro castello, ma era necessario. In un manuale destinato ai miei studenti non avrei potuto! Immagino già cosa diranno i miei futuri lettori: ‘Che libro esasperante!’. ‘Non c’è metodo in quello che scrive Smith!’”.
Gli confesso che anche io ho avuto questa impressione leggendolo: una montagna di erudizione che si stenta a dominare, ma in ogni caso alla fine non sembra esserci un costrutto logico, un punto di vista pienamente condivisibile perché organizzato e internamente coerente. Suppongo di non fargli cosa gradita: le critiche non piacciono a nessuno. E poi chi è questo italiano che osa eccepire sullo stile e il contenuto di un’opera di così grande importanza?
Niente di tutto questo accade. Al contrario, Smith sorride come se conoscesse già le contestazioni che il futuro riserberà al suo lavoro, mette un ceppo di legna nel fuoco, poi riprende: “Non intendo sfuggire alle vostre obiezioni, perché sono del tutto sensate. Il mondo che vediamo non è bello e il mio libro non aiuta a migliorarlo. Ma c’è un aspetto, che sicuramente avrete colto anche voi, il quale mi sembra centrale e che spero serva a chiarire la mia visione di equilibrio, che è poi quello che mi chiedete. Intendo bene?”
Annuisco. L’uomo è molto più intuitivo di quello che avevo immaginato! Smith riprende le sue argomentazioni: “Voi forse rammenterete, signore, il passo in cui sottolineo che ‘non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci attendiamo il nostro pranzo, ma dalla considerazione che essi hanno del loro interesse’”.
Certo che conosco il passaggio! È senza dubbio una delle chiavi di lettura del lavoro di Smith. Cito anche qualche parola del seguito del brano e lui mi guarda compiaciuto: forse non credeva che avrei potuto ricordare a memoria parti del suo libro. Probabilmente a questo punto immagina di poter parlare con maggiore approfondimento della sua concezione.
“Bene! – esclama – In quel passo si trova tutto! Ma esso non va isolato dal resto del mio lavoro: non è un inno all’egoismo, piuttosto l’esposizione in una forma metaforica del funzionamento del mercato. Le mie idee a questo proposito sono semplici: un certo tipo di comportamento, in un certo contesto sociale avrà dei risultati perfettamente definiti e prevedibili. Il mercato funziona in base a queste regole: la spinta dell’interesse personale, in un ambiente di individui mossi da eguali motivazioni, sfocerà inevitabilmente nella concorrenza. La concorrenza determina inoltre l’approvvigionamento di quei beni dei quali la società abbisogna, nelle quantità volute e ai prezzi che le persone sono disposte a pagare”.
Smith si ferma nelle sue argomentazioni, beve un sorso di the e riprende: “È esattamente questo che voglio suggerire con la metafora che anche voi avete avuto la bontà di tenere a mente. Intendo dire che l’interesse personale opera come una forza che guida gli uomini verso quelle attività che la società è disposta a remunerare. Voi avete poc’anzi ricordato come termino la mia argomentazione: ‘Noi ci rivolgiamo non già alla loro umanità ma al loro interesse personale, non parliamo loro dei nostri bisogni ma dei loro vantaggi’”.
“Sì, dottor Smith, credo di aver compreso il vostro punto di vista e lo condivido: mi sembra del tutto ragionevole”. Lui mi ferma con la mano: “Aspettate – mi ingiunge con tono di comando – non finisce qui. L’interesse personale è solamente un aspetto della questione: esso muove gli uomini all’azione, ma ci deve essere qualcosa che possa impedire a individui avidi di guadagno di esercitare nei confronti della società un ricatto esorbitante, perché una società mossa soltanto dall’interesse sarebbe una comunità di spietati profittatori. Vi sembrerà singolare, ma a mio avviso questo agente regolatore è la concorrenza. Pensateci un momento: giacché ogni uomo cerca di realizzare il meglio per sé, non avendo alcuna considerazione per il costo sociale provocato dalle sue azioni, si trova di fronte altri individui con motivazioni simili e che sono esattamente nella sua stessa condizione”.
Comprendo la linea di ragionamento di Smith, ma non capisco dove voglia arrivare con le sue riflessioni: se l’uomo è condotto dal suo egoismo, è inevitabile che le sue motivazioni entrino in conflitto con quelle di altri. Chiedo: “Non è sufficiente la legge a temperare questo egoismo?”. “No – ribatte con convinzione – nessuna norma è in grado di farlo in modo efficace e definitivo”. E prosegue: “Ci soccorre ancora una volta il mercato: supponete che la vostra cupidigia vi spinga ad alzare il prezzo del bene che vendete, oltre quello che le persone sono disposte a spendere per acquistare da voi quello stesso bene. Vi troverete da un giorno all’altro senza compratori! Come ho affermato nella Teoria dei sentimenti morali, le motivazioni egoistiche degli uomini, interagendo subiscono una trasformazione che porta al più inaspettato dei risultati: l’armonia sociale”.
Per quanto in astratto mi sia chiara la logica di Smith, non mi convincono gli automatismi che porterebbero all’armonia sociale. Gli espongo la mia perplessità e lui, con pazienza, prova a spiegarmi: “Considerate a esempio, il problema dei prezzi e supponete di avere cento fabbricanti di guanti. Ognuno di loro avrà interesse ad alzare il prezzo il più possibile sopra il costo di produzione in modo da realizzare un profitto maggiore. Ma non può farlo, perché se alzasse troppo il suo prezzo, i suoi concorrenti gli subentrerebbero e perderebbe tutti i clienti”.
“Vero – aggiungo io – ma nulla esclude che i cento fabbricanti di guanti si accordino per alzare, tutti, il prezzo.”
“Senza dubbio questa è una possibilità – ammette Smith – ma ipotizzate che un altro produttore di guanti che non faccia parte di coloro che hanno concordato il prezzo, entri sul mercato e ne fissi uno più basso. Istantaneamente la coalizione si spezzerà, oppure i cento produttori perderanno tutti i clienti a vantaggio di quello entrato dopo!”.
La forza del ragionamento di Smith è evidente: si tratta di argomentazioni che giustificano la posizione di superiorità del mercato liberoconcorrenziale rispetto ad altre forme di mercato, nelle quali la concorrenza non è perfetta. Ma egli non ha ancora finito di esporre la sua tesi e rincara la dose: ...

Table of contents

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Introduzione: La scienza triste e il ruolo degli economisti
  6. Capitolo I: Mano invisibile, guardiani notturni e curve strane
  7. Capitolo II: Storie di rospi e di bidoni
  8. Captolo III: L’economia del pescatore bretone
  9. Capitolo IV: Bistecche, merluzzi e pasticcieri
  10. Capitolo V: Giocare seriamente
  11. Capitolo VI: Il grande mistero
  12. Capitolo VII: La democrazia in deficit
  13. Capitolo VIII: Di regine, baby-sitter e ketchup
  14. Capitolo IX: Il vostro salotto, voi e la natura dell’impresa
  15. Postfazione: The big four: dialoghi impossibili
  16. Informazioni sul Libro
  17. Circa l’autore