Pixar Story
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Passione per il futuro tra arte e tecnologia

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Pixar Story

Passione per il futuro tra arte e tecnologia

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Realizzare un sogno, mettere al mondo un'idea, immergere lo spettatore in storie d'avventura: questa è la missione dello studio di animazione Pixar. In questo libro toccherete con mano la cultura della "passione per il futuro", ripercorrendo le sue radici: dalle prime sperimentazioni degli anni Trenta, alla nascita della Computer art negli anni Sessanta, fino all'epoca più recente, dove gli spettatori, grandi e piccoli, sognano perdendosi in mondi colorati e ricchi di dettagli digitali. I progetti della Pixar, così come pensati da Ed Catmull, immaginati da Steve Jobs e costruiti magistralmente da John Lasseter, sono un mix perfetto di creatività e tecnologia. Il risultato è una "Wunderkammer dei segreti": un micromondo che ci stupisce e meraviglia a ogni visione. Dietro la storia della Pixar, in fondo, c'è un grande amore per il mondo e una passione scottante per la narrazione. Ma ci sono anche le persone, gli insegnamenti, gli errori, la curiosità e l'amicizia, tanto che se ne potrebbe fare un film… o un libro.

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Information

Capitolo 1

UN SOGNO AMERICANO

Non c’è nulla, in nessuna cosa, tanto bello di cui non sia più bella quella forma ideale donde deriva, come da un volto l’immagine, la nostra rappresentazione: il che non possiamo comprendere né con gli occhi né con le orecchie, né con alcuno dei nostri sensi, ma solo con l’immaginazione della nostra mente.
Marco Tullio Cicerone, Orator 7-10
Buio. Un falò si accende in una grotta. Apriamo gli occhi. Caldo all’interno e freddo all’esterno. Un quadro su di un cavalletto. Nel quadro è dipinta un’immagine di un castello in lontananza. Sembra un frame. Così René Magritte nel quadro La condition humaine (1935) ci immerge in una visione platonica del mito della caverna. Come in un film, un occhio del mondo che evolve e ci libera dalle catene del passato. Questo dipinto ci ricorda THX 1138 – L’uomo che fuggì dal futuro (1971), il primo lungometraggio di George Lucas in cui il protagonista, interpretato da Robert Duvall, esce dal tunnel verso una nuova alba della conoscenza per scoprire la realtà delle cose.
Sempre in punta di piedi sulla terra, ma con il corpo in movimento e con lo sguardo verso il futuro, con l’avvento della tecnologia digitale l’uomo conquista la possibilità di concepire l’immaginario, di materializzare oggetti, forme, personaggi, mondi credibili da proiettare sullo schermo di un cinema o di un computer.
Figura 1.1 – René Magritte, La condition humaine, 1935 ©ADAGP, Paris and DACS, Norwich Collection, Norfolk Museum, Norwich. (foto: http://www.museums.norfolk.gov.uk/Visit_Us/Norwich_Castle/Past_Exhibitions/2007/This_is_Modern_Art!/index.htm).

Una bottega digitale dalle radici analogiche

La Pixar può essere immaginata come una “bottega rinascimentale”, dove maestri artisti e tecnici innovatori producono quadri in perenne trasformazione. La lavorazione di ogni singolo film richiede un lavoro enorme fatto di manualità artistica e abilità informatiche. Come ricorda Elyse Klaidman, direttrice del Pixar Archive e della Pixar University nell’ introduzione al catalogo “Pixar: 25 years of animation, Chronicle Books”:
“Da quando esiste l’arte si discute su ‘cosa è arte’. Se definiamo l’arte come un processo o un prodotto dell’organizzazione e dell’unione di oggetti per creare qualcosa che stimoli un’emozione o una risposta in chi la fruisce, allora è chiaro che tutti i materiali che produciamo qui in Pixar, dagli schizzi alle sculture, rispondono alla definizione di ‘arte’. Il nostro è un grande processo creativo che unisce la computer grafica alla tradizione delle arti figurative. I nostri film sono fatti da artisti e i nostri artisti scelgono gli strumenti che consentono loro di esprimere le loro idee e le loro emozioni nel modo più efficace”.
La Pixar ha fatto di questo incredibile mix di arte e tecnologia la sua filosofia, la sua struttura portante: dal meraviglioso mondo dei giocattoli nella trilogia di Toy Story. Il mondo dei giocattoli, al megaminimondo vegetale di A Bug's Life, dal surrealismo fantastico di Monster & Co., al mondo subacqueo di Alla ricerca di Nemo, dai paesaggi polverosi esaltati in Cars. Motori ruggenti, ai mondi culinari parigini di Ratatouille, dagli spazi siderei e universali in WALL•E, ai cieli parzialmente nuvolosi e limpidi in Up, fino alla tradizione medioevale in Ribelle. The Brave.
Attraverso il mezzo animato, lo studio Pixar analizza nel profondo la realtà e la nostra coscienza collettiva, proprio dove riaffiorano vecchi ricordi e buoni sentimenti. Come insegna Walt Disney, “Un grande animatore, infatti, non è colui che muove un oggetto da un punto A a un punto B, ma è colui che fa prendere vita a un personaggio, che fa emozionare e che si emoziona”.
In questo senso, la tecnologia è solo un mezzo per sostenere il valore della creatività umana.
In questo libro analizzeremo la storia della Pixar, ripercorrendo il cammino dell’animazione digitale dalle prime sperimentazioni militari d’avanguardia dei primi anni Trenta fino ai giorni nostri, passando attraverso la nascita della moderna “Computer Art” negli anni Settanta. Oltre alla parte tecnologica di questa storia, riscopriremo anche quella artistica: infatti, nei film di animazione Pixar si susseguono tecniche pittoriche e scultoree differenti, che prendono spunto dalla Storia dell’arte: dal Rinascimento all’Impressionismo, dall’Espressionismo al Futurismo, fino ai giochi ottici delle avanguardie Fluxus, unendo passato e futuro in un continuo omaggio al cinema della “golden age disneyana”, al modernismo grafico statunitense di artisti come Saul Bass e Paul Rand, passando attraverso le mirabolanti caricature degli animatori Chuck Jones e Tex Avery e la visione del maestro giapponese Hayao Miyazaki.
Dietro a ogni film della Pixar c’è una perfetta fusione tra il tratto del disegno e il tecnicismo della “computer grafica”, una mescolanza dal sapore “beat & hippie” nata nella California degli anni Quaranta e capace di fondere le idee dei creativi ai bit degli informatici: un percorso che parte da lontano e comprende i lavori informatici di Ivan Sutherland, le opere mirabolanti dei fratelli Whitney, le opere cinetiche che mescolano insieme musica e immagini, fino ad arrivare alla nuova era digitale con il maestro jedi Francis Ford Coppola, il padawan George Lucas e la loro nuova scuola di cinema e pensiero indipendente.
Il tutto potenziato dall’uso magistrale del colore, visto anche come esperienza sensoriale ed emotiva. Come scrisse Vasilij Vasil’evič Kandinskij nel 1926, nel suo trattato Lo Spirituale nell’Arte:
“Il colore è un mezzo per esercitare sull’anima un’influenza diretta. Il colore è un tasto, l’occhio il martelletto che lo colpisce, l’anima lo strumento dalle mille corde. […] L’arte oltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla, e indica il contenuto del futuro”.
Un’opera totale. Questa forza della totalità dell’arte ci ricorda la Gesamtkunstwerk, “l’opera d’arte totale” di Richard Wagner, dove “l’uomo artista è danzatore, musicista, ricercatore, sperimentatore in una cosa sola, che comunica alla più alta facoltà d’immaginazione secondo l’insieme di tutte le sue facoltà”.
Lo stesso John Lasseter, Chief Creative Officer della Pixar, ogni volta che supervisiona un nuovo progetto filmico, si pone l’obiettivo di immergere lo spettatore in un “live-action” (un film dal vero) a tutti gli effetti, pieno di suggestioni grafiche, pittoriche e fantastiche, mettendo in scena conflitti drammatici di sorprendente semplicità e profondità. Come sostiene lo stesso Lasseter nell’introduzione al catalogo Pixar: 25 years of animation:
“L’animazione computerizzata è un mezzo straordinariamente liberatorio, ma anche irto di difficoltà. Gli unici limiti sono quelli imposti dalla propria fantasia, ma è anche vero che non c’è niente, neanche il dettaglio più minuscolo, che non sia creato da noi. Col computer nulla è affidato al caso; gli obiettivi si raggiungono solo con un duro lavoro. Perciò la fase dello sviluppo, cioè il periodo prima della costruzione del mondo digitale, è il momento in cui godiamo della maggiore libertà. Incoraggiamo i nostri artisti a esplorare il più possibile e a lasciar correre liberamente la propria fantasia”.
Lo scrittore Mark Twain un giorno affermò: “Tieniti a distanza da chi prova a ridimensionare le tue ambizioni: a farlo sono le persone piccole. Le grandi persone, invece, sono quelle che ti fanno capire che anche tu, come loro, puoi diventare un grande”. Come nella affermazione di Twain lo studio Pixar si avvicina e avvicina gli spettatori al “sogno americano”, rifacendosi alla storia di pionieri e innovatori americani come Eadweard Muybridge, Thomas Alva Edison, Henry Ford e Walt Disney e a valori come la passione, il dinamismo e l’ottimismo. La Pixar, la sua storia e i suoi film, sembra volerci dire che si deve avere il coraggio di osare e di credere in ciò che si porta avanti con creatività e partecipazione, lasciando un’impronta nell’universo.
La storia che stiamo per raccontare è una storia di innovazione e di commistioni artistiche, ma è anche la storia di gesti e uomini, geni straordinari che hanno forgiato il mito della Pixar, come il grande direttore artistico John Lasseter, il pioniere della computer grafica Ed Catmull e l’imprenditore illuminato Steve Jobs.
L’icona della filosofia Pixar la possiamo vedere all’inizio di ogni film prodotto dall’azienda californiana: è la lampada Luxo Jr., la portatrice della passione per il futuro, che con luce propria, illumina il bivio tra tecnologia e arti liberali, portandoci a guardare verso il futuro, curiosi di volare “verso l’infinito e oltre”. Speriamo di non dimenticarcelo mai.
   Pixel: l’unità fondamentale
È l’elemento digitale dell’animazione digitale e della computer grafica, la cui storia merita approfondimento. Il termine “Pixel” è la contrazione di “Picture element” e indica l’elemento base di un’immagine. Tecnicamente è la parte più piccola di un’immagine che noi percepiamo su un dispositivo di visualizzazione: un piccolo quadratino, o un punto fisico, all’interno di un’immagine “raster o bitmap” (ossia di un’immagine ottenuta da una griglia ortogonale di righe, come quelle di un televisore o di un monitor). Più pixel abbiamo, più l’immagine è definita. Il numero di pixel in un’immagine è chiamato “risoluzione”, di solito indicata con la misura anglofona DPI, “Dot Per Inch” (“punti per pollice”). Ogni pixel è caratterizzato da una propria posizione e dai valori di colore e intensità. Questa unità ci permette di costruire un insieme di visualizzazioni cromatiche che va a formare un'immagine completa. Il numero di colori distinti che possono essere rappresentati da un pixel dipende dal numero di bit per pixel (bpp) espresso mediante potenze di 2. I valori più comuni sono 8 bpp (28 = 256 colori), 16 bpp (216 = 65.536 colori, noto come Highcolour), 24 bpp (224 = 16.777.216 colori, noto come Truecolour). Esistono degli elementi derivati dal pixel usati nella computer grafica come i “voxel” (elementi di volume), i “texel” (elementi di consistenza) e i “surfel” (elementi di superficie). Vengono poi utilizzati i termini “megapixel” (1 milione di pixel), in riferimento alle reflex digitali, e “gigapixel” (1 miliardo di pixel), in riferimento alle schede grafiche dei computer. Ogni pixel di un’immagine monocroma ha la sua luminosità: un valore pari a zero rappresenta il nero, mentre il valore massimo rappresenta il bianco. In un’immagine a 8 bit (“binary information unit”, espressione della qualità del colore di un apparecchio elettronico), il massimo valore senza segno che può essere immagazzinato è 255, così questo è il valore usato per il bianco. Nelle immagini a colori ogni pixel ha le sue luminosità e colore ottenuti dalla somma di intensità di rosso, verde e blu (RGB, da “Red, Green and Blue”). I monitor a colori usano pixel composti da 3 subpixel (elemento minimo del singolo pixel, il quale così può variare di colore). Nelle immagini in scala di grigio, il valore di accensione dei 3 subpixel è sempre uguale. Il colore è dato dalla prossimità dei subpixel, che creano l’illusione ottica di un singolo pixel di un colore particolare: questi elementi sono disposti in modo differente a seconda delle esigenze e delle limitazioni tecnologiche. Esso è dunque l’unità narrativa dei media digitali, quindi dell’intera immagine che vediamo su un dispositivo multimediale. Il termine “Picture Element” fu introdotto nella rivista Wireless World, nel 1927, in un lungo articolo dal titolo “Television Demonstration in America” scritto da Alfred Dinsdale, in cui si recensiva il primo libro in inglese sulla televisione (uscito nel 1926). Negli anni Ottanta, allo Xerox PARC di Palo Alto, grazie ad Adele Goldberg e Robert Flegal, è stato usato il termine “Pixel Art” per definire l’arte che si basa sul pixel: una tecnica per costruire immagini che segue la corrente del Divisionismo o Puntinismo, ricordando i quadri del francese George Seurat. Questa forma d’arte nasce all’inizio degli anni Ottanta con l’avvento dei primi videogiochi quali Pong, Breakout o Pac-Man, i cui pixel infatti erano molto grandi e le immagini risultavano poco definite: questo movimento segnava il ritorno alla semplicità, al punto come qualcosa di essenziale e di identificativo, il quale, associato a molti altri, forma un’immagine ben più complessa.
Dal tratto disegnato a matita, a un insieme di punti creati da un computer: un esempio di traduzione d’arte con il nuovo elemento pixel fu lo studio realizzato da Michael Noll per la mostra londinese Cybernetic Serendipity del 1964, e basato sul quadro Composizione con Linee (1917) di Piet Mondrian. Se con la sua opera Mondrian voleva raggiungere l’armonia tramite l’equilibrio dei rapporti fra linee, colori e superfici, allo stesso modo Noll ha cercato lo stesso risultato nella sua composizione Computer Composition with lines, che rileggeva la composizione del quadro di Mondrian attraverso la computer grafica dell’epoca.
Figura 1.2 – A.Michael Noll, “A Subjective comparison of Piet Mondrian’s ‘Composition with lines’ 1917”, pg. 74 tratta dal catalogo “Cybernetic Serendipity” (1968) di Jasia Reichardt. (foto archivio Pietro Grandi, Mantova).

Capitolo 2

DI FRONTE AL MOVIMENTO DIGITALE

Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla follia, affamate isteriche nude, […] che si annidavano in stanze non sbarbate in mutande, bruciando i loro soldi in cestini dei rifiuti e ascoltando il Terrore attraverso il muro, […]
Allen Ginsberg, L’Urlo – The Howl (1956)
La computer grafica affonda le sue radici filosofiche, sociali e culturali nell’immediato secondo dopo guerra. In un articolo apparso sul New York Times Magazine nel 1952, John Clellon Holmes descriveva la “Beat Generation” come un movimento artistico, poetico e letterario emerso alla fine degli anni Quaranta all’indomani della Seconda guerra mondiale. A New York il gruppo di intellettuali era composto da Allen Ginsberg, Jack Kerouak, Neal Cassady e William Burroughs: questi artisti percepivano il rischio dello scoppio di una guerra atomica e, insieme, il disagio di vivere in una società capitalistica e industriale che ledeva la libertà dell’individuo.
Essere “beat” significava rinunciare al progetto di una vita dedita alla famiglia, alla produzione e al cons...

Table of contents

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. PREMESSA
  6. Dedica
  7. CAPITOLO 1: Un sogno americano
  8. CAPITOLO 2: Di fronte al movimento digitale
  9. CAPITOLO 3: Fare un film Pixar
  10. CAPITOLO 4: Qualcosa di grandioso
  11. CAPITOLO 5: In fondo, Il cinema è per sempre
  12. FILMOGRAFIA E MUSEOGRAFIA
  13. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
  14. RINGRAZIAMENTI
  15. Nella stessa collana
  16. Informazioni sul libro
  17. Circa l’autore