Capitolo 1
UN SOGNO AMERICANO
Non câè nulla, in nessuna cosa, tanto bello di cui non sia piĂš bella quella forma ideale donde deriva, come da un volto lâimmagine, la nostra rappresentazione: il che non possiamo comprendere nĂŠ con gli occhi nĂŠ con le orecchie, nĂŠ con alcuno dei nostri sensi, ma solo con lâimmaginazione della nostra mente.
Marco Tullio Cicerone, Orator 7-10
Buio. Un falò si accende in una grotta. Apriamo gli occhi. Caldo allâinterno e freddo allâesterno. Un quadro su di un cavalletto. Nel quadro è dipinta unâimmagine di un castello in lontananza. Sembra un frame. CosĂŹ RenĂŠ Magritte nel quadro La condition humaine (1935) ci immerge in una visione platonica del mito della caverna. Come in un film, un occhio del mondo che evolve e ci libera dalle catene del passato. Questo dipinto ci ricorda THX 1138 â Lâuomo che fuggĂŹ dal futuro (1971), il primo lungometraggio di George Lucas in cui il protagonista, interpretato da Robert Duvall, esce dal tunnel verso una nuova alba della conoscenza per scoprire la realtĂ delle cose.
Sempre in punta di piedi sulla terra, ma con il corpo in movimento e con lo sguardo verso il futuro, con lâavvento della tecnologia digitale lâuomo conquista la possibilitĂ di concepire lâimmaginario, di materializzare oggetti, forme, personaggi, mondi credibili da proiettare sullo schermo di un cinema o di un computer.
Figura 1.1 â RenĂŠ Magritte, La condition humaine, 1935 ŠADAGP, Paris and DACS, Norwich Collection, Norfolk Museum, Norwich. (foto: http://www.museums.norfolk.gov.uk/Visit_Us/Norwich_Castle/Past_Exhibitions/2007/This_is_Modern_Art!/index.htm).
Una bottega digitale dalle radici analogiche
La Pixar può essere immaginata come una âbottega rinascimentaleâ, dove maestri artisti e tecnici innovatori producono quadri in perenne trasformazione. La lavorazione di ogni singolo film richiede un lavoro enorme fatto di manualitĂ artistica e abilitĂ informatiche. Come ricorda Elyse Klaidman, direttrice del Pixar Archive e della Pixar University nellâ introduzione al catalogo âPixar: 25 years of animation, Chronicle Booksâ:
âDa quando esiste lâarte si discute su âcosa è arteâ. Se definiamo lâarte come un processo o un prodotto dellâorganizzazione e dellâunione di oggetti per creare qualcosa che stimoli unâemozione o una risposta in chi la fruisce, allora è chiaro che tutti i materiali che produciamo qui in Pixar, dagli schizzi alle sculture, rispondono alla definizione di âarteâ. Il nostro è un grande processo creativo che unisce la computer grafica alla tradizione delle arti figurative. I nostri film sono fatti da artisti e i nostri artisti scelgono gli strumenti che consentono loro di esprimere le loro idee e le loro emozioni nel modo piĂš efficaceâ.
La Pixar ha fatto di questo incredibile mix di arte e tecnologia la sua filosofia, la sua struttura portante: dal meraviglioso mondo dei giocattoli nella trilogia di Toy Story. Il mondo dei giocattoli, al megaminimondo vegetale di A Bug's Life, dal surrealismo fantastico di Monster & Co., al mondo subacqueo di Alla ricerca di Nemo, dai paesaggi polverosi esaltati in Cars. Motori ruggenti, ai mondi culinari parigini di Ratatouille, dagli spazi siderei e universali in WALLâ˘E, ai cieli parzialmente nuvolosi e limpidi in Up, fino alla tradizione medioevale in Ribelle. The Brave.
Attraverso il mezzo animato, lo studio Pixar analizza nel profondo la realtĂ e la nostra coscienza collettiva, proprio dove riaffiorano vecchi ricordi e buoni sentimenti. Come insegna Walt Disney, âUn grande animatore, infatti, non è colui che muove un oggetto da un punto A a un punto B, ma è colui che fa prendere vita a un personaggio, che fa emozionare e che si emozionaâ.
In questo senso, la tecnologia è solo un mezzo per sostenere il valore della creatività umana.
In questo libro analizzeremo la storia della Pixar, ripercorrendo il cammino dellâanimazione digitale dalle prime sperimentazioni militari dâavanguardia dei primi anni Trenta fino ai giorni nostri, passando attraverso la nascita della moderna âComputer Artâ negli anni Settanta. Oltre alla parte tecnologica di questa storia, riscopriremo anche quella artistica: infatti, nei film di animazione Pixar si susseguono tecniche pittoriche e scultoree differenti, che prendono spunto dalla Storia dellâarte: dal Rinascimento allâImpressionismo, dallâEspressionismo al Futurismo, fino ai giochi ottici delle avanguardie Fluxus, unendo passato e futuro in un continuo omaggio al cinema della âgolden age disneyanaâ, al modernismo grafico statunitense di artisti come Saul Bass e Paul Rand, passando attraverso le mirabolanti caricature degli animatori Chuck Jones e Tex Avery e la visione del maestro giapponese Hayao Miyazaki.
Dietro a ogni film della Pixar câè una perfetta fusione tra il tratto del disegno e il tecnicismo della âcomputer graficaâ, una mescolanza dal sapore âbeat & hippieâ nata nella California degli anni Quaranta e capace di fondere le idee dei creativi ai bit degli informatici: un percorso che parte da lontano e comprende i lavori informatici di Ivan Sutherland, le opere mirabolanti dei fratelli Whitney, le opere cinetiche che mescolano insieme musica e immagini, fino ad arrivare alla nuova era digitale con il maestro jedi Francis Ford Coppola, il padawan George Lucas e la loro nuova scuola di cinema e pensiero indipendente.
Il tutto potenziato dallâuso magistrale del colore, visto anche come esperienza sensoriale ed emotiva. Come scrisse Vasilij VasilâeviÄ Kandinskij nel 1926, nel suo trattato Lo Spirituale nellâArte:
âIl colore è un mezzo per esercitare sullâanima unâinfluenza diretta. Il colore è un tasto, lâocchio il martelletto che lo colpisce, lâanima lo strumento dalle mille corde. [âŚ] Lâarte oltrepassa i limiti nei quali il tempo vorrebbe comprimerla, e indica il contenuto del futuroâ.
Unâopera totale. Questa forza della totalitĂ dellâarte ci ricorda la Gesamtkunstwerk, âlâopera dâarte totaleâ di Richard Wagner, dove âlâuomo artista è danzatore, musicista, ricercatore, sperimentatore in una cosa sola, che comunica alla piĂš alta facoltĂ dâimmaginazione secondo lâinsieme di tutte le sue facoltĂ â.
Lo stesso John Lasseter, Chief Creative Officer della Pixar, ogni volta che supervisiona un nuovo progetto filmico, si pone lâobiettivo di immergere lo spettatore in un âlive-actionâ (un film dal vero) a tutti gli effetti, pieno di suggestioni grafiche, pittoriche e fantastiche, mettendo in scena conflitti drammatici di sorprendente semplicitĂ e profonditĂ . Come sostiene lo stesso Lasseter nellâintroduzione al catalogo Pixar: 25 years of animation:
âLâanimazione computerizzata è un mezzo straordinariamente liberatorio, ma anche irto di difficoltĂ . Gli unici limiti sono quelli imposti dalla propria fantasia, ma è anche vero che non câè niente, neanche il dettaglio piĂš minuscolo, che non sia creato da noi. Col computer nulla è affidato al caso; gli obiettivi si raggiungono solo con un duro lavoro. Perciò la fase dello sviluppo, cioè il periodo prima della costruzione del mondo digitale, è il momento in cui godiamo della maggiore libertĂ . Incoraggiamo i nostri artisti a esplorare il piĂš possibile e a lasciar correre liberamente la propria fantasiaâ.
Lo scrittore Mark Twain un giorno affermò: âTieniti a distanza da chi prova a ridimensionare le tue ambizioni: a farlo sono le persone piccole. Le grandi persone, invece, sono quelle che ti fanno capire che anche tu, come loro, puoi diventare un grandeâ. Come nella affermazione di Twain lo studio Pixar si avvicina e avvicina gli spettatori al âsogno americanoâ, rifacendosi alla storia di pionieri e innovatori americani come Eadweard Muybridge, Thomas Alva Edison, Henry Ford e Walt Disney e a valori come la passione, il dinamismo e lâottimismo. La Pixar, la sua storia e i suoi film, sembra volerci dire che si deve avere il coraggio di osare e di credere in ciò che si porta avanti con creativitĂ e partecipazione, lasciando unâimpronta nellâuniverso.
La storia che stiamo per raccontare è una storia di innovazione e di commistioni artistiche, ma è anche la storia di gesti e uomini, geni straordinari che hanno forgiato il mito della Pixar, come il grande direttore artistico John Lasseter, il pioniere della computer grafica Ed Catmull e lâimprenditore illuminato Steve Jobs.
Lâicona della filosofia Pixar la possiamo vedere allâinizio di ogni film prodotto dallâazienda californiana: è la lampada Luxo Jr., la portatrice della passione per il futuro, che con luce propria, illumina il bivio tra tecnologia e arti liberali, portandoci a guardare verso il futuro, curiosi di volare âverso lâinfinito e oltreâ. Speriamo di non dimenticarcelo mai.
   Pixel: lâunitĂ fondamentale
Ă lâelemento digitale dellâanimazione digitale e della computer grafica, la cui storia merita approfondimento. Il termine âPixelâ è la contrazione di âPicture elementâ e indica lâelemento base di unâimmagine. Tecnicamente è la parte piĂš piccola di unâimmagine che noi percepiamo su un dispositivo di visualizzazione: un piccolo quadratino, o un punto fisico, allâinterno di unâimmagine âraster o bitmapâ (ossia di unâimmagine ottenuta da una griglia ortogonale di righe, come quelle di un televisore o di un monitor). PiĂš pixel abbiamo, piĂš lâimmagine è definita. Il numero di pixel in unâimmagine è chiamato ârisoluzioneâ, di solito indicata con la misura anglofona DPI, âDot Per Inchâ (âpunti per polliceâ). Ogni pixel è caratterizzato da una propria posizione e dai valori di colore e intensitĂ . Questa unitĂ ci permette di costruire un insieme di visualizzazioni cromatiche che va a formare un'immagine completa. Il numero di colori distinti che possono essere rappresentati da un pixel dipende dal numero di bit per pixel (bpp) espresso mediante potenze di 2. I valori piĂš comuni sono 8 bpp (28 = 256 colori), 16 bpp (216 = 65.536 colori, noto come Highcolour), 24 bpp (224 = 16.777.216 colori, noto come Truecolour). Esistono degli elementi derivati dal pixel usati nella computer grafica come i âvoxelâ (elementi di volume), i âtexelâ (elementi di consistenza) e i âsurfelâ (elementi di superficie). Vengono poi utilizzati i termini âmegapixelâ (1 milione di pixel), in riferimento alle reflex digitali, e âgigapixelâ (1 miliardo di pixel), in riferimento alle schede grafiche dei computer. Ogni pixel di unâimmagine monocroma ha la sua luminositĂ : un valore pari a zero rappresenta il nero, mentre il valore massimo rappresenta il bianco. In unâimmagine a 8 bit (âbinary information unitâ, espressione della qualitĂ del colore di un apparecchio elettronico), il massimo valore senza segno che può essere immagazzinato è 255, cosĂŹ questo è il valore usato per il bianco. Nelle immagini a colori ogni pixel ha le sue luminositĂ e colore ottenuti dalla somma di intensitĂ di rosso, verde e blu (RGB, da âRed, Green and Blueâ). I monitor a colori usano pixel composti da 3 subpixel (elemento minimo del singolo pixel, il quale cosĂŹ può variare di colore). Nelle immagini in scala di grigio, il valore di accensione dei 3 subpixel è sempre uguale. Il colore è dato dalla prossimitĂ dei subpixel, che creano lâillusione ottica di un singolo pixel di un colore particolare: questi elementi sono disposti in modo differente a seconda delle esigenze e delle limitazioni tecnologiche. Esso è dunque lâunitĂ narrativa dei media digitali, quindi dellâintera immagine che vediamo su un dispositivo multimediale. Il termine âPicture Elementâ fu introdotto nella rivista Wireless World, nel 1927, in un lungo articolo dal titolo âTelevision Demonstration in Americaâ scritto da Alfred Dinsdale, in cui si recensiva il primo libro in inglese sulla televisione (uscito nel 1926). Negli anni Ottanta, allo Xerox PARC di Palo Alto, grazie ad Adele Goldberg e Robert Flegal, è stato usato il termine âPixel Artâ per definire lâarte che si basa sul pixel: una tecnica per costruire immagini che segue la corrente del Divisionismo o Puntinismo, ricordando i quadri del francese George Seurat. Questa forma dâarte nasce allâinizio degli anni Ottanta con lâavvento dei primi videogiochi quali Pong, Breakout o Pac-Man, i cui pixel infatti erano molto grandi e le immagini risultavano poco definite: questo movimento segnava il ritorno alla semplicitĂ , al punto come qualcosa di essenziale e di identificativo, il quale, associato a molti altri, forma unâimmagine ben piĂš complessa.
Dal tratto disegnato a matita, a un insieme di punti creati da un computer: un esempio di traduzione dâarte con il nuovo elemento pixel fu lo studio realizzato da Michael Noll per la mostra londinese Cybernetic Serendipity del 1964, e basato sul quadro Composizione con Linee (1917) di Piet Mondrian. Se con la sua opera Mondrian voleva raggiungere lâarmonia tramite lâequilibrio dei rapporti fra linee, colori e superfici, allo stesso modo Noll ha cercato lo stesso risultato nella sua composizione Computer Composition with lines, che rileggeva la composizione del quadro di Mondrian attraverso la computer grafica dellâepoca.
Figura 1.2 â A.Michael Noll, âA Subjective comparison of Piet Mondrianâs âComposition with linesâ 1917â, pg. 74 tratta dal catalogo âCybernetic Serendipityâ (1968) di Jasia Reichardt. (foto archivio Pietro Grandi, Mantova).
Capitolo 2
DI FRONTE AL MOVIMENTO DIGITALE
Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla follia, affamate isteriche nude, [âŚ] che si annidavano in stanze non sbarbate in mutande, bruciando i loro soldi in cestini dei rifiuti e ascoltando il Terrore attraverso il muro, [âŚ]
Allen Ginsberg, LâUrlo â The Howl (1956)
La computer grafica affonda le sue radici filosofiche, sociali e culturali nellâimmediato secondo dopo guerra. In un articolo apparso sul New York Times Magazine nel 1952, John Clellon Holmes descriveva la âBeat Generationâ come un movimento artistico, poetico e letterario emerso alla fine degli anni Quaranta allâindomani della Seconda guerra mondiale. A New York il gruppo di intellettuali era composto da Allen Ginsberg, Jack Kerouak, Neal Cassady e William Burroughs: questi artisti percepivano il rischio dello scoppio di una guerra atomica e, insieme, il disagio di vivere in una societĂ capitalistica e industriale che ledeva la libertĂ dellâindividuo.
Essere âbeatâ significava rinunciare al progetto di una vita dedita alla famiglia, alla produzione e al cons...