Economisti da Nobel
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Economisti da Nobel

L'economia letta attraverso i vincitori del prestigioso premio

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Economisti da Nobel

L'economia letta attraverso i vincitori del prestigioso premio

About this book

Da quasi mezzo secolo a quelli che sono ritenuti i migliori economisti viventi viene attribuito il Premio Nobel per l'Economia. Ogni anno l'attribuzione del premio è accompagnata da accese discussioni sulla qualità dello studioso vincitore: le domande sono sempre le medesime: meritava il premio? È davvero lo studioso di maggior valore? Sono discussioni in parte giustificate dal fatto che a volte si ha la sensazione che il Premio venga attribuito a studiosi poco conosciuti, mentre altri, di chiara fama ne vengono esclusi. Questo lavoro ricostruisce la storia del Premio Nobel per l'Economia attraverso i più importanti studiosi cui è stato attribuito nel corso del tempo. Di proposito, non è stato seguito un percorso cronologico, ma è stato utilizzato un criterio tematico, attribuendo agli autori l'appartenenza a un dato orientamento di ricerca. Si scopre così che nella relativamente breve storia del premio esso è stato attribuito ad autori di orientamento liberista (gli economisti d'acqua dolce, secondo una ironica definizione di Krugman) oppure a studiosi più vicini agli orientamenti keynesiani (economisti d'acqua salata). La divisione liberisti vs keynesiani è una partizione che ormai è entrata a far parte delle classificazioni abituali della storia del pensiero economico ed ha un valore relativo e comunque non esaustivo. Si scoprirà infatti che, in particolare negli ultimi anni, la teoria economica ha saputo diversificarsi ed andare oltre la tradizionale classificazione. E il Premio Nobel ha registrato queste novità, dimostrando che la scienza economica contemporanea si serve di apporti che possono provenire da ricercatori di orientamento e formazione molto diversi. Il volume offre una visione parziale ma significativa dello stato dell'arte della scienza economica, utilizzando come chiave di lettura la biografia intellettuale di numerosi premiati Nobel. Così facendo permette di scoprire che si può dire molto di negativo dell'economia; e anche del Premio Nobel. Ma anche molto di positivo: dell'una e dell'altro…

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2013
eBook ISBN
9788820360566

1.Il premio Nobel per l’economia

Introduzione
Alfred Nobel era probabilmente l’uomo più ricco d’Europa quando morì a Sanremo nel 1896, a soli 63 anni. Per tutta la sua vita egli era stato uno scienziato serio e un inventore geniale: il suo apporto di maggiore importanza riguarda la produzione della dinamite dalla nitroglicerina, molto meno stabile e quindi inaffidabile. La dinamite era potente quanto la nitroglicerina, ma molto più facile da maneggiare e da usare, e avrebbe di lì a poco rivoluzionato l’industria mineraria e la costruzione dei canali, nonché le tecnologie militari. Non è esagerato affermare che l’uso della dinamite ha aperto la porta alla seconda rivoluzione industriale e modernizzato l’industria in generale.
Alfred non era soltanto uno scienziato scrupoloso: aveva anche ottime capacità imprenditoriali. Nel corso della sua vita registrò più di trecento brevetti e costruì fabbriche in tutta Europa, compresa la più grande in Italia, ad Avigliana, nel cuore della provincia di Torino1. Verso la fine della sua vita, Alfred Nobel si rese conto di aver accumulato una delle più grandi fortune del suo tempo, ma di non aver eredi: non si era mai sposato, non aveva figli né parenti prossimi. Così decise di devolvere parte della sua fortuna al più grande dono filantropico mai fatto fino a quel punto nella storia: nel 1895, solo un anno prima di morire, stabilì di elargire ogni anno cinque premi con il suo nome da devolvere a personaggi che si fossero particolarmente distinti nei rispettivi campi del sapere. Tre dei premi, in fisica, chimica e medicina, riflettevano gli interessi professionali e scientifici di Alfred; quello per la letteratura era più vicino alla sua passione per i grandi scrittori. Completava il quadro un premio per la pace; non si sa per quale ragione egli desiderò istituirlo: forse Nobel sentiva rimorso per l’uso bellico della sua più grande invenzione, o forse fu una concessione alla scrittrice pacifista Bertha von Suttner, sua intima e devota amica.
In assenza di documentazioni di prima mano, gli storici hanno a lungo speculato sui motivi che avevano portato Alfred Nobel a volere questi premi, e solo questi; ma in ogni caso, a partire dal 1901 vennero assegnati sotto forma di una medaglia (la medaglia Nobel) e un cospicuo assegno, del valore complessivo attuale di 1,4 milioni di dollari.
Dunque Nobel non pensò mai a un premio destinato ad economisti e in effetti la scienza economica restò fuori dai campi premiati dal Nobel fino al 1968, quando la Banca di Svezia propose al Comitato Nobel l’istituzione di un ulteriore premio destinato all’economia. La proposta fu convincente, anche perché la Banca di Svezia offrì al comitato di contribuire essa stessa alla somma in denaro corrispondente al premio: era un’offerta troppo allettante per rifiutarla e così, a partire dal 1969, oltre ai cinque premi Nobel istituiti secondo le volontà di Alfred, se ne aggiunse un altro dedicato all’economia. Il Nobel per l’economia viene assegnato ogni anno a quegli economisti “che hanno nel precedente anno reso un grande servizio all’umanità”, secondo la definizione della banca centrale svedese.
Il problema è legato alla natura “ambigua” della scienza economica: di un chimico o di un fisico si possono individuare i meriti scientifici grazie a una loro scoperta; per un medico il merito può riguardare l’aver scoperto la causa di una malattia o individuato un farmaco per curarla. Ma per un economista? Non che sia impossibile stabilire il suo valore, ma è certamente più complicato misurare la rilevanza degli studi in economia rispetto ad altre scienze. Viene affermato che il lavoro di James Buchanan “ha avuto grande influenza seminale” o che i vincitori Engle e Granger hanno “fatto il loro lavoro pionieristico negli anni Settanta e Ottanta”, o, ancora, che Ronald Coase “ha scritto un libro fondamentale”. Tutto vero, ma non viene detto, e probabilmente non può essere determinato, che cosa ciascuno di essi ha scoperto.
È l’economia! I suoi risultati sono meno tangibili e più soggettivi di quelli conseguiti in chimica, fisica o medicina. Probabilmente assomigliano di più a quanto accade in letteratura e, forse, nel caso del Nobel per la pace: si può individuare cosa ha scoperto Pirandello? Piuttosto si può pensare al suo contributo nell’innovare la letteratura del suo tempo (e di quelli successivi), nell’indagare la natura e i comportamenti umani: un lavoro “seminale”, esattamente come quello di molti Nobel per l’economia.
Può forse sembrare eccessivo paragonare gli economisti vincitori di un Nobel con Enrico Fermi, che ha scandagliato i misteri della fissione nucleare, con Albert Einstein, che ha rivoluzionato la fisica e la visione del mondo e forse anche con giganti della letteratura come il già citato Pirandello o Hemingway o Steinbeck. Ma un fatto è certo: da quando il premio per l’economia è stato istituito esso è cresciuto in risonanza e ogni ottobre, quando il vincitore viene reso noto, l’attesa è pari o forse superiore a quella che circonda gli altri premi.
Perché Joan non ottenne il Nobel?
Tutti i primi sessanta e più vincitori del Nobel per l’economia nei suoi primi quaranta anni sono stati uomini. La striscia è stata finalmente interrotta da Elinor Ostrom, nell’edizione numero quarantuno, quella del 2009. Perché un monopolio maschile così rilevante? Per la verità la situazione non è molto migliore nelle altre categorie del Nobel, in cui le donne vincitrici non arrivano al 5%. È vero: non ci sono molte donne fra gli economisti di professione, ma qualcuna è pur sempre presente. Il caso forse più clamoroso è quello di Joan Robinson (1903-1983), un’economista che si può senza dubbio ritenere un gigante della disciplina e avrebbe potuto vincere il premio Nobel per i suoi contributi sulla teoria del monopolio, sull’economia keynesiana e la teoria della crescita. Il suo percorso di ricerca sul monopolio è contenuto in ogni manuale di economia e ne rappresenta una parte essenziale.
Perché Joan Robinson non è mai stata premiata con il Nobel? È una domanda interessante perché permette di scandagliare con maggiore attenzione le motivazioni che spingono il Comitato per l’attribuzione del premio a decidere per un economista piuttosto che un altro. Come detto, nel caso di Robinson non si può certo parlare di mancanza di meriti accademici e scientifici. Assar Lindbeck, un economista svedese che ha fatto parte per molto tempo della cerchia di coloro che selezionano i candidati fra cui scegliere il vincitore, riteneva che le ragioni risiedessero nello spirito fortemente critico di Joan. Il Comitato Nobel inoltre temeva che Robinson avrebbe usato la notorietà mediatica acquisita con il premio per criticare l’economia mainstream.
La vicenda di Joan Robinson è esemplare circa le modalità con cui viene scelto il vincitore del Nobel per l’economia: l’elenco dei premiati non è in alcun modo una lista completa degli economisti più importanti. Il Comitato Nobel ha i suoi pregiudizi, che fra l’altro hanno causato l’esclusione di un altro economista di grande valore: John Kenneth Galbraith (1908-2006). Come nel caso di Joan Robinson, i meriti accademici di Galbraith non possono essere messi in discussione: economista di Harvard, consigliere economico di presidenti USA quali Roosevelt, Truman, Kennedy2 e Johnson, presidente dell’American Economic Association, scrittore prolifico e dallo stile felice, il suo lavoro di ricerca si è basato essenzialmente sulle dinamiche della crisi del ’29 e sulla depressione che ne seguì.
Lo stile letterario di Galbraith, elegante e al tempo stesso brillante, gli ha permesso di scrivere su argomenti complessi attirando anche un vasto pubblico popolare e alcuni suoi libri sono diventati dei veri e propri bestseller negli USA e altrove3. Galbraith è stato anche un acuto critico dell’economia mainstream del suo tempo e sono memorabili i suoi dibattiti con il fondatore della scuola di Chicago, Milton Friedman, a cui peraltro lo legavano, ricambiato, stima e amicizia.
Paradossalmente però, proprio la popolarità di Galbraith può aver cospirato contro l’attribuzione del Nobel: in molti ritenevano, a torto, che il suo successo come scrittore fosse la testimonianza del fatto che il suo lavoro non era abbastanza “rigoroso”. Inoltre era probabilmente troppo liberal e troppo keynesiano per godere dei favori del Comitato Nobel e non c’era sufficiente matematica nei suoi lavori! Qualunque sia la ragione, la mancanza del suo nome fra i premi Nobel per l’economia è un’altra evidente omissione.
Ma il Nobel per l’economia è un Nobel all’economia?
Come già osservato, quello che viene usualmente definito come Nobel per l’economia, in realtà non è esattamente tale: viene attribuito dalla Banca di Svezia, sebbene le procedure ricalchino quelle dei Nobel “ufficiali”; anche l’importo del premio, che viene regolarmente indicizzato, è lo stesso. Ma allora perché non aggiungere un “altro” premio ai cinque già indicati da Alfred Nobel? Su questa decisione ha certamente pesato un certo conservatorismo della Fondazione che gestisce il lascito di Alfred: probabilmente nessuno ritiene di avere l’autorità di modificare la natura e le caratteristiche di tale lascito. Quella di accettare la proposta della banca centrale svedese deve essere sembrato un buon punto di mediazione.
Queste ipotesi sulla natura del “premio” Nobel per l’economia permettono alcune considerazioni che vanno oltre il merito del premio stesso. È l’economia una scienza? Si merita, l’economia, lo stesso peso scientifico di fisica, chimica, medicina? Fisici, chimici, medici si sono dedicati alla scoperta della natura nascosta di materia, energia e corpo umano: questo può valere anche per gli economisti? Quale è stato il loro apporto specifico al miglioramento della società?
Certo, se rivolgete queste domande a un economista, vi verrà risposto che l’economia ha la funzione determinante di indagare e scoprire meccanismi e dinamiche del comportamento umano e sociale che hanno permesso nel corso del tempo di migliorare la comprensione della realtà. Verissimo, ma se questo vale per l’economia, vale allo stesso modo per sociologia, psicologia, ecc. Perché attribuire maggior peso scientifico all’economia al punto di attribuirle un premio sotto l’egida, di fatto, della Fondazione Nobel?
Sul carattere di scienza di una disciplina si sono confrontati frotte di studiosi di grande merito; in prima approssimazione è possibile stabilire che una disciplina assume il rango di scienza quando le sue assunzioni sono confermate o confutate attraverso l’applicazione rigorosa di un metodo razionale. L’applicazione di un metodo di indagine fondato sulla razionalità è possibile anche per l’economia? In termini diversi: può l’economista seguire le stesse procedure che valgono per scienze “dure” come la fisica o la chimica?
L’economia è costituita da un campo di idee che riguardano il modo con il quale le persone si organizzano attraverso istituzioni e comportamenti, creando regole in grado di soddisfare i loro bisogni e desideri. È per questa ragione che esistono imprese, mercati, sistemi di produzione di beni e servizi, e regole per governarli. Esistono ovviamente leggi fondamentali in economia, come esistono in fisica o in chimica; gli economisti usano tali regole e le applicano al loro metodo di indagine in modo rigoroso. Il problema è che le regole economiche hanno a che fare con il comportamento umano, che è notoriamente incostante e difficile da sintetizzare in forma matematica. Ma alla Banca di Svezia non interessano le differenze. Interessano le analogie tra l’economia e le altre scienze e, in effetti, il premio è attribuito per le “scienze economiche”. E gli stessi economisti, comprensibilmente, si autoattribuiscono la qualifica di “scienziati”. Per accreditare tale qualifica usano sempre più spesso strumenti matematici e statistici: sperano in questo modo di unire l’economia ai ranghi delle altre discipline scientifiche quali la fisica o la chimica, benché compromessa dal capriccio del comportamento umano.
Quanta matematica deve esserci nell’economia?
Quasi tutti i vincitori del Nobel per l’economia hanno avuto nel corso della loro formazione un forte background matematicoquantitativo e la maggior parte delle loro teorie sono state da essi presentate come formule ed equazioni che emulano il metodo adottato in fisica o altre scienze. Un buon numero di vincitori del Nobel hanno iniziato la loro formazione provenendo da facoltà quali ingegneria, fisica e matematica. Non c’è dubbio che indipendentemente dall’istituzione del Nobel in economia, la disciplina stava evolvendo verso un maggior rigore formale già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento con le formalizzazioni proprie dell’economia neoclassica, i cui fondatori sono stati i primi a introdurre il metodo matematico nelle loro indagini. Ma è altrettanto indubbio che la creazione di un premio Nobel per le scienze economiche ha incoraggiato e rafforzato questa tendenza4.
In questo libro non si presenteranno formule matematiche, né equazioni e neppure grafici, che pure rappresentano strumenti largamente utilizzati dagli economisti: le idee dei vincitori sono espresse a parole, non secondo un linguaggio formale di tipo matematico. In molti casi i vincitori hanno preso un’idea, un’intuizione o un concetto e hanno poi usato il linguaggio matematico per formalizzarne l’essenza. Può sembrare singolare che si possa vincere un premio importante sulla base della semplice trasposizione formale del concetto originale, ma di fatto è quello che spesso accade nella moderna teoria economica. E d’altra parte Thomas Kuhn sosteneva che la scienza non è altro che senso comune formalizzato5.
La matematica ha il vantaggio di richiedere rigore logico e definizioni precise e di fornire un linguaggio comune per una professione sempre più multinazionale. Da questo punto di vista, l’introduzione di metodi formali e di linguaggi matematico-statistici ha rappresentato un passo avanti importante in una disciplina che in origine si considerava (e veniva considerata) vicina alla filosofia. Il Comitato per l’attribuzione del premio Nobel ha sin dall’origine favorito il passaggio verso una formalizzazione estremamente spinta. D’altra parte, formule ed equazioni, con le ipotesi di base necessariamente stringenti che richiedono, tendono a sovrastimare il grado di precisione che ci si deve realisticamente attendere da teorie economiche fondate sul comportamento umano6.
In sostanza l’introduzione di metodi formali rigorosi nelle discipline economiche ha permesso di rendere più sicure le acquisizioni degli studiosi, ma li ha anche costretti a ridurre il rapporto con l’economia reale e quindi a rendere alcune costruzioni concettuali poco più che esercitazioni accademiche. Occorre però evitare di far prevalere l’idea che le idee possano viaggiare prive di un supporto concettuale rigoroso e di strumenti formalmente ineccepibili: qui non faremo uso di argomentazioni matematicoquantitative solo perché questo è un libro di idee e non di matematica, ma di questa e dei suoi strumenti, quando necessario, non si deve fare a meno.
Il libero mercato, i suoi “fallimenti” e il premio Nobel
Un possibile pericolo di strumenti formali troppo spinti nel ragionamento economico consiste nel fatto che il loro uso può creare una falsa impressione di oggettività: quando in una teoria economica viene inserita una formula matematica, scatta quasi senza volerlo la presunzione che la teoria stessa possa considerarsi imparziale e indiscutibile. Ma questo non è necessariamente vero: per esempio (ma l’esempio non è stato scelto casualmente) da un lato gli economisti particolarmente favorevoli al libero mercato sono propensi a fare ipotesi in cui i mercati siano presentati nella luce migliore. Di conseguenza sono in genere maggiormente portati a supporre nelle loro assunzioni che gli individui siano perfettamente razionali e che i loro comportamenti siano dettati da informazioni complete ed obiettive: risultati perfettamente prevedibili sono più probabili in presenza di condizioni perfette. Nella trincea opposta vi sono gli scettici del libero mercato, i quali sono maggiormente inclini a considerare i mercati tutt’altro che perfetti perché le loro dinamiche derivano da informazioni incomplete e i soggetti che operano su tali mercati sono spesso caratterizzati da comportamenti non perfettamente razionali.
Entrambi i tipi di economisti hanno ottenuto il premio Nobel nel corso degli anni dalla sua istituzione. Spesso quello che differenzia...

Table of contents

  1. Cover
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. Indice
  5. Premessa
  6. 1. Il premio Nobel per l’economia
  7. 2. Pelerinists: ovvero il mito del libero mercato
  8. 3. Mercato! Mercato!
  9. 4. Al casinò dei mercati finanziari
  10. 5. Microeconomisti duri e puri
  11. 6. Estremisti!
  12. 7. Siamo tutti keynesiani ora!
  13. 8. Cambridge vs Cambridge
  14. 9. Il revival classico
  15. 10. I teorici dell’equilibrio generale
  16. 11. Inventori
  17. 12. Alla ricerca degli “animal spirits”: l’economia comportamentale
  18. 13. La dimensione internazionale dell’economia
  19. 14. I maghi dei numeri
  20. 15. Controcorrente!
  21. 16. Un (parziale) bilancio dei primi quaranta anni del Nobel
  22. 17. Un poscritto: l’economia del ketchup e il premio Nobel
  23. 18. 2013: un Nobel a tre sfumature
  24. Appendice 1. I Premi Nobel per l’Economia
  25. Appendice 2. Distribuzione geografica dei vincitori del Premio Nobel per l’Economia
  26. Indice dei nomi
  27. Informazioni sul libro
  28. Circa l’autore