Diavolo di una particella
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Diavolo di una particella

Perchè il bosone di Higgs cambierà la nostra vita

Dario Menasce

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Diavolo di una particella

Perchè il bosone di Higgs cambierà la nostra vita

Dario Menasce

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Stefano si stava godendo un aperitivo sulla terrazza mentre il sole tramontava in un glorioso tripudio di colori. Il mondo pareva quieto e tranquillizzante. Non sospettava minimamente di essere costantemente colpito da radiazioni o che il suo corpo fosse attraversato da miliardi di neutrini ogni secondo e che i suoi piedi poggiassero sul vuoto cosmico invece di quel che appariva un solido pavimento di granito.... La scienza ci ha fatto scoprire che il mondo fisico è molto diverso da come ci appare: la storia della scoperta del bosone di Higgs è un esempio istruttivo di quanto possa essere affascinante il comportamento della natura e di quanto sia stato bravo l'uomo a sollevare i veli della quale spesso si circonda. Tutti osserviamo ammirati la gloria dell'universo, ma pochi sanno illustrare quello che vedono con una spiegazione del perché le cose si comportano in un certo modo. Questo libro tenta di farlo, accompagnandoci per mano in un mondo per certi versi pieno di incredibili sorprese, di realtà sorprendenti e di segreti ancora inesplorati.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2013
ISBN
9788820360597
Capitolo 1
DALL’ALCHIMIA ALLA SCIENZA
1
Quella mattina Tiamat era proprio contento. I mercanti provenienti dai villaggi vicini erano arrivati già da qualche giorno e anche quelli che giungevano da paesi più lontani si erano finalmente sistemati, aprendo i loro banchetti nella piazza del mercato e nei vicoli del suq di Eshnunna. Tiamat sapeva che avrebbe trovato verdure fresche, frutta esotica, carne e molte pelli pregiate. Sperava poi di trovare anche dei pugnali di ferro in sostituzione di quei due che si erano arrugginiti da qualche tempo, nonostante la cura che metteva nel conservarli in una sorta di pece nera che trovava in uno strano stagno maleodorante appena fuori dal villaggio. Si avviò con fare sicuro verso la porta di Mashki, l’ingresso principale alla medina, tenendo ben stretta, sotto una leggera tunica, la sacca con le poche monete d’oro che aveva guadagnato nel corso di molti mesi di duro lavoro come guardiano del palazzo del signore del villaggio, il lu-gal. Suo padre, Hadanish, gli aveva insegnato sin da piccolo il grande potere di quei dischetti d’oro. Anche una sola monetina aveva un grande valore e questo era già un bel vantaggio: non doveva portarsi dietro tutta la roba necessaria per acquistare tanta merce al mercato, ed era anche più facile passare inosservati dai briganti lungo la strada dal villaggio al suq, perché le monete stavano ben nascoste nella tunica, anche se d’altra parte sarebbe stato più facile rubarle se le avessero trovate. Il vero motivo per il quale Tiamat, il padre, il nonno e tutti i suoi antenati amavano tanto le monete d’oro da così tanto tempo era in realtà un altro. Già l’etimologia della parola “sumero”, dall’accadico Šumeru, “luogo dei re colti”, ci suggerisce che si trattava di gente con antichissime tradizioni, saggezza e capacità non comuni.
Seguiamo dunque quest’uomo mentre va al mercato a comperare il cibo per sé e la sua famiglia: da molte generazioni prima di lui, gli antenati potevano recarsi al mercato basando le loro compravendite semplicemente sullo scambio di beni di consumo quali frutta, verdura, carne o manufatti di varia natura. Tiamat invece, uomo al passo con i tempi, sapeva che con delle monete d’oro gli sarebbe stato più facile concludere affari.
Perché, direte voi? Il cibo o i manufatti servono per vivere, si possono mangiare o utilizzare, mentre l’oro è apparentemente privo di impieghi utili, a meno di non considerarne l’eccellente duttilità nel fabbricare gioielli e monili, oggetti decisamente meno basilari del cibo o degli attrezzi necessari per coltivare i campi. In realtà, l’oro ha due qualità che lo distinguono da qualsiasi altro materiale: è relativamente facile da produrre e manipolare (ma questa caratteristica l’hanno anche altri materiali) e, in più, è praticamente indistruttibile e inalterabile. Non arrugginisce, non si indebolisce né si sbriciola con il tempo come fanno altri metalli, non è attaccabile dagli acidi, rimane invariato per sempre. Questo significa che chi ne mette da parte quantità considerevoli avrà sempre con sé un’utilissima merce di scambio, appetibile sia per i compaesani sia per gli stranieri. Una volta entrati in possesso di un certo quantitativo di oro non si corre il rischio di vederlo degradarsi e quindi eventualmente sparire del tutto, come altri tipi di merci o materiali, come per esempio il ferro, che ha la sgradevole tendenza ad arrugginire e a deteriorarsi con il tempo. Tiamiat, come i suoi conterranei Sumeri, aveva osservato da tempo questo fatto straordinario e aveva quindi per l’oro una venerazione quasi divina: nient’altro che lui conoscesse al mondo rimaneva inalterato per sempre. Tutto, ai suoi occhi, decadeva e si trasformava.
Tutto, appunto, tranne l’oro.
Appare quindi comprensibile che, sin dai tempi più antichi, l’uomo cercasse il modo di riprodurre questa miracolosa proprietà dell’inalterabilità. Ovviamente, non c’era solo questa potente molla a spingere gli uomini a porsi domande sulla realtà che li circonda: molti si interrogavano da tempo immemorabile sulla natura del fuoco, dell’aria, della terra e dell’acqua, ma il problema di capire l’origine dell’oro e quello di trovare il modo di procurarselo artificialmente aveva certamente acquisito un posto preminente, perché era garanzia di bene durevole e, come tale, assicurava benessere sui lunghi periodi. Uno degli elementi alla base della ricerca della comprensione della natura dell’uomo è stato certamente quello dell’incorruttibilità: anzitutto quella corporea, che, a causa del deperimento costante di tutti gli esseri viventi, conduce inevitabilmente alla morte. Come conseguenza, tutto ciò che poteva essere di ausilio o di paradigma funzionale a raggiungere una sorta di eternità, tra cui la trasmutazione di elementi deperibili e di poco valore in oro, il re dell’inalterabilità, era considerata uno dei culmini del sapere.
2
Dopo il mercato, Tiamat andò a trovare suo cugino Ba’schum, mastro orafo nelle zecche reali, grande esperto nella produzione del prezioso metallo. Vederlo all’opera era affascinante. Quel giorno Ba’schum aveva ricevuto una nuova partita di cinabro1 e si mise rapidamente all’opera per produrre un buon numero di piccoli lingotti.
“Vedi Tiamat – disse indicando un ammasso di materiale dal colore rosso scuro – il cinabro mi serve per separare l’oro dalle impurità nelle quali è immerso. Adesso ridurrò questa massa informe in polvere, triturandola, e poi la scalderò in questa fornace.”
Il cinabro iniziò in breve a emanare un vapore dall’odore poco gradevole, lasciandosi dietro un residuo piuttosto pesante, dall’aspetto metallico e riflettente, ma curiosamente liquido: del mercurio. Poi l’uomo prese il materiale grezzo proveniente dalle miniere d’oro reali e lo sbriciolò nel mercurio. Immediatamente, l’oro presente nella ganga, la mistura di materiale grezzo estratto dalle miniere, prese ad amalgamarsi con il mercurio, separandosi dalle impurità che lo imprigionavano. Dopo molto lavoro (la procedura raccontata così sembra veloce e semplice, ma in realtà richiede molti passaggi e conoscenze significative di tecnica metallurgica), Ba’schum ottenne un discreto quantitativo di un liquido granuloso e giallastro. Lo pose a sua volta nella fornace: il mercurio iniziò a evaporare emanando fumi e lasciando dietro di sé grumi di oro quasi puro. Tiamat guardò ammirato e soddisfatto il cugino: “Vedo che per ottenere l’oro lo devi estrarre dalle impurità, mentre ho visto produrre tanti altri materiali semplicemente mescolando diversi elementi che, in origine, non contenevano quel materiale. Per esempio, il fabbro Enmerkar produce nella sua bottega il bronzo che gli occorre per realizzare i propri manufatti, mescolando con arte e sapienza rame e stagno. Qualche volta, invece dello stagno, usa con successo altri metalli, come il nichel, ma il risultato è sempre del bronzo, che in origine non era presente nei materiali originali. Non possiamo fare qualcosa di simile anche con l’oro? Non lo si riesce a ottenere mescolando materiali magari di scarso pregio?”
A questa domanda Ba’schum non seppe rispondere, come non lo seppero fare per svariati secoli generazioni di orafi, metallurgi e alchimisti. La ragione dell’incapacità di tutti costoro di rispondere in modo soddisfacente risiedeva in due fatti: il primo, più importante, era che mancava un metodo, una strategia coerente per spiegare i fenomeni naturali; quello che un giorno sarebbe diventato noto come il metodo scientifico. Il secondo era che non si conosceva la differenza tra il concetto di elemento chimico e quello di composto. Solo molto tempo dopo la nascita della metodologia scientifica divenne chiaro in cosa consistesse questa differenza e da cosa fosse originata. Vedremo più avanti quali conseguenze ebbe per la conoscenza umana la comprensione di questi concetti e che relazione vi fu con la scoperta delle particelle elementari.
 
1.Il cinabro è un minerale di un colore tendente al rosso, della famiglia dei solfuri, composto da una miscela di mercurio e zolfo.
Capitolo 2
LE CURIOSITÀ DI UN NIPOTE
1
Erano mesi che mio nipote, studente di ingegneria al primo anno, premeva affinché lo portassi in gita al CERN di Ginevra. “Zio, ieri a lezione il professore di fisica ci ha letto un articolo sull’LHC. Ci ha spiegato che è la più grande e complessa macchina mai costruita dall’uomo e che con quella hanno appena scoperto il bosone di Higgs. E poi l’ho anche visto in televisione. So che tu ci lavori; mi piacerebbe proprio fare la relazione del prossimo semestre su qualcosa che ho potuto vedere con i miei occhi. Ti andrebbe di portarmi a visitarlo?”
I corsi all’università erano appena finiti, era luglio, Stefano aveva già dato gli esami previsti e l’LHC era spento per riparazioni, per cui sarebbe stato possibile entrare nelle caverne sotterranee contenenti i rivelatori per osservare da vicino questa meraviglia della tecnologia. Avevo già cercato di spiegargli, qualche anno prima, cosa andavo a fare nei miei viaggi a Ginevra, ma all’epoca era ancora troppo piccolo ed evidentemente non era ancora scattata in lui la molla della curiosità scientifica. Non mi parve vero di poter cogliere la palla al balzo: detto fatto, un caldo pomeriggio d’estate Stefano e io, dopo un bel viaggio in treno, ci trovammo all’ingresso del CERN. Il laboratorio è stato costruito a cavallo tra la Francia e la Svizzera, a otto chilometri dal centro della città di Ginevra, al confine fra i due stati che lo attraversa in più punti. L’ingresso non colpisce in modo particolare il passante distratto, sembra di entrare in una qualsiasi industria moderna senza nulla di fantascientifico. Passati i controlli all’ingresso, però, si percepisce subito che si tratta di un posto molto particolare. La strada che si percorre entrando è intitolata a Wolfgang Pauli, un nome che, di primo acchito, a molta gente non dice molto. Ma al primo incrocio ci si imbatte, a sinistra, in route Albert Einstein e, subito dopo, alla prima rotonda, si incontra un crocicchio tra route Democrite, route Lawrence e route Wu. Alcuni di questi nomi sono decisamente altisonanti e credo che siano certamente noti a una buona fetta di umanità (almeno Einstein, spero). Ricordo ancora con grande emozione il giorno in cui, non ancora laureato, ho percorso questi viali come studente estivo: avrei passato le mie vacanze lavorando nel tempio della fisica moderna fianco a fianco degli scienziati che stavano studiando i misteri della natura. Tanta ingenuità ma immenso entusiasmo: i nomi dei fisici delle strade del CERN mi erano già (quasi tutti) noti, come pure i loro contributi alla storia della scienza. Ora avrei avuto modo di ripercorrere quelle emozioni, da me provate tanti anni fa al mio primo ingresso al CERN e mai dimenticate, facendo conoscere a mio nipote le meraviglie di questo luogo particolare e la storia di chi ne ha permesso e garantito l’esistenza. Il CERN non è solo un laboratorio di fisica con edifici dedicati alla scienza, è anche un microcosmo sociale, l’analogo di una piccola città: ci sono alberghi, ristoranti, bar, uffici postali, banche e negozi. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale l’Europa versava in condizioni disastrose: l’industria era stata quasi completamente distrutta, le città bombardate. Ma quel che era peggio, un elevato numero di illustri scienziati, a causa delle sciagurate leggi razziali, erano emigrati negli Stati Uniti d’America. Questo immenso e prezioso patrimonio culturale, unito allo spirito di quella giovane nazione, avevano contribuito a rendere la ricerca scientifica un’attività molto avanzata in quel grande Paese. In Europa, grazie alla lungimiranza di politici e scienziati, agli albori degli anni Cinquanta, si decise che sarebbe stato fondamentale per la rinascita del Vecchio Continente istituire un organismo internazionale con lo scopo di sostenere la ricerca in Fisica Nucleare, cercando di favorire, tra l’altro, il rientro di quante più possibili di quelle illustri e acute menti fuggite qualche anno prima depauperando il sapere scientifico europeo. Stefano e io ci dirigevamo verso la canteen1 del CERN, il luogo preferito per ogni tipo di incontro informale da tutti i cernicoli (ci diverte assai appellarci in questo modo…). Osservavamo le persone affaccendate per i viali del laboratorio: tanti, tantissimi giovani, facce di tutti i Paesi e di tutte le culture. Davvero un un posto eccitante.
“Zio, da dove cominciamo? Vorrei capire bene cos’è il bosone di Higgs e cosa c’entra l’LHC: mi piacerebbe poter fare una bella relazione. A proposito, si può entrare nell’acceleratore? E dove sono i giganteschi rivelatori di particelle di cui ci ha parlato il prof?”
Da dove dovevo cominciare? La costruzione dell’LHC e la scoperta del bosone di Higgs erano solo l’ultimo episodio di un’avventura iniziata molti secoli prima, anzi, a ben guardare forse millenni prima, e io non avevo ancora pensato a come affrontare questa lunga storia con mio nipote. Senza spiegargli un certo numero di antefatti non avrebbe capito un accidente della scoperta del bosone e del perché fosse così importante. Mi ricordai, però, di alcune voci che avevo sentito circolare al Computer Department: al CERN stavano mettendo a punto una innovativa tecnologia per far comunicare persone tra loro non solo attraverso lo spazio, ma anche attraverso il tempo, e si pensava di utilizzare questa novità per creare un museo virtuale. Valeva proprio la pena approfondire: un museo virtuale mi avrebbe permesso di far capire, in modo semplice ma chiaro, perché il bosone di Higgs era importante e come si era arrivati a scoprirlo.
Da lontano intravidi una bella faccia australiana, barbuta, burbera ma sorridente: “Ciao Peter, quanto tempo…” Peter era un vecchio amico degli anni in cui lavoravo al Fermilab2 di Chicago e se c’era qualcuno che poteva sapere qualcosa di quel progetto, bene, quel qualcuno era sicuramente lui. Dopo un po’ di convenevoli per raccontarci a vicenda cosa ci fosse capitato negli ultimi anni in cui ci eravamo persi di vista, venni rapidamente al punto. “Peter, voglio far capire a mio nipote cosa diavolo si combina qui al CERN e nel contempo fargli toccare con mano che macchina straordinaria sia l’LHC e che gioielli tecnologici i suoi rivelatori. So che state mettendo su un museo virtuale di cui si mormorano mirabilie…” Peter mi osservò con sguardo leggermente imbarazzato: “Mah, vedi, si tratta di un progetto che dovrebbe essere ancora riservato, molto riservato, non credo di potertene parlarne liberamente…”
Dopo qualche goffo tentativo di approfondimento decisi che l’imbarazzo di Peter fosse sufficientemente eloquente e ci congedammo con un saluto affrettato. Mi rimaneva ancora il problema di come affrontare il tour del CERN con relative spiegazioni e racconti, ma decisi di rimandare il tutto all’indomani. Stefano e io passammo la serata gustando una bella cena a Ginevra andando poi a dormire nell’accogliente foyer del CERN, un elegante ostello che negli anni ha ospitato nelle sue stanze la maggior parte dei fisici di tutto il pianeta, oltre a svariati premi Nobel.
3
Il mattino dopo mi diressi a passo spedito verso il dipartimento dei rivelatori al silicio. Stefano scalpitava: “Quel cartello dice che l’esperimento CMS è dall’altra parte, dove stiamo andando, zio?”
“Prima di farti vedere l’LHC e suoi rivelatori, voglio farti conoscere il progenitore di tutti questi strumenti, vedrai, è sorprendente!”
Avevo parecchi amici in quel dipartimento e non feci fatica a trovare Lorenzo: “Ciao Lorenzo, ti presento mio nipote Stefano. Ha una gran curiosità di conoscere e capire il funzionamento degli strumenti per l’indagine del microcosmo e per prima cosa pensavo di fargli vedere quello che tieni nella camera pulita, quello nero…” Lo dissi strizzandogli un occhio, pensando di non essere visto da mio nipote, ma mi accorsi che non solo mi aveva visto, ma che sospettava anche una qualche sorta di presa in giro.
Lorenzo, sogghignando, ci fece strada verso la camera pulita, un ambiente molto particolare utilizzato per assemblare le componenti elettroniche dei rivelatori che necessitano di non essere esposte ad alcun tipo di impurità, come per esempio la polvere. Prima di entrare ci vestimmo di speciali tute bianche, dotate di cappucci per la testa, guanti, babbucce e, vestiti come chirurghi, entrammo in un locale illuminato da forti lampade alogene. Nel centro del locale c’era un grande cilindro coricato su uno speciale tavolo mobile, un oggetto dall’aspetto fantascientifico, densissimo di microchip e di sottilissimi cavetti, circondato da tre o quattro persone in camice bianco che si davano da fare come medici attorno a un essere alieno. Stefano, affascinato, stava già per dirigersi verso quello strano strumento quando gli dissi: “Guarda che non siamo venuti qui per quello, non adesso per lo meno. Avvici...

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