La Storia della Disco Music
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La Storia della Disco Music

Andrea Angeli Bufalini, Giovanni Savastano

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La Storia della Disco Music

Andrea Angeli Bufalini, Giovanni Savastano

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Alla scoperta del pianeta Disco. 2 aprile 1979. Newsweek, con Donna Summer in copertina, titolava: 'Disco Takes Over' (la disco prende il sopravvento). 40 anni fa, dopo piÚ di un lustro di incontrastato regno, la disco music era al suo apice. Trascorsi tre mesi da quell'articolo, una parte dell'establishment tenterà di farla fuori. Invano: era già nel dna della musica. Il volume analizza genesi e sviluppo di un melting pot sonoro, culturale e sociale dalle innumerevoli diramazioni creative: un fenomeno molto amato, ma anche molto osteggiato, che, da movimento underground per minoranze di razza, sesso e ceto sociale, si è evoluto in carismatico trend-setter di massa. Per la prima volta in Italia viene narrata, da prospettive nuove rivolte al contesto socio-culturale dell'epoca, la storia completa della disco music risalendo alle sue radici afro, R&B, soul, funk fino alle contaminazioni con l'elettronica dell'Eurodisco, con un occhio di riguardo riservato alla prima Italo Disco, approfondendo altresÏ il proliferare delle originarie discotheques che, da Parigi, sono esplose a New York, centro gravitazionale della club culture (The Loft, Studio 54, Paradise Garage) e trampolino di lancio dei nuovi ministri del suono, i DJ e i loro vinili a 12 pollici. Una mappa fondamentale per orientarsi tra le varie correnti assurte a fama mondiale: dalle origini afro di Manu Dibango e della Lafayette Afro Rock Band al solare Miami Sound, dalla disco-stomp di Bohannon alla Febbre del Sabato Sera, dall'orchestrale Philly Sound all'elettronica del Munich Sound di Giorgio Moroder, dalle superstar (Donna Summer, Bee Gees, Chic, Gloria Gaynor, Barry White, Amii Stewart) alle iconiche hits delle meteore ('Ring My Bell', 'Born To Be Alive', 'Funky Town') e dei personaggi piÚ oscuri, dal gay-clubbing di Sylvester e Grace Jones agli 'alieni' atterrati sul dancefloor dai pianeti rock, funk e jazz. Con un focus incentrato nel periodo 1974-1980 (prodromi ed epigoni annessi), La Storia della Disco Music è la prima narrazione completa, ricca di racconti, aneddoti e citazioni, sul caleidoscopico genere che ha contribuito in modo fondamentale all'evoluzione della musica moderna.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2019
ISBN
9788820389901
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01
SOUL MAKOSSA
DISCO ROOTS: SATURDAY NIGHT AFRICAN FEVER
La genesi della disco music
“Balla la musica del corpo,
ti fa toccare il cielo con un dito,
senti la musica che suona,
senti il tuo corpo sudato ondeggiare
al ritmo sensuale…”
— OSIBISA, “DANCE THE BODY MUSIC”
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02
LOVE IS THE MESSAGE
THE SOUND OF DISCO
Philadelphia, il soul della disco music
“Sentimento, ritmo e magia, questo è il Philly Sound”
— TOM MOULTON
IL MAGICO PHILLY (DISCO) SOUND
Ponte tra le grandi orchestre delle ballroom in piena epoca swing, tradizione vocale di strada doo-wop e nuovo beat che irrompe a ritmo pulsante, la rigenerata musica afroamericana, poliritmica e inarrestabile, è pronta ad abbracciare il pianeta. Ballando.
Splendida creatura scaturita dalle menti di Kenneth Gamble e Leon Huff, il Philly Sound – così viene abbreviato The Sound of Philadelphia (definito anche Philly Soul) – nasce e si sviluppa nell’omonima città dell’East Coast statunitense nella seconda metà degli anni Sessanta. In quel periodo il citato duo di compositori, autori, musicisti e produttori, lasciata alle spalle l’esperienza come membri della band The Romeos e messa su la Gamble (etichetta locale che resisterà fino ai primi anni Settanta per poi trasformarsi nella TSOP Records), lancia da subito con successo nuovi gruppi. Soul Survivors, The Intruders, Archie Bell & The Drells sono i pionieri di un nuovo R&B-soul, meno grezzo nei suoni rispetto a quello già esistente, ma non meno ricco di strumentazioni, che si fa spazio nelle classifiche in concomitanza con il declino della Motown. Non prima, però, di una lunga gavetta affrontata, non sempre in discesa, dai due giovani aspiranti music businessman di successo. A Philadelphia, dove pullulava un gran fermento musicale prevalentemente bianco alimentato sin dalla metà degli anni Cinquanta dall‘autoctona, ma popolarissima ovunque, trasmissione TV American Bandstand di Dick Clark, Kenny e Leon cominciano a farsi strada come turnisti. In particolare, prendono parte alle session dell’etichetta Cameo-Parkway al seguito delle star del momento, come Dee Dee Sharp (futura signora Gamble) e Chubby Checker, che nel 1960 trionfa con la twist mania.
UN CAVALLO CHE BALLA SENZA PADRONE
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Estate 1968: negli Stati Uniti impazza una nuova danza imbastita sulle note scoppiettanti R&B/pre disco di “The Horse”, attribuito all’afroamericano Cliff Nobles & Co. (gran parte del “Co.” diventerà a breve l’orchestra MFSB di Philly) il quale però non solo non canta nel brano, interamente strumentale, ma neanche ne è l’autore o il musicista. Una sorta di ghost singer, dal passato di cantante gospel, diventato famoso di botto. Eppure “The Horse” non doveva essere altro che il lato B strumentale del 45 giri “Love Is The Answer”, stavolta (ben) cantato da Nobles. Ma un dj radiofonico di Miami, sbagliando lato del vinile, cominciò a mandare in onda il baldanzoso “cavallo” (horse) che fece la fortuna di Cliff creando, suo malgrado, uno dei casi più bizzarri della storia della musica. Dall’alto del milione di copie vendute, “The Horse” non è l’unica hit della piccola etichetta Phil-L.A. of Soul che l’anno precedente aveva fatto centro con “Boogaloo Down Broadway” di The Fantastic Johnny C, cantante gospel secolarizzato all’R&B, che nel 1973 ci regala una splendida “Waiting For The Rain” su un tappeto proto-disco targato Baker (basso) – Harris (chitarra) – Young (batteria), magica sezione ritmica del Philly disco Sound.
Il segnale di un cambiamento imminente e irreversibile nel mondo musicale è evidente. La tradizione vocale di radice gospel, rozza e possente, della gente di colore del Sud, comincia a fondersi meravigliosamente con le raffinate orchestrazioni delle città del Nord. Dopo Detroit (patria del Motown Sound) ora è la volta di Philadelphia, quin-ta metropoli degli Stati Uniti in ordine di grandezza grazie anche al forte incremento migratorio di migliaia di famiglie di neri provenienti dalle zone rurali povere del meridione. In questo nuovo scenario la musica gioiosa proveniente da Philly, nota come The City Of Brotherly Love (città dell’amore fraterno), non poteva che rappresentare una risposta sociale precisa e mirata alla dilagante intolleranza razziale, attraverso un messaggio semplice e diretto: amore e libertà.
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Kenneth Gamble (a sinistra) e Leon Huff. Al centro, Thom Bell: le tre menti del Philly Sound
“Cos’è per me il Philly Sound? È l’aver accostato lussureggianti arrangiamenti e grandi orchestrazioni alla musica urbana dell’angolo della strada e alle armonizzazioni della tradizione doo-wop”
JOE TARSIA, PROPRIETARIO DEI SIGMA SOUND STUDIOS
Dopo anni di svariate collaborazioni nell’ambito del prospero mercato discografico della città, nelle rispettive vesti di autore (Gamble) e pianista/compositore (Huff), il primo grande successo firmato dalla coppia, “Expressway To Your Heart”, arriva nel 1967 con una band composta da cinque ragazzi bianchi chiamata Soul Survivors. “La gente non afferrava che senso avesse, per un gruppo bianco, interpretare canzoni composte da due neri. Eppure io e Leon avevamo in mente l’obiettivo già prima di scrivere il pezzo”, ricorda Gamble di quella fortunata collaborazione che catapulta la sconosciuta band nella Top five delle classifiche sia soul che pop, vendendo solo negli States un milione di copie del 45 giri. D’altra parte anche uno dei proprietari della Crimson, la piccola etichetta di Philly che li aveva messi sotto contratto, era consapevole del fatto che quella “era la band bianca più nera di tutta la città”. Ispirandosi ai Rascals e ai Righteous Brothers, pionieri del cosiddetto blue-eyed soul (musica nera interpretata da cantanti bianchi), Gamble e Huffcollaborano con i Soul Survivors per parecchi anni fino a scritturarli, nel 1974, per la loro etichetta TSOP con brani in pieno stile disco, come “City Of Brotherly Love”, omaggio alla loro città, senza però replicare il boom del brano d’esordio.
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The Intruders, la band proto-disco di Philly
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W LA BLACK MAMA
Tra i molti artisti a cui il duo Gene McFadden e John Whitehead dà uno sprint rivitalizzante, spiccano gli Intruders, quartetto di doo-wop della scena di Philadelphia, scritturato a metà anni Sessanta da Gamble e Huff. Dopo il disco d’oro con “Cowboys To Girls” e la successiva repentina discesa verso il dimenticatoio, spunta nell’estate del 1973 “I’ll Always Love My Mama”, deliziosa proto-disco, ode alle madri, firmata da Gene e John con Gamble & Huff. Gli Intruders tornano così sotto i riflettori grazie a quel fiammeggiante riffdi chitarra che – ripreso nelle hit di fine anni Novanta “Desire” dei Nu Colours e “Get Involved” di Raphael Saadiq – rimane tuttora memorabile. Ovunque, “la mam-ma è sempre la mamma”.
È invece siglata The Intruders la mega hit crossover del 1968, infarcita di sapore gospel e tradizione doo-wop con ariosi arrangiamenti orchestrali, “Cowboys To Girls”, interpretata con fervore dal quartetto afroamericano scoperto dai nuovi architetti del black music power Kenny e Leon. Un affiatato sodalizio artistico che durerà per tutta la carriera del gruppo – longeva, ma poco baciata dalla fortuna. Se si eccettuano, infatti, i due brani del 1973 “I’ll Always Love My Mama” e la straordinaria soul ballad “I Wanna Know Your Name” con arrangiamenti e vocals (di Sam “Little Sonny” Brown) sempre sul filo del pentagramma, gli Intruders purtroppo non diventano delle superstar: pagheranno infatti lo scotto di non essersi adeguati prontamente ai ritmi uptempo del momento, lasciando il campo ai loro “rivali” Harold Melvin & The Blue Notes e The O’Jays.
“Potrei ballare tutta la notte; fatemi ballare, mi fa sentire vivo”
ARCHIE BELL AND THE DRELLS
Sorte leggermente diversa tocca alla band Archie Bell & The Drells, reduce dal primo posto nelle classifiche statunitensi con l’incendiaria “Tighten Up” del 1968 per la Atlantic, uno dei primi brani funk dichiaratamente da discoteca con un memorabile incipit. “Ciao a tutti sono Archie Bell dei Drells, vengo dal Texas; noi non solo cantiamo, ma balliamo bene come camminiamo e a Houston abbiamo appena lanciato questo nuovo ballo chiamato ‘Tighten Up’: questa è la musica con cui noi ci stringiamo”. Archie e soci vengono catturati in un baleno dai pigmalioni Gamble e Huff pronti, sempre nel 1968, a confezionare per la band texana (ancora sotto contratto con l’Atlantic) un brano che può essere considerato l’archetipo disco music per eccellenza, “I Can’t Stop Dancing”, con il testo inneggiante a danzare senza sosta: “La musica ha uno strano effetto su di me, non importa dove io sia, appena ascolto il battito funky di una batteria mollo tutto e salto giù dalla sedia, non posso fare a meno di ballare, proprio non riesco a smettere”. Il groove da dancefloor sarà il marchio incandescente di tutta la carriera della band, che nel 1975 viene reclutata definitivamente dalla scuderia Philly per l’album Dance Your Troubles Away, apoteosi disco prodotto da McFadden & Whitehead.
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Archie Bell & The Drells in piena apoteosi disco
“Le registrazioni ai Sigma Sound Studios di Philadelphia erano lunghe e rilassate session, suonate live da uno stuolo di musicisti che stavano lì perché lo sentivano veramente: non era un lavoro, ma un modo di vivere. Era l’insieme di questi artisti a fare la differenza, non il talento di un singolo”
TOM MOULTON
Questi i prodromi dell’incredibile consacrazione di un nuovo sound che, in particolare con The O’Jays (scritturati da Gamble e Huff per la loro nuova etichetta Neptune distribuita dalla Chess Records), esplode già nel 1969, anno in cui il trio irrompe con “One Night Affair”, rivoluzionario brano (ovviamente firmato Kenny e Leon) scintillante e accelerato, ma colmo di melodia. Il cambiamento è in atto: pur incorporando elementi della musica di Detroit e di Memphis, “One Night Affair” irradia un groove, inusitato e moderno, pronto a incendiare le prime discothèque, e identificato di lì a poco come disco music. Anche se galvanizzati dalla reputazione che stanno ottenendo, Kenny Gamble e Leon Huff non sono ancora in possesso di un loro brand sonoro immediatamente riconoscibile: “Stavamo cercando un nuovo suono che fosse soltanto nostro. Eravamo consapevoli che i giovani non avrebbero più acquistato dischi con il sound ruvido e primitivo del R&B, volevamo qualcosa di più sofisticato, così abbiamo cominciato a usare violini, vibrafoni e grandi orchestre”, dirà Kenny Gamble.
Come quartier generale per le nuove composizioni scelgono gli innovativi Sigma Sound Studios creati nel 1968 dal bianco filadelfiese Joe Tarsia, ingegnere del suono dell’etichetta Cameo Parkway, che aveva appena venduto tutte le sue proprietà (automobile e casa incluse) pur di acquistare quelle sale di registrazione, le prime a essere corredate del sistema – molto ...

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