Leonardo primo designer
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Leonardo primo designer

Idee, sogni, progetti

Cristina Morozzi, Massimo Temporelli

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Leonardo primo designer

Idee, sogni, progetti

Cristina Morozzi, Massimo Temporelli

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Leonardo osservato da una nuova prospettiva, non come artista, architetto, ingegnere o scienziato ma come designer. Esiste infatti un solo vero filo rosso capace di legare insieme e coerentemente tutte le multidisciplinari attività di Leonardo: la passione per il progetto. Leonardo fu un grande progettista, capace di passare dalla micro alla macro scala, 'dal cucchiaio alla città', ed è questa sua capacità progettuale, che mischia arte e scienza, armonia e ingegneria, ad affascinarci ancora. Da un'idea di Mario Viscardi, gli autori analizzano con competenza e abilità tutte le caratteristiche dei più celebri progetti leonardeschi, dal monumento equestre a Francesco Sforza alle micidiali armi militari, passando agli oggetti di uso quotidiano come le macchine per il tessile e per il cantiere. Non mancano infine riferimenti a grandi figure del design italiano e internazionale che hanno calcato le orme di Leonardo in epoca contemporanea.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2019
ISBN
9788820391164
1
Nella bottega del Verrocchio
È opportuna una premessa. Leonardo non è mai stato definito designer, forse perché la sua figura è stata affrontata dai critici d’arte, dagli ingegneri, dagli antropologi, dagli architetti, dagli urbanisti, mai dagli esperti di design. Se partiamo dallo slogan coniato da Ernesto Nathan Rogers “dal cucchiaio alla città” per la carta di Atene – documento prodotto nel 1952 nell’ambito del Congresso Internazionale di Architettura, che indicava il largo spettro progettuale del design – Leonardo è definibile designer, sia per la sua metodologia creativa, sia per la vastità della sua produzione. Il suo eclettismo, la sua costante attenzione alla funzione e alla ergonomia, lo rendono assolutamente contemporaneo. Ibridò ante litteram arte e tecnologia, ponendosi come precursore del design artistico, una tendenza in ascesa che contempla, in contrapposizione al design seriale, pezzi unici o in serie limitata.
Le sue disposizioni naturali – curiosità, visionarietà, caparbietà nel cercare di superare i vincoli per realizzare il nuovo, qualità che appartengono al mestiere del designer – furono sicuramente sollecitate dal clima rinascimentale fiorentino che nutrì Leonardo sin dall’apprendistato nella bottega di Andrea del Verrocchio, la più importante di Firenze, vera e propria officina di talenti.
Merita soffermarsi su Firenze, una città che ha conosciuto corsi e ricorsi, e che sin dal Rinascimento ha influenzato il clima culturale dell’epoca. Anche se attualmente in sonno, Firenze vanta una serie di personaggi che giganteggiano nella storia. Lorenzo de’ Medici che promosse arti e architetture. L’apocalittico Gerolamo Savonarola, appartenente all’ordine dei frati domenicani, che profetizzava sciagure per Firenze e per l’Italia; più volte rimproverato da Lorenzo per il tenore delle sue prediche, finì nel 1497 scomunicato da papa Alessandro VI e l’anno dopo impiccato e bruciato sulla pubblica piazza come eretico. Filippo Brunelleschi, architetto, ingegnere, scultore, matematico, orafo e scenografo, inventore della prospettiva a unico punto di fuga o lineare centrica, autore della cupola di Santa Maria del Fiore, un prodigio ingegneristico, costruito senza centine. Non mi soffermo sui pittori e scultori, se non per segnalare che, sebbene molti condividessero l’apprendistato nelle medesime botteghe, furono estranei alla “maniera”, coltivando ciascuno il proprio riconoscibile stile.
Con un salto in lungo di circa sei secoli arrivo a Giorgio La Pira, sindaco di Firenze in due periodi diversi, dal 1951 al 1957 e dal 1961 al 1965. Novello Lorenzo de’ Medici, fece ricostruire i ponti Alle Grazie, Vespucci e Santa Trinita, distrutti dalla guerra; creò il quartiere satellite dell’Isolotto; impostò quello di Sorgane; riedificò il Teatro Comunale. A partire dal 1958 organizzò a Palazzo Vecchio i Colloqui mediterranei ai quali parteciparono, tra gli altri, rappresentanti arabi e israeliani. Fu legato a Giorgio La Pira anche padre Ernesto Balducci, membro dell’ordine degli Scolopi. Alla metà degli anni Cinquanta le sue prediche infuocate, alla Savonarola, per il rinnovamento della chiesa cristiana gli procurarono folle di seguaci, ma anche l’ostilità della curia che lo allontanò da Firenze.
Anche il pret à porter nacque a Firenze nel 1952 con la prima sfilata alla Sala Bianca di Palazzo Pitti, organizzata da Giovan Battista Giorgini. Salvatore Ferragamo – il calzolaio dei sogni (questo il titolo della sua biografia), che calzò i piedi di molte dive di Hollywood – costruì il suo impero trasferendosi da Bonito, un piccolo paese in provincia di Avellino, a Firenze, a Palazzo Ferroni (ancora di proprietà della famiglia) in piazza Santa Trinita, ben accolto dalla città.
Con il Museo delle calzature storiche, aperto al pubblico all’interno di Palazzo Ferroni, il marchio, rimasto saldamente nelle mani della famiglia, è ancora un vanto della città.
Il design radicale nacque a Firenze con i gruppi Archizoom (1966-1974) e Superstudio (1966-1973). Ma come era accaduto con Leonardo, passato al servizio di Ludovico il Moro a Milano. Andrea Branzi e Massimo Morozzi, membri degli Archizoom, scioltosi il gruppo, si trasferirono qui chiamati da Elio Fiorucci a inventare nuove finiture e coloriture tessili per il centro design Montefibre.
Richard Rogers, fiorentino di nascita, noto architetto e coprogettista del Centre Pompidou di Parigi assieme a Renzo Piano, scrive nella sua autobiografia (Un posto per tutti, vita, architettura e società giusta, Johan&Levi, 2018) che la città, pur lasciata all’età di cinque anni, gli scorre nelle vene e gli è rimasta dentro come un modello di ciò che una città può essere.
Ma Firenze è anche una città ingrata e non premia i talenti che ha partorito.
Cristiano Toraldo, uno dei membri del Superstudio, autore della pensilina all’uscita della stazione S. Maria Novella, capolavoro architettonico di Giovanni Michelucci, fu bersagliato dalle feroci critiche dei fiorentini che giudicarono “sacrilego” il suo intervento, e per questo si trasferì nelle Marche. Alla facoltà di architettura, per il corso di composizione, il professor Remo Buti propose come tema di progettazione “Cosa fare con le macerie della pensilina”. La pensilina per volere popolare fu poi abbattuta.
Pare quasi che Firenze si accanisca con i fiorentini di talento, che poi conoscono fama e successo altrove. Anche per Leonardo fu così. Visse per quasi trent’anni a Milano e finì i suoi giorni il 2 maggio del 1519 in Lorena, ad Amboise, dove si era trasferita la corte di Francesco I re di Francia, di cui lui stesso fu maestro di cerimonie, scenografo, regista, progettista di una città ideale e organizzatore di balli in maschera, animati da effetti sonori.
Leonardo fu artista, scienziato, matematico, ingegnere, antropologo, ma anche scenografo, coreografo, costumista e musicista. Pare fosse capace di suonare i più svariati strumenti, compresa la lira in argento, in parte a forma di testa di cavallo, “per dare più sonora voce”, realizzata su commissione di Lorenzo de’ Medici e portata in dono a Ludovico il Moro.
Si applicava ai più svariati soggetti senza porre distinzioni, passando da progetti sperimentali al disegno di attrezzi quotidiani. Possedeva una visione del progetto a largo raggio e s’impegnava nel trovare soluzioni innovative e ardite, rivelando una propensione democratica nell’inventare strumenti che ottimizzassero il lavoro manuale e riducessero i tempi di produzione.
Concentrò i suoi studi sul processo serico e laniero che presentavano problematiche tecniche sia nella fase del semilavorato (processo d’incannatura, binatura, e torcitura della seta), sia della finitura (garzatura e cimatura del panno di lana), avviandone la meccanizzazione. Un primo passo per trasformare il lavoro della casa bottega in opifici specializzati. Costruì un telaio meccanico in legno armato con due licci con navetta lanciata in automatico, una garzatrice e una cimatrice, conservate al Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci di Milano. Consapevole dell’importanza dell’arte della tessitura, nel Codice Atlantico, in calce al progetto del telaio scrisse: “Questa è seconda alla stampa delle lettere e non meno utile e esercitata dalli omini e di più guadagno, e più bella e sottile invenzione.” Leonardo può essere considerato anche stilista, sia per i suoi studi sul tessile, sia per aver disegnato costumi carnevaleschi. Del resto, estendere il design alla moda ha illustri precedenti anche nel XX secolo. Lo confermano i due numeri di Domus Moda, pubblicati nel periodo della direzione di Alessandro Mendini, che nel secondo numero del 1981 scriveva: “Penso che il luogo sul quale ogni individuo sappia al meglio esprimere la sue personale tensione verso un ideale assoluto del bello, sia il suo proprio corpo (…) Cioè come vestire quel conosciutissimo e amato luogo sperimentale, quel terreno di quotidiana applicazione decorativa, quel soggetto che deve assolutamente riproporsi come novità. In sintesi il più positivo aspetto del gusto di massa si esprime attraverso l’abbigliamento.”
Ne riconosce la rilevanza anche Gillo Dorfles che scriveva: “La moda non è solo quella dell’abito, della haute couture, del pret à porter, ma quella che si infila nei mobili, nelle case, nei gusti artistici, sino a diventare persino la vera padrona delle nostre ideologie politiche, economiche, sociologiche e linguistiche” (Gillo Dorfles, “Preferenza, ma non migliorità della moda”, Periodico In, Milano 1972).
La moda, sin dal 1967 con la tavola “Studi di decori”, dove compare il segnaletico fulmine giallo, rappresenta un riferimento costante degli Archizoom e approda nell’importante progetto Dressing design, ufficializzato su Uomo Vogue del 1972, diretto da Flavio Lucchini, con un servizio fotografico di Oliviero Toscani.
Possedere una visione aperta del progetto, la ricerca di soluzioni formali e funzionali innovative, l’ottimizzazione del lavoro sono oggi, e sempre saranno, qualità che un creativo deve possedere per definirsi designer. Anche per Leonardo, come sostiene Laszlo Moholy-Nagy, designer e teorico dei primi del XX secolo, “fare design non era una professione, ma un’attitudine” (Alice Rawsthorn, Design as an attitude, JRP/Ringer/Las presse du réel, 2018), perché riguardava la vita. “Il design ha sempre avuto un ruolo fondamentale come agente del cambiamento sociale, politico, economico, scientifico, tecnologico, culturale, ecologico” (ibid.).
Esiste un modo di pensare da designer. Leonardo lo possedeva.
Ragionava sempre in termini di estrema concretezza e utilizzava il disegno come strumento esperienziale dell’indagine scientifica, per valutare le conseguenze pratiche delle sue speculazioni astratte. Come egli stesso affermava, “nissuna umana investigazione si può domandare vera scienza se essa non passa per le matematiche dimostrazioni”.
Il design riguarda il futuro possibile, conviene quindi sia in anticipo sui tempi, in qualche misura visionario, ma deve sempre confrontarsi con il reale, perché è destinato non a una vita ideale, ma a migliorare quella quotidiana del maggior numero di persone possibili. Il design non può essere disgiunto da una funzione che faciliti le pratiche per le quali è stato concepito: le balestre devono avere lunga gittata, gli strumenti musicali necessitano di buona sonorità. Le forme, anche le più complesse, che Leonardo immaginava non erano fantasie peregrine, destinate a stupire i signori con la magnificenza delle sagome e dei decori, ma strumenti studiati sin nei minimi dettagli, per scopi precisi e definiti. Possedevano la bellezza della pertinenza.
Al suo metodo calza il motto “Dio è nei dettagli” di un grande architetto e designer del Novecento, Mies Van der Rohe, promotore di un’architettura “skin and bone” (pelle e ossa), basata sull’onestà dei materiali e sull’integrità strutturale.
2
L’orto di San Marco e i Medici
Leonardo nasce a Vinci, un paese della zona settentrionale della Toscana. Qui, all’interno della Rocca dei Conti Guidi, è oggi ospitato un piccolo museo con una serie di modelli ricostruiti e donati dalla IBM sulla base dei disegni leonardiani. Per il progetto del Villaggio della creatività e per il Parco tematico del Centro di Arte-Natura e Scienza della Toscana di Leonardo è iniziata, alle porte di Vinci, la creazione del Giardino di Leonardo e dell’Utopia, come sezione del museo a cielo aperto. Il labirinto di Leonardo è stato ricostruito nel 1997 sulla base dei suoi disegni, utilizzando dei girasoli e 1500 salici purpurei, detti alberi di Vinci. Il sentiero degli alberi e fiori diversi (1999), con la sua forma a spirale in continua crescita, reinventa l’idea del viale di Bruno Munari: la prima pianta è l’alloro, donata dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi; ne seguono altre scelte da artisti, scienziati, poeti e amici del museo. Munari propose “un viale di alberi diversi, perché la gente, quando scappa dalla città, cerca la campagna. In campagna trova un ciliegio vicino a un pioppo, poi un cespuglio di ortensie vicino a un prato e poi cinque tigli e poi un castagno, un fico, undici robinie e una quercia”.
Leonardo era figlio illegittimo del giovane notaio Piero da Vinci e di Caterina. Il padre Piero si sposò altre tre volte e dette a Leonardo 12 tra fratellastri e sorellastre.
Quando era ancora ragazzo, verso il 1480 il padre, date le sue doti nel disegno e l’impossibilità di avviarlo alla carriera giuridica, e vista la sua attitudine a cominciare molte cose e poi abbandonarle, lo portò a Firenze nel Giardino di San Marco di Lorenzo il Magnifico, adiacente al palazzo. Era una specie di museo all’aperto, dove era esposta la collezione di statue antiche di Lorenzo e dove l’anziano scultore Bertoldo di Giovanni teneva una scuola d’arte per i giovani. Il giardino era una sorta di accademia nella quale si allevavano talenti. Pare che dieci anni dopo lo frequentasse anche Michelangelo Buonarroti. Lorenzo pagava un salario per far lavorare Leonardo nel giardino affacciato su piazza San Marco, affidandogli lavori di scultura, restauro e di scenografia per i raduni di artisti che lì si tenevano. È probabile che l’amore che Leonardo dimostrò per la natura sia stato stimolato dalla sua frequentazione del Giardino di San Marco. In merito il Vasari nelle Vite scrive: “E non avendo egli, si può dire, nulla e poco lavorando, del continuo tenne servitori e cavalli, dei quali si dilettò molto, e particolarmente di tutti gli altri animali, i quali con grandissimo amore e piacenza governava. E mostrollo chè spesso ...

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