La scatola magica
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La scatola magica

All'origine delle neuroscienze

Antonio Cerasa, Francesco Tomaiuolo

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La scatola magica

All'origine delle neuroscienze

Antonio Cerasa, Francesco Tomaiuolo

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Brenda e Peter Milner, Costantino Economo, Wilder Penfield, nomi forse poco noti al grande pubblico, sono in realtà i pionieri di una delle più importanti e dinamiche discipline scientifiche del nuovo millennio: le neuroscienze. Il primo libro che racconta come siano nate e si siano sviluppate le loro idee, destinate a rivoluzionare scienza e medicina, rivolgendo lo sguardo dentro quella 'scatola magica' che è la mente. Dai loro studi derivano le attuali tendenze e linee di ricerca, proiettate al futuro, come la teoria dell'universo frattale e l'intelligenza artificiale.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2019
ISBN
9788820387846
1
Cervello e comportamento: Brenda e Peter Milner
Parlare della nascita di un settore delle neuroscienze, in particolare l’area comportamentale, passando per la storia dei coniugi Brenda e Peter Milner avrà un forte impatto emotivo, soprattutto in chi sta scrivendo queste righe. Speriamo di riuscire a farvi “sentire” queste emozioni cominciando dalla storia di Brenda Langford (in Milner dal 1941).1
Brenda Milner e la sua serendipity
Brenda Milner ha saputo farsi trovare sempre pronta, nel posto giusto e al momento giusto.2 È riuscita a conoscere e collaborare con i massimi esperti delle neuroscienze mondiali che hanno avuto a che fare, durante la loro carriera, con il Montreal Neurological Institute (MNI), tempio sacro delle neuroscienze. Brenda Milner era lì, è sempre stata lì, una colonna dell’MNI. Il suo essere stanziale le ha reso gloria, contro il modello migratorio dello scienziato moderno. Dagli anni Quaranta fino agli anni Settanta, essere un neuroscienziato donna non solo era rivoluzionario, era quasi impossibile per i motivi legati allo stereotipo femminile nelle società occidentali, dato che la totalità delle cariche dirigenziali era assegnata a uomini.
Brenda Milner nasce nel 1918 a Manchester, in Inghilterra, da una famiglia benestante con entrambi i genitori che lavoravano nel campo della musica. Fin da piccola non mostrava particolare interesse o capacità artistiche. Un evento che incise profondamente sulla sua vita fu la perdita del padre in tenera età. Rimasta sola con la madre, non solo riuscì ad andare avanti ma mostrò fin da subito un’evidente bravura a scuola che la portò a completare gli studi giovanili con ottimi risultati e in anticipo rispetto alla norma. Durante il periodo all’Università di Cambridge, scelse dapprima matematica, abbandonandola dopo appena un anno. Anche se si accorse subito che non era portata per questa materia, Brenda Milner fu felice di aver speso un anno della sua vita in questo settore che le aveva insegnato (ipse dixit) to think in a 3-dimensional space. Tuttavia, la madre avrebbe preferito che lei continuasse a studiare quella materia perché le avrebbe offerto un futuro sicuro.
Per nostra fortuna, però, Brenda Milner non le diede retta. Preferì la psicologia, una materia totalmente oscura che all’epoca veniva inserita nel programma delle scienze morali, come la filosofia e la religione. Si appassionò non alla psicologia che dominava il periodo, quella dinamica fondata da Sigmund Freud, ma a quella sperimentale. Cambridge, infatti, stava acquisendo una certa fama in questo settore, vista la presenza di scienziati come Sir Frederic Bartlett, uno dei precursori della nascente psicologia cognitiva.3
Non solo la madre ma anche gli amici la prendevano in giro per questa scelta, anche se insisteva nello spiegare loro che tutto dipendeva da un semplice ragionamento logico. La psicologia sperimentale era diversa dalle altre materie umanistiche poiché si basava sul metodo scientifico. Mentre filosofia o lettere sono conoscenze che si possono sviluppare anche con il solo pensiero individuale, la psicologia sperimentale necessita di un approccio empirico e pertanto deve essere applicata nella realtà per diventare oggettiva. Inoltre, la psicologia, come qualsiasi branca scientifica, va affrontata interagendo in un team. Qualche decennio dopo la giovane Milner, un altro importante personaggio definirà questa caratteristica degli scienziati con la frase No man alone, scenario che incontreremo nel capitolo 3.4
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Figura 1.1Brenda Langford (in Milner dal 1941), psicologa, nata a Manchester il 1918. Ultracentenaria, vive a Montreal (Canada) dove continua a dedicare la propria vita alla scienza. È stata una delle fondatrici delle neuroscienze comportamentali.
Il primo lavoro sperimentale di Brenda Milner fu realizzato nel laboratorio di Bartlett durante la Seconda guerra mondiale. In quegli anni di pieno conflitto occorrevano nuove figure professionali che aiutassero i militari ad aumentare le loro capacità in guerra. Il primo lavoro di Brenda Milner fu proprio alla British Air Defense Research Unit dove lavorava allo sviluppo di test psico-attitudinali per studiare le capacità di discriminazione percettiva di piloti che dovevano lottare in cielo rispetto a quelli assegnati allo sganciamento delle bombe. Possiamo affermare che una delle fondatrici della neuropsicologia moderna cominciò in realtà il suo legame con la scienza partendo dal settore della psicologia della percezione applicata alla selezione del personale.5
Nello stesso periodo, alla British Air Defense Research Unit lavorava un promettente ingegnere elettrico, Peter Milner, addetto allo sviluppo dei sistemi radar. A quei tempi, non si immaginava neanche che sarebbe diventato uno dei più grandi esponenti delle neuroscienze, disciplina che non era ancora nata.
Terminata la borsa di studio con Frederic Bartlett, Brenda fu chiamata direttamente dal Ministero per i Rifornimenti per lavorare sulle capacità percettive del personale addetto al settore radar. In quell’ambiente conobbe Peter Milner, il quale come ingegnere era addetto anche alle piccole riparazioni elettroniche strumentali. Si conobbero proprio perché Peter venne chiamato a riparare la strumentazione che usava Brenda nel suo laboratorio. Nel 1941 si sposarono, prendendo casa a Cambridge.
I due neo-sposini vivevano felicemente e continuavano a lavorare per il governo senza neanche immaginare cosa la vita a breve avrebbe riservato loro. Di lì a poco, infatti, arrivò una comunicazione per Peter Milner di trasferirsi alla Canadian Atomic Energy Research.
Appena arrivati a Montreal, a Brenda Milner, che parlava perfettamente francesce, fu offerto di tenere delle lezioni sulle teorie di Bartlett all’università francofona della città. Questo incarico non durò a lungo, perché il suo bisogno di fare ricerca trovò finalmente sfogo quando visitò il Dipartimento di Psicologia della McGill University. Nel 1946 al professor Robert MacLeod fu affidato l’incarico di istituire il Dipartimento di Psicologia. Per ottemperare al suo mandato, MacLeod chiese aiuto a due assistenti: a George Ferguson e al giovanissimo Donald Hebb che lavorava all’MNI con Wilder Penfield. Brenda Milner conobbe Hebb durante la presentazione del suo libro The organization of Behavior e immediatamente gli chiese di poter lavorare con lui. Hebb lì per lì esitò, perché in quegli anni era molto raro che una donna volesse dedicarsi alla scienza. Ma l’entusiasmo di Brenda lo convinse.
Donald Hebb la indirizzò verso le neuroscienze del comportamento e in particolare allo studio della memoria, una funzione cognitiva che fino a quel momento non aveva interessato la giovane studiosa. Mentre Hebb si occupava di modelli animali, Brenda era fondamentalmente una psicologa clinica che amava il rapporto con il paziente e dopo un po’ fu accontentata. Infatti, una delle prime azioni che fece Hebb per dare lustro al suo dipartimento fu la convenzione con l’MNI e in particolare con il famoso neurochirurgo Wilder Penfield. Appena siglato l’accordo, Penfield chiese a Hebb di inviargli lo studente più promettente perché aveva bisogno di uno psicologo esperto in valutazioni cognitive per i pazienti affetti da epilessia del lobo temporale, una regione totalmente oscura per la neurologia di quei tempi. Sfruttando questa occasione, Brenda esaudì il suo sogno di lavorare finalmente a contatto con i pazienti.
Era il 1950 e quel giorno cominciò ufficialmente la storia scientifica della giovane Brenda Milner che nella sua biografia scrisse:
The only advice Hebb gave me was to make myself as useful as I could and not to get in anyone’s way. He also bequeathed me a few tests. The rest was up to me.6
In pochi anni Brenda Milner divenne anche professore associato (1956) e le sue ricerche di neuropsicologia clinica sui pazienti epilettici cominciarono a fare il giro del mondo, soprattutto per la scoperta della famosa area, denominata corteccia temporale mesiale (figura 1.2), dove risiede il centro per l’immagazzinamento degli episodi della nostra vita. Quella con Penfield fu sicuramente una proficua collaborazione professionale, che le permise di fare una delle più grandi scoperte delle neuroscienze grazie al paziente H.M.7 I primi tempi all’MNI non furono comunque semplici per Brenda Milner; il lavoro era molto duro ma la soddisfazione di trovarsi in quel posto fu subito evidente agli occhi della giovane psicologa quando conobbe per la prima volta la bellezza obnubilante della scatola magica il giorno in cui entrò in sala operatoria con Penfield. Egli, a quei tempi, era considerato un mostro sacro della neurochirurgia mondiale perché riusciva a guarire pazienti epilettici che prima dell’operazione erano funestati da continue crisi.
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Figura 1.2Nel cerchio in basso a destra è mostrata la corteccia temporale mesiale, una piccola porzione della corteccia temporale in cui risiedono tre aree critiche per la memorizzazione a lungo termine degli episodi e degli eventi della nostra vita: l’ippocampo, la corteccia paraippocampale e la corteccia entorinale.
Ancora con gli occhi emozionati a distanza di decenni, la grande neuroscienziata ricorda perfettamente la meraviglia provata nel vedere il neurochirurgo stimolare il cervello del paziente, con la calotta cranica aperta, prima di intervenire sull’area epilettogena. Era incredibile osservare che esistono minuscole parti di cervello che, se stimolate elettricamente, ricreano nel paziente le sensazioni vivide di esperienze immagazzinate in chissà quale forma di supporto, come se la memoria fosse una registrazione su nastro di esperienze passate.
La stimolazione in-vivo, che forse oggi può sembrare banale, era rivoluzionaria per quei tempi, perché tutto quello che si sapeva sulla memoria veniva dagli studi di Bartlett, il quale parlava di ricostruzione di eventi, non di riproduzione.
Questa scoperta turbò la giovane scienziata perché contraddiceva tutto quello che aveva studiato fino a quel momento, ma fu Penfield a ricordarle di ragionare in 3D e non in 2D (esattamente come impone il pensiero matematico). Quello che avevano scoperto non contraddiceva il passato, si trattava solo di una questione di terminologia. La memoria, come la studiano gli psicologi, è una funzione che nasce da una serie di processi quali astrazione, generalizzazione e distorsioni di un’unità fisica chiamata “ricordo”, a cui non si può avere un accesso diretto ma solo mediato attraverso i cinque sensi. Con l’elettrostimolatore, Penfield poteva invece evocare quella circuiteria neurale dove era immagazzinata una certa esperienza sensoriale, che noi chiamiamo “ricordo”.
All’epoca i pazienti con epilessia del lobo temporale venivano curati con la rimozione del polo temporale, ma in alcuni casi i sintomi non scomparivano. Penfield fu il primo a percorrere la strada della chirurgia conservativa riducendo il suo intervento alla parte più mesiale della corteccia temporale, rimuovendo quasi esclusivamente l’ippocampo. Dopo questa rimozione si riusciva a sconfiggere l’epilessia, però c’era qualcosa che cambiava nel comportamento dei pazienti dopo l’operazione. Dal punto di vista neurologico tutto andava bene, ma la rimozione della corteccia temporale mesiale produceva qualcosa nella mente dei pazienti che necessitava di un’indagine più approfondita da parte di un esperto di psicologia. Perciò, quando conobbe Brenda Milner, Penfield le disse: We need you.8
All’inizio Brenda non era interessata alla memoria, ma iniziò a studiarla perché si rese conto che ce n’era bisogno e pertanto applicò quanto le suggerì Hebb: make yourself as useful as you can. Era un’esperta di psicologia della percezione, per questo i primi pazienti con rimozione della corteccia temporale mesiale furono studiati per le abilità percettive. Penfield usava dirle a riguardo:
The temporal lobe is so far away from the visual cortex, why are you looking for visual effects there?9
Brenda non solo aveva reso possibili grandi scoperte alle neuroscienze del nuovo millennio, ma aveva anche anticipato quelle future.10 Aveva compreso che, in qualche parte della corteccia temporale, c’era anche un’area deputata all’elaborazione secondaria degli stimoli visivi, ma non riuscì a delimitarla.
Come in qualsiasi carriera da ricercatore, anche lei provò la cocente frustrazione di sentirsi persa e con una gran confusione in testa. Per questo motivo, finito il primo periodo con Penfield, Hebb le consigliò di accettare l’incarico di professore full-time all’Università di Montreal, perché era una donna e aveva bisogno di un lavoro sicuro. Inoltre, le sconsigliò di continuare a lavorare con Penfield, perché:
No psychologist could survive for long at the MNI.11
Brenda non accettò il consiglio e proseguì per la sua strada. La sua tenacia venne premiata sia da Penfield sia da Hebb, che le fecero ottenere un modesto stipendio da ricercatrice e una piccola stanza dove poter visitare in pace i pazienti. Non poteva sapere che la sua tenacia stava in realtà aprendo una porta virtuale in tutti gli ospedali del mondo per far entrare la neuropsicologia nelle sale operatorie e tra i corridoi di tutti i reparti di neurologia.
Quanti oggi farebbero la stessa scelta di Brenda? Quanti rinuncerebbero a un posto da full professor per uno stip...

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