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Intelligenza Artificiale tra incubo e sogno

Silvio Hénin

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  1. 160 pages
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Intelligenza Artificiale tra incubo e sogno

Silvio Hénin

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I dispositivi 'intelligenti', come gli smartphone, le smart TV, le smart car, gli assistenti vocali, sono dappertutto e stanno già influenzando la vita di tutti. Ma è vero che sono intelligenti? Se non lo sono già adesso, lo diventeranno? In fondo, cos'è l'intelligenza? Cosa dobbiamo aspettarci in un prossimo domani e cosa in un futuro remoto? L'intelligenza artificiale sarà per noi un bene o un male? Il libro risponde ai molti quesiti che sempre più spesso sorgono intorno al concetto di Intelligenza Artificiale. Un agile strumento per capire e interpretare i risultati che la scienza e la tecnologia mettono a disposizione dei singoli cittadini, dei governi e degli imprenditori.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2019
ISBN
9788820387822
1
L’intelligenza: cos’è e come la si può ottenere?
“Ognuno ha una diversa definizione di intelligenza e la definizione sta continuamente cambiando dagli anni Sessanta”, sostiene l’imprenditrice Tabitha Goldstaub, riferendosi al diffondersi delle ricerche sull’intelligenza artificiale. Quindi, cosa significa esattamente “intelligenza artificiale”? I fisiologi sanno cos’è un braccio umano e come funziona; sanno che è composto da muscoli e ossa, tendini e articolazioni, nervi e vasi sanguigni; sanno anche da dove prende l’energia per muoversi e come il sistema nervoso ne comanda i movimenti. Sono quindi disponibili tutti gli elementi che servono per realizzare un “braccio artificiale”, capace di imitare il nostro. Infatti, nelle fabbriche di tutto il mondo esistono da decenni bracci robotici che montano, saldano, verniciano, sollevano e spostano oggetti, senza stancarsi e senza commettere errori, ventiquattro ore al giorno.
Per la verità, un braccio robotico non è una copia esatta di quello biologico: al posto di muscoli ha motori elettrici o pistoni idraulici, invece di ossa ha barre metalliche, come articolazioni ha cuscinetti a sfere, ma svolge le stesse funzioni del suo prototipo di carne e ossa, quindi può simulare fedelmente il funzionamento di un braccio naturale. Se, invece di braccio, parliamo di cervello e intelligenza le cose diventano molto meno certe e molto più complicate.
Cos’è l’intelligenza?
Innanzitutto: cos’è l’intelligenza? Tutti ne abbiamo un’idea intuitiva e tutti ci sentiamo in grado di giudicare chi sia più intelligente e chi meno, ma se cominciamo a rifletterci un po’ ci imbattiamo subito in molte domande a cui è difficile rispondere. Cominciamo con qualche definizione scolastica. L’Enciclopedia Garzanti online così la definisce:
Facoltà, propria della mente umana, di intendere, pensare, elaborare giudizi e soluzioni in base ai dati dell’esperienza anche solo intellettuale. L’insieme dei processi mentali specificamente umani, che si compiono utilizzando simboli (linguistici, logici ecc.), immagini e concetti.1
La definizione sembra limitare l’intelligenza alla sola specie umana e non accenna alla comunicazione, facoltà essenziale della nostra intelligenza. Il Vocabolario Treccani ci dà invece questa spiegazione:
Complesso di facoltà psichiche e mentali che consentono all’uomo di pensare, comprendere o spiegare i fatti o le azioni, elaborare modelli astratti della realtà, intendere e farsi intendere dagli altri, giudicare, e che lo rendono capace di adattarsi a situazioni nuove e di modificare la situazione stessa quando questa presenta ostacoli all’adattamento; propria dell’uomo, in cui si sviluppa gradualmente a partire dall’infanzia e in cui è accompagnata dalla consapevolezza e dall’autoconsapevolezza, è riconosciuta, entro certi limiti, anche agli animali, specialmente ai mammiferi (per esempio, le scimmie, i cetacei, i canidi).2
Questa definizione sembra decisamente più articolata e completa, include tra gli esseri intelligenti gli animali3 e introduce la comunicazione e l’apprendimento tra le manifestazioni dell’intelligenza.
L’argomento di questo libro è però l’intelligenza artificiale, traduzione letterale dell’inglese artificial intelligence, termine coniato negli USA negli anni Cinquanta del Novecento. Proviamo allora a verificare la voce intelligence4 sull’Encyclopedia Britannica, dove troviamo: “Qualità mentale che consiste nell’abilità di imparare dall’esperienza, adattarsi a nuove situazioni, capire e maneggiare concetti astratti e usare la conoscenza per manipolare il proprio ambiente.”5 La definizione sembra più generale e consona delle precedenti, almeno ai nostri fini. Oggi si usa spesso l’aggettivo inglese smart, la cui traduzione è anche “furbo” o “scaltro”, adatto a chi usa l’intelligenza a proprio esclusivo vantaggio, anche ingannando. L’inganno è correlato al concetto di “simulazione” dell’intelligenza da parte di una macchina e chi simula, in realtà, vuol far credere di essere ciò che non è.
Per gli scopi di questo libro, propongo perciò la seguente definizione di intelligenza, più semplice e generale di quelle citate: “Capacità di risolvere problemi al fine di raggiungere obiettivi.” Nel caso dell’uomo e dell’animale, gli obiettivi primari sono la sopravvivenza dell’individuo e della specie, ma esistono obiettivi più immediati, come ottenere il piacere ed evitare il dolore. Anche le attività cognitive che, in apparenza, non sembrerebbero immediatamente utili alla sopravvivenza – come le arti, la filosofia, la ricerca scientifica e il gioco – rientrano di diritto tra gli obiettivi dell’intelligenza. In base a questa definizione diventa possibile estendere la facoltà intellettiva agli animali e anche parlare di un’intelligenza delle macchine. Si tratterà di forme limitate di intelligenza, capaci di risolvere problemi semplici e in domini poveri e circoscritti, per raggiungere obiettivi banali. Nel caso di una macchina, la sopravvivenza potrebbe non essere un obiettivo primario,6 e le sue finalità sarebbero semplicemente quelle per cui essa è stata progettata.
Siamo ancora molto lontani dal capire come funzioni l’intelligenza umana o animale, come sia strutturata e che relazioni abbia con l’organo che ne costituisce il substrato biologico, il cervello. Nel 1977, il fisico George E. Pugh affermava pessimisticamente che: “Se il cervello umano fosse così semplice da poterlo capire, saremmo così semplici che non potremmo capirlo.”7 Negli ultimi cinquant’anni, però, gli studi di neurofisiologia e psicologia sperimentale hanno permesso di aprire qualche piccolo squarcio nel velo di mistero che circondava l’attività cerebrale e le sue relazioni con il pensiero e il comportamento. In questo lasso di tempo, l’invenzione di sofisticate tecnologie8 ha messo nelle mani dei ricercatori metodi di indagine che permettono di scrutare cosa succede nelle diverse zone del cervello quando quest’organo svolge le sue molteplici funzioni, senza neppure dover aprire il cranio del soggetto. Tutto ciò, però, ancora non ci ha fornito un’esaustiva teoria della mente, mettendoci a disposizione solo molte ipotesi.
Può apparire paradossale, ma, anche se al momento non sappiamo bene cosa sia l’intelligenza e come funzioni, molti psicologi sono convinti di poterla valutare quantitativamente con tale precisione da usare la misura per scegliere i percorsi scolastici di uno studente, selezionare i candidati a un posto di lavoro o fornire consulenze ai tribunali. Si tratta del cosiddetto quoziente d’intelligenza (QI), un indice proposto da Alfred Binet e Théodore Simon nel 1905 per valutare il ritardo mentale nei bambini disabili, poi modificato ed esteso più volte nei decenni successivi. Nella pratica, per misurare il QI si verifica la capacità dei soggetti di risolvere una batteria di test che comprendono diversi problemi, dal trovare la successiva di una serie di immagini, alla comprensione di frasi, alla soluzione di rompicapi. La maggiore critica mossa al QI è che l’indice valuterebbe il tipo e il livello di cultura piuttosto che misurare l’intelligenza in sé. Inoltre, esso non terrebbe conto di caratteristiche importanti come la creatività e l’intelligenza sociale, cioè la capacità di cooperare e comunicare.9 Il ricorso al QI è anche accusato di essere contaminato da pregiudizi razziali e la sua valenza sociale e politica rende la diatriba molto accesa. Secondo i critici, il retaggio aristocratico dei secoli passati ci perseguita, quando “i membri appartenenti alle classi più elevate erano considerati più intelligenti, mentre quelli delle classi inferiori erano visti come idioti labili di mente.”
Oggi ben pochi scienziati cognitivi sostengono una visione così ristretta dell’intelligenza. Grazie agli studi di Raymond B. Cattell, John L. Horn e John B. Carroll, si è giunti alla cosiddetta Teoria CHC che organizza le capacità cognitive in una gerarchia di fattori costituita da dieci abilità principali suddivise in settanta più specifiche (vedi box seguente). L’insieme viene definito intelligenza generale. Anche se questo schema non è condiviso da tutti gli studiosi e ne sono stati proposti altri, c’è un quasi totale accordo sull’idea che l’intelligenza sia costituita da moduli diversi, tra loro intercomunicanti e integrati.
Il modello di Cattell-Horn-Carroll
Abilità principali:
Intelligenza fluida: l’abilità di ragionare, di formare nuovi concetti e di risolvere problemi, usando informazioni non familiari o nuove procedure.
Intelligenza cristallizzata: include l’ampiezza e la profondità della conoscenza acquisita, la capacità di comunicare e quella di ragionare applicando l’esperienza.
Ragionamento quantitativo: capacità di comprendere concetti e relazioni quantitativi e manipolare simboli numerici.
Capacità di leggere e scrivere.
Memoria a breve termine: trattenere coscientemente informazioni e usarle entro pochi secondi per l’esecuzione di procedure.
Memoria a lungo termine: capacità di conservare informazioni per un tempo indeterminato e di richiamarle fluentemente nel processo del pensiero.
Elaborazione visiva: capacità di percepire, analizzare, sintetizzare e pensare a strutture, modelli o schemi visivi (pattern), inclusa la capacità di memorizzarli e richiamarli.
Elaborazione auditiva: capacità di analizzare, sintetizzare e discriminare stimoli sonori, come il linguaggio umano, anche se distorti o coperti da rumore.
Velocità di elaborazione: capacità di effettuare compiti cognitivi, particolarmente sotto pressione, mantenendo la dovuta concentrazione.
Velocità di reazione: immediatezza con cui il soggetto reagisce agli stimoli esterni.
Costruire un’intelligenza
Stabilito, in linea di massima, cosa dobbiamo considerare intelligenza, vediamo come sia possibile costruirne una. Partiamo dal presupposto che l’intelligenza non sia un oggetto fisico, una sostanza o un organo biologico, ma la manifestazione di una qualche conformazione o proprietà di strutture fisiche opportunamente sviluppate. Molti pensatori e ricercatori avrebbero da ridire su questa affermazione e sono stati scritti interi volumi sull’argomento, ma per poter continuare dobbiamo stabilire delle fondamenta su cui edificare e l’ipotesi che l’intelligenza sia qualcosa di diverso e incomprensibile non ce lo permetterebbe.
In pratica, dobbiamo procurarci o costruire un sistema fisico che si comporti in modo tale da manifestare tutte le caratteristiche che sono state elencate come proprietà dell’intelligenza. Uno lo possediamo già da molto tempo, altrimenti io non potrei scrivere questo libro, né voi potreste leggerlo. Si chiama cervello e la sua versione corrente è quella che l’evoluzione ci ha messo a disposizione da circa trecentomila anni, forse con qualche limitato aggiornamento successivo.10
Il secondo fa parte della nostra vita da molto meno tempo, circa settant’anni, si chiama computer e in questo arco temporale si è ridotto moltissimo in costo e dimensioni, ma la sua struttura generale non è cambiata significativamente. Comincerò da quest’ultimo, visto che è molto più semplice del primo.
Il computer
Se apriamo il nostro computer (v...

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