Capire la Macroeconomia for dummies
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Capire la Macroeconomia for dummies

Roberto Fini

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Capire la Macroeconomia for dummies

Roberto Fini

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Che cosa causa lo sviluppo di una Paese? Quali aree del mondo sono in crescita, quali in stasi e quali in declino? Come hanno contribuito gli economisti a comprendere il mondo e i sistemi sociali? Quali sono le ragioni principali dell'attuale crisi economica? Che cosa sono il PIL e gli indicatori di benessere? Questo libro tenta di rispondere a queste e a molte altre domande, e aiuta il lettore a orientarsi nell'interpretazione dell'economia globale. Non un manuale di macroeconomia, ma un racconto dei principali concetti che tradizionalmente fanno parte della disciplina, con un continuo riferimento agli episodi storici e ai personaggi che hanno determinato l'assetto economico attuale del pianeta.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2019
ISBN
9788820389642
Capitolo 1
Primi passi nel fantastico (?) mondo della macroeconomia
IN QUESTO CAPITOLO
Capire la differenza tra micro e macroeconomia
Trovare la definizione di macroeconomia
Le origini della macroeconomia
Il ragionamento macroeconomico… Micro? Macro? Boh!
Gli economisti, almeno apparentemente, sembrano persone normali: come tutti i comuni mortali mangiano, dormono, si sposano, divorziano. Se ne incontrate uno per strada potreste persino non accorgervi che si tratta di un economista. Ma nell’intimità della loro professione, nel chiuso dei loro studi, nelle università o nei centri di ricerca, allora potreste scoprire che in realtà stiamo parlando di gente strana.
Non che gli economisti siano verdi o abbiano delle antenne al posto delle orecchie. In genere non sono neppure particolarmente cattivi, non picchiano le loro mogli e pagano le tasse come tutti (be’, come quasi tutti…). Ma non dite a uno di loro che la microeconomia e la macroeconomia sono in fondo la stessa cosa, a parte il punto di vista con cui si guarda il mondo.
A una simile osservazione l’economista reagirà. Essendo, quasi sempre, persona dall’indole pacifica non invocherà per voi il rogo sulla pubblica piazza (anche se magari ci avrà fatto un pensierino). Probabilmente vi guarderà con una certa dose di compatimento, poi si armerà di pazienza e cercherà di dimostrare al povero ingenuo che ha di fronte che, no, micro e macroeconomia sono cose differenti, molto differenti.
A nulla varranno le vostre proteste: “Ma se la dimensione micro riguarda il singolo individuo e quella macro l’insieme degli individui, allora la macroeconomia altro non dovrebbe essere che la somma dei comportamenti descritti dalla microeconomia. O no?” Qui arriverà un altro sorriso di compatimento e subito dopo il vostro interlocutore cercherà di dimostrarvi che non è così.
La cattiva notizia (per voi) è che ha ragione lui. La buona notizia (sempre per voi) è che in fondo le differenze riguardano più il punto di osservazione che altro. Lasciate perdere quello che aggiungerà il vostro dotto interlocutore, in genere qualche apprezzamento sull’importanza della microeconomia oppure della macroeconomia, a seconda della sua specializzazione o del dipartimento che gli paga lo stipendio.
Tutte cose secondarie: è come se un medico specializzato in malattie dell’apparato circolatorio vi dicesse che la specializzazione in patologie polmonari è meno importante della sua. Vi diamo un consiglio disinteressato: se il vostro medico parlasse così, cambiatelo. Se invece dice qualcosa del genere l’economista al quale avete rivolto la vostra ingenua domanda, consideratelo quanto meno con sospetto: fare il tifo per la propria squadra non è un peccato, ma pensare che sia l’unica degna di vincere ogni campionato è fuori dalla realtà.
Domande micro e domande macro
Dunque, torniamo alle differenze tra micro e macroeconomia. Sì perché, come detto, effettivamente delle differenze esistono e questo giustifica la crescente specializzazione degli economisti e l’ormai tradizionale divisione interna fra microeconomisti e macroeconomisti. Sia ben chiaro: è bene evitare di amplificare la portata di queste differenze, come quelle fra il cardiologo e lo pneumologo. Tutto dipende dal problema da affrontare.
Vediamo di chiarire meglio il concetto con il semplicissimo schema contenuto nella Tabella 1.1. Abbiamo immaginato domande tipiche della microeconomia (colonna di sinistra) e domande tipiche della macroeconomia (colonna a destra).
TABELLA 1.1 I diversi approcci tra microeconomia e macroeconomia
Questioni di microeconomia Questioni di macroeconomia
È meglio che mio figlio si iscriva a un corso universitario o cerchi un lavoro subito dopo il diploma? Quante persone l’anno scorso hanno trovato un lavoro e con quale retribuzione?
Perché il mio amico Giovanni, laureato in economia, ha un salario più alto di quello di Luigi che ha una laurea in lettere? Quali sono le variabili più importanti che determinano i livelli salariali dei lavoratori?
Se l’università dove vi siete laureati intende offrire un nuovo corso di studi, come ne vengono determinati i costi? Cosa determina il livello generale dei prezzi nel sistema economico?
le università devono fare in modo di incentivare l’iscrizione ai corsi anche per gli studenti provenienti da famiglie poco abbienti? È possibile individuare politiche pubbliche che possano servire a promuovere l’occupazione e la crescita del sistema economico?
A una prima lettura forse vi sembrerà che si tratti di domande non molto collegate fra loro, specie se la lettura è avvenuta nel senso delle righe: in fondo, la colonna della microeconomia riguarda nel complesso le questioni attinenti la decisione se studiare o meno, e che cosa studiare. Mentre la colonna di destra (macroeconomia) sembra che riguardi le scelte di politica economica.
Ognuno di noi decide sulla base di valutazioni che hanno a che fare con la microeconomia: scegliere se studiare o meno, se iscriversi a lettere o a economia, se frequentare un corso e non un altro, se richiedere una borsa di studio con qualche speranza di ottenerla… sono tutti elementi che riguardano la sfera individuale.
Dunque uno a zero per la microeconomia! Bene, ma rimettiamo la palla al centro e continuiamo la partita. Perché faccio in modo che mio figlio si iscriva all’università e frequenti economia invece di lettere? Perché, spigolando fra i dati, ho scoperto che mediamente un laureato in economia guadagna più di un laureato in lettere e che trova lavoro con maggiore facilità grazie al fatto che il sistema sociale ritiene di aver bisogno più di economisti che di letterati.
Ne deriva che le politiche pubbliche in ambito universitario tenderanno a investire di più nelle facoltà economiche che in quelle umanistiche. E, probabilmente per la stessa ragione, verrà proposto un numero più consistente di borse di studio in ambito economico rispetto a quelle di ambito letterario.
Quindi: uno pari fra micro e macroeconomia! A questo punto, soddisfatte del pareggio, le due squadre possono limitarsi a difendere la loro porta, evitando che l’avversario segni di contropiede. Ed è proprio così che converrebbe giocare la partita. Ma poiché questo libro è dedicato alla macroeconomia, senza sminuire il valore della squadra dei microeconomisti, converrà insistere sullo stile di gioco dei macroeconomisti.
Il tutto è uguale alla somma delle parti?
Prima questione da affrontare: la macroeconomia riguarda la somma dei comportamenti individuali? Se volete usare una terminologia più dotta: è possibile indagare sulle microfondazioni della macroeconomia? Certo che si può, ma sarebbe un errore di metodo. È probabile che non ne siate convinti e quindi vi proponiamo un paio di esempi che mettono in luce le sostanziali differenze fra i due approcci.
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In auto
Dunque, considerate uno di quegli aspetti che noi tutti giudichiamo con più fastidio: siete in auto incolonnati in un ingorgo; la colonna in cui siete incappati procede lentamente e immaginate che più avanti un incidente provochi il rallentamento. Ovviamente sperate che nessuno si sia fatto male (a meno che la vittima non sia un economista…).
Lentamente arrivate con la vostra auto all’inizio dell’ingorgo, dove dovrebbe esserci l’incidente, ma scoprite che sì, un incidente c’è stato ma la vostra corsia è sempre stata libera. La coda è originata dal fatto che chi vi precede rallenta o si ferma per guardare cosa è successo sull’altra corsia: sono quelli che ormai anche nei bollettini sul traffico vengono definiti “curiosi”.
C’è qualcosa di illecito nell’essere curiosi? Evidentemente no. Osservando (perché in fondo tutti siamo “curiosi”), magari vi accorgerete che si tratta di un banale tamponamento: qualche danno alle auto ma niente di più. Nessun mezzo di soccorso, nessuna discussione particolare fra i due automobilisti.
Dunque tutto bene. Ma che cosa ha provocato la coda chilometrica in cui siete incappati? Se avete esperienza di guida lo sapete: ognuno degli automobilisti che viaggiano sulla vostra stessa corsia ha rallentato e frenato in prossimità dell’incidente e questo comportamento, in sé normale, ha contribuito ad allungare la fila perché gli automobilisti dietro quello che ha frenato sono stati a loro volta costretti a rallentare e frenare.
Un comportamento individuale di per sé normale, umano come la curiosità, e forse addirittura empatico nei confronti di chi ha subìto l’incidente (in fondo poteva succedere anche a voi) ha provocato conseguenze di tipo “macro”.
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Allo stadio
Altro esempio: siete allo stadio, le tribune sono piene di spettatori che assistono alla partita. Benché siate lontani dal campo di gioco, vi state gustando lo spettacolo delle due squadre che si fronteggiano. Bella partita! A un certo punto lo spettatore seduto proprio davanti a voi si alza in piedi: forse non vede bene, o forse vuole incitare con più fervore la squadra per la quale fa il tifo.
Vi piacerebbe che si sedesse e si calmasse, ma se non lo farà sarete costretti ad alzarvi in piedi anche voi e, come voi, tutta la colonna di spettatori alle vostre spalle dovrà fare la stessa cosa! Il comportamento del primo tifoso, in sé lecito, ha comportato anche in questo caso delle conseguenze macro: tutti ci vedono come prima, ma poiché ora tutti sono in piedi, sono anche in una posizione più scomoda.
È meglio essere parsimoniosi o spendaccioni?
Vi sembrano esempi tirati per i capelli e che comunque non hanno niente a che fare con l’economia? D’accordo: accettiamo la sfida e vi proponiamo un fatto che non potrete negare sia collegato in modo evidente con le problematiche di cui ci occupiamo in questo libro.
Cominciamo con il raccontare una favola. La conoscete tutti: si tratta de La cicala e la formica, una favola originariamente di Esopo, riscritta successivamente da La Fontaine. Dunque: c’era una volta una cicala che durante l’estate non faceva altro che cantare senza curarsi che prima o poi la bella stagione sarebbe finita e sarebbe arrivato il freddo. Mentre la cicala cantava, la formica lavorava alacremente: raccoglieva cibo che depositava nella sua tana, accumulandolo per l’inverno.
Alla fine dell’estate arrivò l’autunno e poi l’inverno: l’imprudente cicala si trovò senza cibo e bussò alla porta della formica, la quale non fu esattamente un mostro di generosità e le rifiutò qualunque aiuto. La cicala dunque morì di freddo e di fame, mentre la formica, al caldo e ben pasciuta nel suo formicaio, attese senza problemi il ritorno della bella stagione.
Siamo abituati a considerare come imprudente e pericoloso il comportamento della cicala, mentre la formica rappresenta il personaggio virtuoso: questo era proprio ciò che Esopo e La Fontaine volevano trasmettere. Darsi alla bella vita è un atteggiamento da condannare, mentre si dovrebbe fare la “formichina” che risparmia e consuma solo il minimo indispensabile. Lo sappiamo bene: è quello che a tutti noi hanno insegnato raccontandoci la favola.
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Esopo e gli economisti
I macroeconomisti non amano la favola di Esopo al punto da averla bollata come un esempio del paradosso della parsimonia. Per comprenderne il significato immaginate che imprese e consumatori prevedano che dovranno affrontare un periodo di difficoltà e di ristrettezze economiche. Non importa quanto sia corretta una simile previsione: può basarsi su attente analisi di scenario, oppure essere solo una sensazione che induce a essere pessimisti.
Ora, che accade se ciò che era stato previsto si rivela corretto e la situazione volge al brutto? È del tutto logico che le singole imprese e i singoli consumatori riducano le spese che giudicano se non superflue, almeno differibili nel tempo: è un comportamento sensato, condivisibile e dettato da una istintiva prudenza nei confronti di una situazione negativa e di un futuro altrettanto deludente.
In sostanza le spese, sia per i consumi delle famiglie sia per gli investimenti delle imprese, vengono ridotte. Ma questa riduzione deprime l’economia: le imprese che producono beni di consumo si ritrovano con un mercato meno dinamico e licenziano i lavoratori, limitando probabilmente anche gli investimenti. I lavoratori licenziati saranno a loro volta costretti a diminuire i loro consumi e si avvierà una fase economica depressiva dovuta all’iniziale prudenza dei soggetti economici: una profezia che si autoavvera.
La macroeconomia e le politiche economiche
La convinzione che il tutto non sia semplicemente la somma delle parti rappresenta forse la maggiore differenza fra microeconomisti e macroeconomisti. Sbagliate se vi sembra una questione di lana caprina: al contrario si tratta di approcci diversi che conducono a conclusioni profondamente differenti.
I primi autori che si occuparono in modo non episodico di fatti economici (fra cui forse non va annoverato colui che viene considerato il papà di tutti gli economisti, Adam Smith, il quale si concentrò su un tema eminentemente macro, cioè la ricchezza delle nazioni) giunsero alla conclusione che l’analisi dei comportamenti individuali potesse essere sufficiente a comprendere la logica economica. In sostanza, il modo con il quale ognuno si comportava per soddisfare nel miglior modo possibile le proprie necessità poteva rappresentare il nocciolo duro dell’intera teoria economica.
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ADAM SMITH (1723-1790)
Adam Smith viene unanimemente considerato il fondatore dell’economia politica. Il suo Saggio sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, pubblicato nel 1776 dopo una lunghissima gestazione intellettuale, è un’opera monume...

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