Matrimoni & Patrimoni
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Matrimoni & Patrimoni

Istruzioni per l'uso

Debora Rosciani, Roberta Rossi Gaziano

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Matrimoni & Patrimoni

Istruzioni per l'uso

Debora Rosciani, Roberta Rossi Gaziano

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"Non voglio molto, voglio tutto" diceva Ingrid Bergman. Questo libro si rivolge a tutte le donne (ragazze comprese) e ai loro partner che nella vita non vogliono rinunciare a niente e conoscono il valore del tutto.Un volume che spiega a donne, madri, mogli, single e uomini 2.0 come oggi si può provare a trovare il giusto equilibrio fra avere una carriera lavorativa (nonostante la concorrenza degli algoritmi e dei robot), costruire una famiglia, dare un futuro ai propri figli e gestire senza traumi (psicologici e finanziari) gli alti e bassi della vita.Dal matrimonio al patrimonio, passando dalle caselle "imprevisti" (divorzio) e "probabilità" (figli).

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2018
ISBN
9788820386566
CAPITOLO 1
Credi in te
I miei genitori mi hanno sempre incoraggiata ad affrontare le scelte più difficili, così come a mettermi in gioco. Non mi hanno mai fatto grandi discorsi, ma era sottinteso che loro pensassero “se vuoi ce la puoi fare”.1
Samantha Cristoforetti (astronauta militare)
Dall’Italia dell’Ottocento all’Italia di oggi: se ce l’hanno fatta loro
Diamo tante cose per scontate, oggi. Svolgere lavori anche molto ben pagati, gestire i nostri soldi e non perdere il diritto di vedere i figli in caso di separazione.
Nell’Ottocento tutte queste cose per le donne non erano possibili. Vigeva la patria potestà e le donne sposate necessitavano dell’autorizzazione maritale per fare praticamente tutto quello che noi oggi consideriamo normale.
A quell’epoca noi donne eravamo quattro volte niente. Non avevamo diritto all’istruzione né a esercitare una professione remunerativa. Non potevamo scegliere dove vivere se eravamo sposate, ma anche rimanere “zitelle” non conveniva più di tanto. Guadagnarsi da vivere era lecito, ma se eri sposata i soldi li gestiva il marito. Una donna voleva vendere un immobile o contrarre un mutuo? Ci voleva l’autorizzazione del coniuge.2
Figli? Di papà
E i figli, li facevamo noi anche allora, ma erano dei papà, perché, come abbiamo appena detto, era in vigore la patria potestà. Eppure, anche allora ci furono donne come Caroline Norton che picchiata ripetutamente dal marito, tanto da provocarle un aborto, decise di lasciarlo. In un colpo Caroline perse i figli e la casa con tutto quello che di suo c’era dentro. Divorziare non si poteva, alle donne non era consentito. Vedere i figli se ci si allontanava dal marito non era più possibile, perché per legge erano del padre. Alla sua battaglia si deve in Inghilterra un atto del 1939 che dava alle donne il diritto di ottenere la custodia dei bambini sotto i sette anni e di poter vedere i figli più grandi.3
La lotta per il sapere
Dove vi erano i lavori meglio pagati, le donne incontravano difficoltà. Agli inizi del secolo scorso l’accesso all’università e alle professioni da parte delle donne fu a lungo osteggiato. Alla fine dell’Ottocento in Italia le prime donne medico non potevano lavorare negli ospedali pubblici ma solo in studi privati e potevano curare soltanto donne e bambini. Potevano diventare pediatre ma non chirurgo. E quando esercitavano la professione, un alone di sfiducia e dubbio accompagnava il loro lavoro.
Agli inizi del Novecento ldina Francolini, laureata in medicina, raccontava di aver dovuto affrontare tra i pazienti “una contrarietà strana, una riluttanza inesplicabile, una sfiducia direi quasi insultante” e tra i colleghi uomini “ostacoli in tutti i modi, con tutti i mezzi più o meno leali e dignitosi”.4
Se ci sono riuscite loro
La misoginia non ha impedito a tante donne, anche nei troppi secoli bui, di andare avanti, di lottare e di studiare, di rivendicare dei diritti, di avere una famiglia ma anche di esercitare una professione remunerativa e prestigiosa. L’immagine forse a noi più nota di questa emancipazione nell’educazione è quella di Rita Levi Montalcini, Premio Nobel per la medicina nel 1986. Torinese, classe 1909, non si è mai sposata e ha dedicato la sua intera vita alla ricerca e allo studio, anche negli Stati Uniti, dove si trasferì nel 1947.
“La mancanza di complessi, una notevole tenacia nel perseguire la strada che ritenevo giusta e la noncuranza per le difficoltà che avrei incontrato nella realizzazione dei miei progetti, lati del carattere che ritengo di aver ereditato da mio padre, mi hanno enormemente aiutato a far fronte agli anni difficili della vita.” Padre con il quale aveva un rapporto molto conflittuale, perché nonostante avesse sempre incoraggiato i figli allo studio, riteneva che la via professionale intrapresa da Rita interferisse con la naturale carriera di ogni donna come moglie e madre. Scelta che Rita Levi Montalcini non fece mai.5
Anche nell’Ottocento, una donna riuscì ad avere tutto
Violetta Annina è stata la prima stenografa del Senato. Aveva uno stipendio da favola e il compito prestigioso, visto che nessuno conosceva questo metodo di scrittura veloce, di insegnare la stenografia ad altri. Certo, ebbe la fortuna di essere la nipote dell’inventore della prima macchina stenografica, ma poi fece tutto da sola. Sposò un avvocato e per anni guadagnò più di lui. Ebbe sei figli, ma continuò a lavorare grazie a balie e istitutrici.6 Vinse tutti i pregiudizi dell’epoca, non rinunciando a niente: lavoro, matrimonio, patrimonio e figli. Nell’Ottocento.
Anche a quell’epoca c’erano maschi illuminati: Annina continuò a lavorare e non rinunciò ai figli, facendosi aiutare da altre donne. Il marito fece una splendida carriera, pur non avendo a casa una bella statuina ma una donna che lavorava sodo, guadagnava tanto e non si accontentava di curare i bambini o preparargli la cena.
Forse oggi avere tutto è possibile, non sarà facile ma vale la pena tentare. Dobbiamo provare a far quadrare tutto. Perché, come diceva Ingrid Bergman: “Non chiediamo molto. Vogliamo tutto”.
Si può avere tutto?
Molti dicono che in Italia coniugare lavoro, famiglia e carriera per una donna è impossibile.7 La lista dei perché è lunga: gli asili non funzionano a dovere, costano troppo, lo stipendio se lo mangia la tata e allora che lavoro a fare?
È dura ma si può provare, in molti casi, a organizzarsi. È questione anche di scelte. Di saper giocare contemporaneamente su più tavoli, come spieghiamo nel capitolo 5. A ogni equazione è dedicato un capitolo del libro: la fiducia in se stesse, la carriera, il partner, i figli, il lavoro, la famiglia e la gestione del patrimonio.
Si può avere tutto, senza fare rinunce cui non si è disposte. Basta compiere scelte consapevoli e lungimiranti. Perché poter scegliere è sempre la migliore delle opzioni possibili.
Lo sanno bene le donne che vivono in Arabia Saudita: da quest’anno potranno guidare, a 150 anni dall’invenzione del motore a scoppio.8 Ma la lista delle cose che ancora non possono fare è oggettivamente molto lunga: non possono aprire un conto corrente né viaggiare o avere accesso alle cure mediche senza l’autorizzazione di un uomo; se testimoniano in un tribunale contano metà e se divorziano non è detto che ottengano la custodia dei figli.9
Sembra che noi italiane partiamo decisamente meglio. Anche se poi tra i diritti che sono concessi e l’uso che se ne può fare può esserci un abisso: una donna su cinque non ha un conto corrente in Italia10 e in Calabria lavorano solo 12 donne su 10011, quasi la stessa percentuale di donne lavoratrici dell’Arabia Saudita12.
La vita è certo una questione di opportunità, ma è anche una questione di scelte. Sempre che si trovi il coraggio di esporsi e di chiedere per ottenere.
Quella maledetta insicurezza
Se c’è un peccato di cui si macchiano spesso le donne è quello dell’umiltà. Mai che soffrano di eccessiva fiducia in se stesse, come provano anche importanti studi in finanza sui trader maschi e femmine.13
Se anche non fossimo l’unico genere in grado di procreare, se anche lavorassimo tanto quanto gli uomini, probabilmente anche messe tutte insieme non riusciremmo comunque a guadagnare più di loro né a fare più carriera. Perché?
Secondo Katty Kay e Claire Shipman,14 autrici del best seller The Confidence Code, alle donne manca un ingrediente fondamentale per avere successo: la fiducia in se stesse. Noi donne chiediamo meno e otteniamo meno. Sul lavoro, per esempio: una docente di economia ha scoperto che le donne ingaggiano contrattazioni salariali quattro volte meno dei maschi e chiedono regolarmente il 30% in meno dei colleghi.15
Il mito della perfezione
Gioca contro anche l’eccesso di perfezionismo che impariamo fin da piccole, sia all’asilo sia alle elementari, quando grazie ad abilità relazionali di cui la natura ci ha dotato in modo copioso, a curve dell’attenzione più lunghe e a capacità verbali più avanzate, veniamo lodate a più riprese per quanto siamo brave e buone, finché diventiamo totalmente dipendenti dall’approvazione altrui.
Ai maschi va peggio ma alla fine è meglio così: vengono ripresi otto volte più delle bambine e imparano a essere puniti e a fallire molto, e se ne fanno una ragione. Noi donne, invece, impariamo ad affrontare la vita con circospezione, in cerca di quella approvazione degli altri che ci ha tanto gratificato da piccole, per cui molte donne diventate adulte osano solo dove sono già sicure di poter vincere.
Fonte: Kay K., Shipman C., The Confidence Code, HarperCollins.
Le donne rischiano meno e rimangono spesso un passo indietro ai maschi solo perché sono più sicuri di sé. E spesso non a ragione.
Un’indagine condotta dalla multinazionale dell’informatica Hewlett Packard sui propri dipendenti ha evidenziato che le donne chiedono una promozione solo se possiedono il 100% dei requisiti necessari, mentre agli uomini basta possedere il 60% delle qualifiche per farsi avanti.16
Fonte: Kay K., Shipman C., The Confidence Code, HarperCollins.
Chiamate a diventare perfette su tutti i fronti, compreso quello estetico17, molte donne entrano in una spirale che si autoalimenta e porta a non candidarsi per qualsiasi avanzamento lavorativo a meno di non essere le prime della classe. Nel frattempo, un sacco di uomini fanno loro le scarpe.
Per avere successo le competenze contano tanto quanto la fiducia in se stessi, e questo è un fatto scientificamente provato. Cameron Anderson, docente di sociologia a Berkeley, ha dimostrato che le persone più sicure di sé parlano con un tono di voce più rilassato e risultano naturalmente più convincenti, indipendentemente dalle loro effettive competenze. E sono quelle più amate dal proprio gruppo di appartenenza. Il problema è che per quanto competenti, spesso le donne si sentono meno sicure degli uomini.
Un ricercatore di Milano ha sottoposto a cinquecento studenti un test in cui è risultato che le studentesse non provavano nemmeno a rispondere a certe domande su cui non erano sicure al 100% di avere la risposta giusta. Non rispondendo a tutte le domande, nei test uscivano molto peggio degli uomini. Quando il ricercatore le ha obbligate a rispondere a tutte le domande è emerso che ne sapevano quanto loro.18
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