Capitolo 1
SISTEMI SENZA SEGRETI
L’idea di sistema (sistemi chiusi e sistemi aperti della termodinamica)
Così scrive Ludwig von Bertalanffy nell’Introduzione al suo famoso libro Teoria generale dei sistemi:1
Altrove (W. Grassi, Storia del caldo e del freddo. Energia e vita: tutto si trasforma, Hoepli, Milano 2017) abbiamo introdotto il concetto di “sistema aperto”. Riprendiamolo brevemente per poterlo utilizzare come elemento base per la discussione che seguirà. Implica di fatto due aspetti: quello denotato dal sostantivo sistema e quello indicato dall’aggettivo aperto. Il primo presenta la necessità di definire un confine (la frontiera), all’interno del quale è contenuto l’insieme preso come “individuo” autonomo. Può essere costituito dalla membrana di una cellula, dall’epidermide di un corpo, dalla superficie della Terra. Il secondo aspetto si riferisce alle caratteristiche della frontiera che separa il sistema da tutto il resto: l’esterno. Se tale frontiera è impermeabile ai flussi di materia e di energia, il sistema si dice isolato,2 oppure chiuso se impermeabile ai soli flussi di materia. Un sistema isolato non ha, quindi, alcuna possibilità d’interagire con quelli circostanti, mentre uno chiuso può interagire solo tramite scambi d’energia, come avviene per esempio fra noi e il Sole, se non si considera la materia dello spazio che giunge sulla Terra. Altrimenti, nel caso di una frontiera permeabile, entrambe queste interazioni possono avvenire e il sistema si dice aperto.
Un sistema isolato può evolvere soltanto in funzione dei suoi disequilibri interni, formatisi in un dato istante (iniziale) per giungere progressivamente alla stasi finale.
Per chiarire questo concetto facciamo un semplice esempio. Consideriamo un cilindro perfettamente adiabatico e impermeabile alla materia, contenente del gas, con un pistone anch’esso adiabatico e impermeabile alla materia come nella figura 1.1. Sulla base della definizione precedente, è un sistema isolato.
Figura 1.1 – Comportamento del gas in un cilindro con pistone.
Cosa vi aspettate che succeda? Niente, direte giustamente, se la pressione del gas è già in equilibrio con quella che agisce sul pistone dall’esterno. Perché succeda qualcosa (non potendo scambiare calore, perché cilindro e pistone sono adiabatici) l’unica cosa che possiamo fare è dare una spinta al pistone nell’istante iniziale suddetto e cedergli quindi dell’energia meccanica. Per un momento si rende il sistema gas non isolato, pur lasciandolo chiuso, consentendogli d’interagire con l’esterno tramite il pistone. Questo si sposta comprimendo il gas. Se potessimo seguire con una telecamera veloce cosa succede nel gas, vedremmo che, subito dopo la spinta, il gas vicino al pistone ha una pressione più alta, cioè un maggiore addensamento di particelle, rispetto al resto. Abbiamo introdotto un disequilibrio nella pressione, che si propaga in tutto il fluido. Dopo un certo tempo, a causa della viscosità del gas e degli attriti fra pistone e cilindro, il gas si porta nuovamente alla pressione ambiente e tutto finisce lì. Per fargli compiere un lavoro, per esempio in un motore, dobbiamo farlo interagire con il combustibile, che cede calore al gas, e con l’albero motore, che trasforma parte di questo calore in lavoro meccanico, altrimenti abbiamo solo un inutile serbatoio di gas che occupa spazio. Quindi il comportamento del pistone dipende sia dall’energia che dissipa in attriti sia da quella che riceve in funzione dell’energia che scambia con l’esterno.
Ricordate il detto “fare un buco nell’acqua”? Ovviamente significa non cambiare niente, non ottenere alcun risultato. Se infilate un dito in una bacinella che contiene dell’acqua ferma, la vedete agitarsi un po’ e quindi tornare com’era prima. Avete cioè creato un disequilibrio imprimendo una spinta a una parte di liquido, tanto più grande quanto più forte è l’impulso che le avete trasmesso. Questo si propaga e si esaurisce dopo un certo tempo e tutto torna nella situazione iniziale. Avete “aperto” il sistema facendo modificare dal dito la sua frontiera e gli avete trasmesso, così, una certa energia meccanica. Questa si esaurisce in attriti a causa della viscosità dell’acqua. In effetti, la temperatura tenderebbe ad aumentare di una quantità impercettibile, per poi tornare in equilibrio con quella dell’ambiente grazie allo scambio di calore fra acqua e ambiente attraverso le pareti della bacinella e la superficie libera del fluido. La stessa cosa accade quando gettate un sasso in una pozza. Se volete che l’acqua resti in movimento, magari per degassarla o zuccherarla, dovete continuare ad agitarla (cioè continuare a fornire energia). Così come fate con il caffè finché non pensate di averlo addolcito bene.
Noi distinguiamo il cilindro di un motore (pistone in movimento) da un semplice serbatoio di gas, così come un fiume (acqua in movimento) da uno stagno, perché attribuiamo loro proprietà diverse. Affinché il cilindro del motore funzioni dobbiamo rifornirlo di materia ed energia e perché un fiume fluisca deve essere rifornito d’acqua e sfruttare un dislivello (variazione d’energia potenziale). Le loro proprietà (movimento e temperatura per il primo e movimento per il secondo) costituiscono delle condizioni di disequilibrio rispetto all’esterno, che è fermo e a temperatura ambiente, e riescono a essere mantenute grazie al rifornimento di materia ed energia, essendo sistemi aperti.
Gli esseri viventi sono sistemi aperti, animali o vegetali che siano. Ed è necessario che lo siano per poter esistere ed evolversi. Le loro capacità d’interazione con altri sistemi sono il segreto della loro esistenza e del loro continuo mutamento. Se generalizziamo il concetto di aperto come capace d’interagire, ci rendiamo conto di quanto questo accada quotidianamente a noi e a ciò che ci circonda. Gli animali interagiscono con gli altri animali, ma anche con il mondo vegetale in un groviglio di relazioni quasi inestricabile. Le interazioni non si hanno solo a livello puramente fisico, ma anche sociale e psicologico. Per rendersene conto ci si può riferire, oltre che all’uomo, a un grandissimo numero di specie animali, dalle formiche ai lupi, alle scimmie ecc.
L’essenzialità delle interazioni nei sistemi riveste implicazioni formidabili, sia nell’approccio scientifico da assumere per il loro studio, sia per il metodo operativo, che non può prescindere da una visione sistemica, da adottare da parte di chi li studia e dei responsabili della loro gestione. Dal punto di vista scientifico forse è Capra3 a sintetizzare meglio il significato di quello che stiamo dicendo. Egli scrive, infatti:
Quello meccanicistico è il sistema che deriva da concezioni sicuramente anteriori all’affermarsi della termodinamica. Ci si può rifare alla dinamica di Newton per cui il moto di un corpo è perfettamente determinato dalle condizioni iniziali e dalle equazioni della meccanica. In tale caso, per esempio, non esistono direzioni privilegiate (il tempo) e i movimenti possono essere assolutamente invertiti, cioè il moto è reversibile. Inoltre un fenomeno si può studiare isolando le singole parti (riduzionismo) e, dallo studio delle singole parti, giungere al tutto. È come se, volendo studiare il comportamento di un branco di lupi, ci accontentassimo di studiare i singoli individui e da ciò volessimo capire il comportamento del gruppo. Salta subito agli occhi che così trascureremmo l’importanza dei rapporti gerarchici che vi si stabiliscono. D’altra parte chi non ha mai sentito parlare dell’“effetto branco”? È proprio questo che può determinare comportamenti delinquenziali da parte d’individui che, presi singolarmente, sono per la maggior parte brave persone.
È chiaro che quest’approccio è innovativo (non nuovo, ma sicuramente ancora da assimilare da parte della mentalità comune) rispetto a quello classico meccanicistico e riduzionistico.
Ancor di più ciò è vero se, al fine di ribadire ancora il concetto, si aggiunge, anticipando anche aspetti che discuteremo successivamente, quanto dice von Bertalanffy:4