Parte prima
Gli dei
1
Antropomorfismo, Cosmogonia e Teogonia, Titanomachia e Gigantomachia
1. Prima di esporre le varie discendenze e vicende degli dei greci e romani, è bene considerare brevemente come gli antichi li pensavano e se li figuravano, soprattutto dopo che Omero contribuì in modo decisivo ad assegnare alle varie divinità quelle immagini e quegli attributi che divennero tradizionali.
Gli dei erano in genere concepiti come esseri simili all’uomo, sia per l’aspetto esteriore, sia per le qualità intellettuali o morali: è la concezione definita antropomorfismo. Ma l’idea del divino comportava che le qualità umane negli dei fossero innalzate al più alto grado di eccellenza; quindi il loro corpo era pensato come più grande, più bello, più maestoso di quello umano, qualche volta gigantesco, per cui Ares, per esempio, caduto a terra durante una battaglia, occupava uno spazio di sette pletri ovvero 700 piedi (Iliade 21,407). Le membra divine erano più robuste e agili: la forza di Zeus era tale che solo con un movimento delle sopracciglia faceva tremare tutto l’Olimpo. Al pari degli uomini, tuttavia, gli antichi dei sono costretti nei limiti dello spazio, pur godendo di molte prerogative: in un batter d’occhio percorrono immense distanze, la facoltà della vista e dell’udito si estende per loro illimitatamente: Zeus, per esempio, dall’alto del suo trono sull’Olimpo scorge, senza bisogno di esser presente, tutte le azioni degli uomini in qualunque più riposto angolo della terra. Ancora, gli dei sono soggetti ai bisogni corporali del sonno e del cibo, ma si nutrono esclusivamente di nettare e di ambrosia, la bevanda dell’immortalità. Nascono e crescono come gli uomini, ma a una prodigiosa velocità: Ermes, nato al mattino, suona già a mezzogiorno la lira da lui inventata e sfugge dalla culla dov’è in fasce per andare a rapire le giovenche di Apollo; poi, dopo averle nascoste, torna nella sua culla. La loro principale prerogativa è questa: una volta raggiunto il pieno sviluppo delle loro forze fisiche e spirituali, non invecchiano, ma rimangono sempre giovani e sono immortali. Non che siano liberi da ogni dolore; anzi, come il loro corpo può essere ferito, così l’anima può essere afflitta da pene di varia natura. Questo però non guasta la loro felicità e non impedisce che possano sempre soddisfare i loro desideri. Quanto alle doti dello spirito, gli dei erano naturalmente pensati come superiori agli uomini, sia per sapere sia per potenza. A seconda delle loro voglie, penetravano ogni segreto della natura: potevano suscitare d’un tratto tempeste o malattie, e anche d’un tratto farle cessare.
Il loro potere eccedeva di gran lunga i limiti dell’umano, senza arrivare però al concetto di onnipotenza: Zeus stesso era in qualche modo limitato nell’esercizio della sua forza e soggetto inesorabilmente al fato. La concezione antropomorfica si manifesta soprattutto nella moralità attribuita agli dei: erano sì pensati come esseri giusti, aspri nemici dei malvagi e vendicatori di ogni umana scelleratezza, ma non erano immuni da passioni più o meno disordinate. Spesso sono rappresentati come invidiosi, gelosi, crudeli, pronti a ogni sorta di intrighi e frodi: insomma, non esenti da quelle colpe e da quegli eccessi da cui è afflitta l’umanità.
Nel complesso possiamo dire che gli antichi rappresentarono gli dei a loro immagine e somiglianza, considerandoli però così superiori da giustificare la venerazione e il culto che derivavano da un innato senso religioso.
2. Origini del mondo e degli dei. I popoli politeisti, ignorando il concetto della creazione per opera di Dio come causa prima e assoluta, non potevano che avere sull’origine del mondo idee prive di un razionale fondamento, spesso contraddittorie e quasi infantili o grottesche. Esiodo (IX secolo a.C.), che per primo tentò di esporre con ordine le idee degli antichi Greci sull’origine degli dei e delle cose, narra come il mondo ebbe origine dal Caos, inteso non nel senso di una rudis indigestaque moles, cioè di una confusa e indistinta miscela di tutte le cose, che è un concetto posteriore, ma nel senso etimologico di uno spazio vuoto, quasi una voragine immensa e tenebrosa. Dal Caos sorse per prima, non si dice come, GEA, la Terra, dalla quale subito si staccò il TARTARO o Inferno; poi comparve EROS, l’amore che unisce, ossia il principio della forza di attrazione che spinge gli elementi a combinarsi. Poi, mentre il Caos generava ancora l’EREBO, le prime tenebre, e la NOTTE, i quali a loro volta ebbero figli completamente diversi, ossia l’ETERE e il GIORNO, Gea da sé generava URANO, ovvero il cielo, le montagne e il PONTO o mare. Ed ecco la prima unione: si raccontava che Gea si fosse congiunta prima con Urano e poi con Ponto, evidentemente traducendo in linguaggio mitico il fenomeno naturale della terra fecondata dalle piogge e dalle acque.
Dall’unione di GEA e di URANO derivarono i TITANI, i CICLOPI, gli ECATONCHIRI o Centimani, giganti dalle cento braccia.
I TITANI erano dodici, sei maschi e sei femmine, e venivano per lo più accoppiati a due a due. Le coppie più notevoli erano: OCEANO, il gran fiume che circonda la Terra ed è padre degli altri fiumi, e TETI (Tethys), l’umidità che pervade e nutre ogni cosa, di cui erano figlie le ninfe OCEANINE; IPERIONE, l’errante dio della luce, e TEA (Theia), colei che irradia, da cui nacquero tre datori di luce, ELIO, il sole, SELENE, la luna, EOS, l’aurora; CEO (Koios) e FEBE (Phoebe), il polo celeste (Koios = coelum, vedi Iuno Covella) e la pura, la radiosa, generatori di due divinità della notte, LETO, la notte buia, e ASTERIA, la notte stellata; infine CRONO (Kronos) e REA (Rhea), che sarebbe una versione più giovane della coppia Urano-Gea, più tardi interpretati come il tempo (per la confusione di Kronos con Chronos) e colei che scorre, personificazione del movimento degli esseri e della durata. Oltre a queste coppie vanno ricordati tra i titani GIAPETO (Iapetos), padre di Prometeo, e tre divinità che personificano concetti morali, CRIO (Kreios), la potenza, la forza, TEMI (Themis), la legge per eccellenza, e MNEMOSINE (Mnemosyne), la memoria.
I CICLOPI, così chiamati dall’unico occhio tondo che si diceva avessero in mezzo alla fronte, erano tre, BRONTE, STEROPE e ARGE, evidente personificazione dei fenomeni elettrici, il tuono, il lampo e il fulmine.
Anche gli ECATONCHIRI erano tre, COTTO, BRIAREO e GIGE o GIE, e rappresentavano le forze che sconvolgono la natura, il terremoto e le onde che si infrangono a riva e poi si ritirano.
In unione con il Ponto, Gea generò diverse divinità marine: NEREO, rappresentante del mare in bonaccia, padre delle Nereidi o ninfe marine; TAUMANTE (Thaumas), che incarna la maestà del mare, padre di IRIDE, l’arcobaleno, e delle ARPIE (venti tempestosi); FORCHI (Phorkys) e CHETO (Khetos), personificazione dei pericoli del mare, la cui unione produsse le terribili Gòrgoni e le Graie; infine EURIBIA (Eurybia), che andò sposa al titano CRIO (Kreios).
3. Fino a questo punto Cosmogonia e Teogonia si identificano, perché la nascita degli dei, sorti dal Caos e personificazione delle grandiose forze della natura, rappresenta anche l’origine delle cose e dei fenomeni naturali. Ma i miti ben presto si complicano e agli dei, che comunque non sono esistiti da sempre ma sono nati come i primi miti raccontano, si attribuiscono gesta e rapporti che non hanno più una connessione evidente con il significato primitivo. Si raccontava che Urano, temendo di perdere il dominio sull’universo per opera dei suoi figli minori, i Ciclopi e gli Ecatonchiri, li relegò nel profondo del Tartaro (ovvero la sede di lampi, tuoni e tempeste, sopraffatte dal cielo sereno e stellato). Gea, addolorata per questo, sollecitò i Titani perché facessero guerra al padre. Nessuno dei figli più grandi osava, ma Crono, il più giovane, si ribellò e attaccò con violenza il padre, lo domò, lo mutilò e l’obbligò a rinunciare in suo favore al dominio sul mondo. Dal sangue di Urano nacquero le ERINNI (Erinyes), furie vendicatrici di ogni delitto di sangue, i GIGANTI e le ninfe MELIADI (divinità dei frassini, usati per fabbricare l’asta delle lance).
Una volta spodestato Urano, cominciò il regno di Crono; ma neanche questo sarebbe stato lungo e felice. Al momento della sconfitta, il padre gli aveva predetto che avrebbe subìto la sua stessa sorte; e così avvenne. Crono, temendo di essere detronizzato da uno dei suoi figli, li ingoiava tutti appena nati: aveva già ingoiato Estia, Demetra, Era, Ade e Poseidone. Quando però nacque l’ultimo figlio, Zeus, Rea lo nascose e al suo posto porse al padre una pietra, avvolta in fasce, che Crono, ingannato, ingoiò. Così Zeus si salvò; fu allevato quindi segretamente da alcune Ninfe in una grotta dell’isola di Creta, crebbe ben presto in forze e maestà e, una volta adulto, mosse contro Crono e dopo averlo obbligato a rigettar fuori i figli ingoiati – che per la loro natura divina erano immortali – incominciò contro di lui la tremenda lotta che avrebbe posto fine al suo regno.
4. Questa lotta fu chiamata Titanomachia, perché tra i Titani alcuni si erano schierati dalla parte di Zeus, ossia Oceano, Iperione, Temi e Mnemosine, altri, tra cui Giapeto, erano rimasti a difesa del loro fratello. Zeus si valse anche dei Ciclopi e degli Ecatonchiri, liberandoli dai ceppi a cui li aveva condannati Urano. La guerra durò più di dieci anni e si combatté nella fertile Tessaglia, dove i figli di Crono con Zeus avevano occupato il monte Olimpo, mentre Crono con i suoi seguaci il monte Otri. Si combatté con straordinaria violenza: di qua e di là si scagliarono addosso pezzi di montagna; Zeus ricorse anche ai fulmini che i Ciclopi gli avevano fornito. Cielo e Terra e persino il Tartaro rimbombavano dell’immenso fragore.
Il significato naturalistico di questo mito è evidente: si rappresentava un gran conflitto di forze della natura; forse era ancora un’eco di quei grandi cataclismi geologici e diluvi, di cui era viva la tradizione e le cui cause anche oggi si cercano nelle viscere della terra. Proprio la Tessaglia era stata scelta a teatro di questa guerra, perché lì erano più manifesti i segni di antiche rivoluzioni geologiche.
Alla fine i Titani di Crono vennero sconfitti e gettati in catene nel profondo del Tartaro; a far la guardia furono lasciati gli Ecatonchiri, divenuti ormai fide sentinelle di Zeus. Crono perse il regno dei vivi e dovette accontentarsi da allora in poi, secondo alcuni poeti, di regnare con Radamante sulle Isole dei beati. Zeus, divenuto signore dell’universo, divise questo dominio con due suoi fratelli, riservando a sé il cielo, lasciando a Poseidone il governo del mare, ad Ade quello del Tartaro; la Terra rimase neutrale.
Ma il nuovo ordine di cose non era ancora assestato. Gea, crucciata perché molti dei Titani erano stati imprigionati, si unì al Tartaro. Diede così alla luce un nuovo mostro, TIFEO o TIFONE (Typhoeus, Typhon), con cento teste di drago che vomitavano fuoco, dotato di grandezza e di forza meravigliosa, e lo indusse a muovere contro Zeus per rovesciarlo dal trono. Di qui una nuova, terribile lotta, che fece tremare cielo e terra: di nuovo, un’immagine di sconquassi geologici dovuti alle forze vulcaniche. I fulmini incessanti di Zeus alla fine domarono il mostro, che fu gettato anch’esso nel Tartaro; o, secondo una versione posteriore del mito, fu rinchiuso nelle viscere dell’Etna in Sicilia, da dove ancora manifesta la sua ira vomitando fuoco e fiamme.
Alcuni poeti parlano anche di una Gigantomachia, ossia di una lotta contro Zeus da parte dei Giganti, nati dalle gocce di sangue sparse da Urano dopo la lotta con Crono. Fra loro c’era...