La storia della chitarra rock
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La storia della chitarra rock

Luca Masperone, Stefano Tavernese

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La storia della chitarra rock

Luca Masperone, Stefano Tavernese

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PIÙ DI 100 ANNI DI EVENTI E STORIE RACCONTATI ATTRAVERSO I PROTAGONISTI, LA MUSICA, I LUOGHI E L'EVOLUZIONE DEGLI STRUMENTI.Chi ha costruito la prima chitarra elettrica? Contro chi combatteva Santana sul palco di Woodstock? Com'è nato il suono di Hendrix? Com'è arrivato il blues in Inghilterra? E il rock? Chi è Charley Patton?La risposta a queste e altre mille domande in un volume riccamente illustrato, concepito come un unico e appassionante racconto, con oltre 300 foto che fanno da corollario a un viaggio attraverso 100 anni di evoluzione della musica e della chitarra.Dal blues al rock, dal jazz alla fusion, dall'hard rock fino all'heavy metal. Il beat inglese degli anni '60, il folk, il rhythm and blues; il glam, il progressive, il country rock…Curiosità, aneddoti e storie sui protagonisti e sui loro strumenti preferiti.Analisi dettagliate e approfondite per conoscere tutto, ma proprio tutto, sulla storia e sull'evoluzione della chitarra rock.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2017
ISBN
9788820382261
04
SUNSHINE OF YOUR LOVE
IL ROCK BLUES
Radici nere, ragazzi bianchi
“Passavo molto tempo con Jimi semplicemente a discutere quale tipo di quadro volevamo dipingere”
— ROGER MAYER, INGEGNERE E COLLABORATORE DI JIMI HENDRIX
Iriff di Robert Johnson, Muddy Waters e Howlin’ Wolf rappresentano il brodo primordiale a cui attingere per sviluppare il vocabolario del rock. I tre King del blues, B.B., Albert e Freddie, rivestono il ruolo di santoni da seguire per sviluppare la tecnica solistica.
“Alexis Korner e Cyril Davies sono stati l’origine di tutto”
JOHN MAYALL
È così che giovani musicisti bianchi diventano a loro volta dei provetti bluesman. L’Inghilterra è nuovamente alla testa del movimento, che inizia con l’importante lavoro preparatorio di Chris Barber, Alexis Korner e Cyril Davies, e che vede poi emergere guitar hero immortali come Eric Clapton, Jeff Beck e Peter Green. Senza dimenticare gruppi come i Rolling Stones, i Bluesbreakers di John Mayall, i Fleetwood Mac, i Ten Years After di Alvin Lee e maestri irlandesi del calibro di Rory Gallagher e Gary Moore. Gli americani non sono da meno: Mike Bloomfield e Paul Butterfield sono i pionieri del blues bianco di Chicago, i californiani Canned Heat fanno la loro parte mentre dal Texas arriva l’incontenibile Johnny Winter. Nel frattempo Jimi Hendrix si è trasferito a Londra per riscrivere le regole della chitarra rock partendo dalle radici del blues, e non diversamente farà Santana che, arrivato a San Francisco dal Messico come bluesman cresciuto a pane e B.B. King, diventerà in seguito un artista capace di fondere stili diversi con eleganza e coerenza. Parallelamente, si assiste all’evoluzione del rhythm and blues, del soul e del funk, e al successo della storica etichetta Motown di Detroit. Nel tempo, il blues attraverserà varie fasi, come il revival degli anni ’80 capeggiato dal virtuoso Stevie Ray Vaughan, ma il suo fuoco resterà sempre acceso e ancora oggi artisti come Joe Bonamassa, Kenny Wayne Shepherd, Gary Clark Jr. e Keb’ Mo’ ne tengono alta la bandiera.
LA NASCITA DEL BRITISH BLUES
A Londra, tra la fine degli anni ’40 e l’inizio dei ’50, dalla scena jazz e skiffle emerge un chitarrista, Alexis Korner, che in seguito darà vita al movimento del British blues, diventandone l’ambasciatore e il primo maestro. Sotto la sua ala inizieranno le carriere di molti personaggi, come quella del futuro batterista dei Rolling Stones Charlie Watts, di Jack Bruce e Ginger Baker (che avrebbero formato i Cream) o del leader dei Bluesbreakers John Mayall. Numerosi artisti avranno sempre un debito nei confronti di Alexis, e altrettanti resteranno influenzati dalle incendiarie esibizioni dei suoi Blues Incorporated.
Nel 1949 Alexis Korner entra nella jazz band di Chris Barber, a sua volta luogo seminale da cui prenderanno il via diverse carriere, come quella di Lonnie Donegan, che di lì a poco diventerà il “Re dello Skiffle”. Ma l’incontro più importante è quello con il futuro grande armonicista (e chitarrista a 12 corde, inizialmente ispirato a Lead Belly) Cyril Davies, con il quale inizia a suonare in duo a metà degli anni ’50, spostando l’attenzione dal jazz al blues americano. “Alexis e Cyril sono stati l’origine di tutto”, dirà anni dopo John Mayall, altro grande pioniere del blues inglese. Nel tempo, Korner e Davies compiranno un’opera di recupero e adattamento del repertorio che farà scuola. Nel 1957 i due aprono, al piano superiore del pub Roundhouse a Soho, il London Blues and Barrelhouse Club, nato dalle ceneri del London Skiffle Centre di Davies e Bob Watson. “Il locale precedente ogni giovedì notte era strapieno”, ricorderà Korner, “mentre quando dopo un mese abbiamo aperto il nostro, ci saranno state tre persone, ed eravamo in quattro sul palco”. Inizia così il lavoro di divulgazione del blues sul suolo inglese da parte dei due pionieri. Alle performance di Korner e Davies, e a quelle di qualsiasi altro musicista che voglia unirsi a loro per una jam, si aggiungono le presentazioni di artisti americani in visita al club. A questo proposito, un’altra parte significativa sarà svolta da Chris Barber, che contribuirà all’arrivo in Inghilterra di diversi bluesman statunitensi, come Big Bill Broonzy, Sonny Terry, Brownie McGhee e Muddy Waters, il quale folgorerà il pubblico con le sue sonorità elettriche, scardinando la concezione vigente del blues come musica prettamente acustica. Al termine dell’avventura del London Blues and Barrelhouse Club, Korner si unisce nuovamente alla band di Barber per far parte di un set dedicato alla sua musica preferita all’interno del loro show, questa volta in elettrico. La risposta del pubblico è molto buona, quindi Alexis invita nella band anche Cyril, nel frattempo passato stabilmente all’armonica nello stile di Chicago. Nascono così, tra la fine del ’61 e l’inizio del ’62, i Blues Incorporated, che presto si separano amichevolmente da Barber e iniziano a esibirsi come prima vera band inglese di blues elettrico composta interamente da musicisti bianchi. “Suonavamo roba elettrica e venivamo buttati fuori da rispettabili locali jazz per aver osato farlo”, ricorderà Korner.
La copertina del disco R&B from the Marquee dei Blues Incorporated.
Da sinistra a destra, Dick Heckstall-Smith, Alexis Korner, Cyril Davies
Il 17 marzo del 1962, Alexis e Cyril aprono a Londra l’Ealing Club, che diventerà un punto di aggregazione fondamentale per gli amanti del blues. È qui che Mick Jagger e Keith Richards incontreranno per la prima volta Brian Jones, durante una sua esecuzione alla chitarra slide del brano Dust My Broom di Elmore James. Nello stesso anno i Blues Incorporated si esibiscono regolarmente anche al Marquee Club, diretto da Chris Barber, coltivando la loro forma di gruppo aperto: intorno al nucleo composto da Alexis e Cyril si alternano vari artisti che di lì a poco faranno parlare di sé. “Da un punto di vista commerciale”, racconterà Korner, “i Blues Incorporated hanno raggiunto il loro apice nel 1962. Sono certo che una delle ragioni per cui così tanti grandi musicisti abbiano scelto di lavorare con me fosse perché semplicemente non c’erano alternative. Non esisteva un’altra band rhythm and blues che suonasse regolarmente due volte alla settimana davanti ad almeno un migliaio di persone. Ma non abbiamo mai pensato di essere diventati famosi, non suonavamo nelle sale da ballo pop”. Davies però non approva le influenze jazzistiche che cominciano a farsi largo nello stile della band, e abbandona il gruppo alla fine dello stesso anno per formare i suoi Cyril Davies R&B All-Stars. Tuttavia la sua carriera sarà stroncata dalla leucemia, di cui morirà nel 1964. Alexis invece proseguirà fino al ’66, portando avanti successivamente altri progetti. Nel frattempo, il ruolo di “Padrino del British blues” passa a John Mayall. Polistrumentista, nato a Macclesfield nel ’33 e di base a Manchester, Mayall si trasferisce a Londra nel 1963, iniziando a dedicarsi a tempo pieno alla musica grazie all’incoraggiamento e ai consigli di Alexis Korner. Il suo primo album, registrato dal vivo alla fine del ’64 e pubblicato l’anno seguente, non è un successo, ma nel ’65 un giovane e brillante chitarrista di nome Eric Clapton entra a far parte della sua band, portando con sé un bagaglio esplosivo di fraseggi solistici e di suoni blues rock in grado di far saltare in aria lo studio di registrazione. Eric ha appena lasciato gli Yardbirds dopo il successo di For Your Love. È alla ricerca di un ambiente fertile, dove potersi dedicare interamente al blues, lontano dalle influenze commerciali della musica da classifica. Prima di For Your Love, aveva inciso con il gruppo qualche brano maggiormente nelle sue corde, come il B-side A Certain Girl del ’64, caratterizzato da un lungo assolo carico di bending e da un suono distorto ottenuto semplicemente con una Telecaster collegata a un amplificatore Vox AC30 portato al massimo del volume. La prima prova discografica con i Bluesbreakers è il singolo I’m Your Witchdoctor (prodotto da un giovane Jimmy Page), dove un aggressivo riff di chitarra si sovrappone alla voce di Mayall, e nelle parti strumentali emergono lunghe note vibrate ricche di sustain. Ma sarà l’album Blues Breakers with Eric Clapton, pubblicato nel luglio del 1966, ad assicurare un posto nella storia a John Mayall, oltre a lanciare la carriera da guitar god di Clapton. Vediamo perché il lavoro, da un punto di vista chitarristico e non solo, è così importante. Punto uno: il suono. Per ottenere il caratteristico timbro distorto prodotto dalla saturazione di un amplificatore valvolare ad alti volumi, Eric utilizza un Marshall 1962 2×12” combo, poi ribattezzato “Bluesbreaker” in suo onore. Va sottolineato, quando si parla di Marshall, che i numeri identificativi non si riferiscono all’anno di produzione: per esempio il JTM45/100 da 100 watt, che gli Who ricevono nel 1965, viene chiamato “Model 1959”. L’amplificatore usato da Clapton è un combo, cioè un’unica struttura dove alloggiano preamplificatore, finale di potenza e altoparlanti (diversamente i primi due si trovano nella testata, gli altoparlanti nella cassa). Pare che Eric avesse chiesto a Jim Marshall di costruirgli un modello che stesse nel bagagliaio della sua auto, ma che fosse abbastanza potente da poter essere utilizzato dal vivo. Clapton vi collega una Gibson Les Paul del 1960 con pickup humbucker. Quando il tecnico si lamenta del volume troppo alto, gli risponde: “Io suono così”. Discorso chiuso. Punto due: il fraseggio. Eric padroneggia splendidamente tutte le tecniche espressive dei grandi solisti afroamericani come B.B., Albert e Freddie King, filtrate attraverso l’esuberanza di un giovane bianco inglese che vuole conquistare il mondo. I brani del disco, in parte scritti da Mayall, in parte rivisitazioni di pezzi del repertorio blues americano, regalano assolo brucianti con un’incredibile utilizzo del bending e del vibrato, alzando l’asticella di quello che d’ora in avanti ci si dovrà aspettare da un chitarrista degno di questo nome. Punto tre: la risposta del pubblico. Clapton ha lasciato gli Yardbirds per dedicarsi al blues e non alla musica da classifica, eppure l’album nelle classifiche ci finisce ugualmente. Raggiungere la sesta posizione della Top Ten inglese con brani di puro blues senza compromessi è un evento, e apre la strada a un ruolo sempre più d...

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