Collana
Design e comunicazione
Fare
progetti
Una ipotesi di metodologia per tutti
Fare progetti
Una ipotesi di metodologia per tutti
Carlo Branzaglia
© 2018 Fausto Lupetti Editore
Via del Pratello 31 – 40122 Bologna
Tel. +39 051 587 07 86
Viale Abruzzi 84 – 20131 Milano
Tel. +39 02 365 362 38
www.faustolupettieditore.it
Coedizione Galatea Srl
Distribuzione Messaggerie Libri
ISBN 9788868742843
Redazione grafica e copertina:
Giacomo Nanni - Latveria
Layout originario:
Elena Pizzi - Latveria
Produzione:
DMC Design Management Center
Ringraziamenti
Questo volume necessiterebbe di una massa inverosimile di ringraziamenti. Ma questa volta starò sul pragmatico, sperando di avere ben sparpagliato i doverosi crediti all’interno delle sue pagine, e in abbondante copia. A Giovanni Anceschi devo un pensiero, per l'ennesima, corroborante introduzione.
Devo ringraziare in partenza chi mi ha permesso di sviluppare le esperienze da cui il libro trae le mosse, autorizzandone inoltre la pubblicazione: Accademia di Belle Arti di Bologna, Aster, Antony Morato, Calpark Università di Cosenza-Rende, Comune di Calderara di Reno, CNA Provinciale di Bologna, Istituto Europeo di Design di Milano, Scuola di Ingegneria e Architettura dell’Università di Bologna.
Un secondo lotto di ringraziamenti va invece a chi il volume lo ha prodotto, in primis Fausto Lupetti, editore di rara qualità. E poi lo staff di Latveria e DMC, in particolare Gianluca Bernardini, per la sua attenzione a mantenere la direzione voluta, Giacomo Nanni, infaticabile nel curare il più piccolo dettaglio e nel ridisegnare funzionalmente tutto il possibile, Elena Pizzi, felice ideatrice del layout originario. Mentre un pensiero va anche ad Andrea Carnoli, che ha dato una limata preliminare all’impostazione del testo.
Un ringraziamento molto sentito, sul piano umano e professionale, va a Laura Valentini, Dirigente del Servizio di Psicologia Clinica dell'Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena, per la quantità di spunti metodologici offerti in corso d'opera.
Cap 0 ouverture |
|
Prefazione Giovanni Anceschi Introduzione |
Genesi |
Piano dell’opera |
Glossario |
Cap 1 brainstorming |
|
Contenuti |
Definizione |
Schede |
Case study |
Punti chiave |
Tecniche |
Cap 2 keyword |
|
Contenuti |
Definizione |
Schede |
Case study |
Punti chiave |
Tecniche |
Cap 3 tagcloud |
|
Contenuti |
Definizione |
Schede |
Case study |
Punti chiave |
Tecniche |
Cap 4 mind map |
|
Contenuti |
Definizione |
Schede |
Case study |
Punti chiave |
Tecniche |
Cap 5 infografica |
|
Contenuti |
Definizione |
Schede |
Case study |
Punti chiave |
Tecniche |
Cap 6 moodboard |
|
Contenuti |
Definizione |
Schede |
Case study |
Punti chiave |
Tecniche |
Cap 7 guideline |
|
Contenuti |
Definizione |
Schede |
Case study |
Punti chiave |
Tecniche |
Cap 8 apparati |
|
Contenuti |
Bibliografia |
Sitografia |
Crediti |
0
ouverture
Prefazione
Introduzione
Genesi
Piano dell'opera
Glossario
Prefazione
Il design e la progettazione
Giovanni Anceschi
È evidente che quando parliamo di metodologia progettuale, oggi, molte cose sono cambiate: per esempio, da quando Bruno Munari propose il celebre schema pubblicato in Da cosa nasce cosa. Tanto per incominciare, si è sviluppata in tutte le sue fasi quella che allora si sarebbe chiamata elettronica, poi cibernetica, poi informatica, che ha assunto una centralità non solo per le dimensioni di una rete che permea qualunque contesto, ma anche per le accentuazioni che essa ha impresso sul processo di generazione del progetto.
Munari aveva la fortuna di lavorare in un mondo dove effettivamente la semplicità era una componente dell’esistente, una circostanza nodale ed anche praticabile; mentre adesso è diventata invece assai più difficile, da mettere in opera. È qualcosa che non è più di questo mondo, a meno che non ne facciamo una narrazione puramente intenzionale. E quindi, oggi, ogni metodologia deve essere più sofisticata ed articolata, aderente a una complessità rizomatica, invece che ad una causalità lineare.
Certo rimane intrigante quella lezione, nel suo perseguire la semplicità e contestualmente l’innovazione, le quali al momento attuale si confrontano con un tale groviglio di fattori da rendere essenziale il concetto di flessibilità; e non vorrei autocitarmi nel segnalare che non si tratta poi di scoperta tanto recente, perché è proprio sulla flessibilità che si basa in sostanza l’antinomia hard-soft che avevo individuato negli anni Ottanta, parlando di immagine coordinata. Che, se vogliamo, oggi si riverbera nella straordinaria visione metamorfica dei marchi generativi, che integrano la flessibilità non solo a livello di processo ma anche di risultato finale. E non mi dilungo qui sulla distinzione fra immagine coordinata e identità, poiché quest’ultima è il substrato della prima, la sua circostanza vissuta, e messa in opera.
In questo mutamento di contesto, ancora più essenziale diventa la comprensione del ruolo della Gestaltung, una competenza che poi è quell’elemento in comune che il design ha con l’arte: in quanto un buon designer e un buon artista debbono essere entrambi dei buoni configuratori, dei buoni Gestalter: devono saper dar forma. Certo, il design è eteronomo e l’arte autonoma, citando la distinzione fatta a suo tempo da Luciano Anceschi: ma la qualità estetica, e la dimensione morfologica, nascono per entrambi da questa convergenza dialettica (o forse dialogica) fra teoria e pratica.
Qui emerge anche una distinzione che ritengo opportuno fare fra il concetto esteso di progettazione e ciò che professionalmente intendiamo per design; qualcuno sostiene che i termini siano sinonimi, mentre invece il design appare essere un sotto-insieme della progettazione: il design è una progettazione sub specie configurationis. Senza esagerare, il ruolo del designer è quello di responsabile delle scelte configurative: scelte che vanno ben oltre la definizione canonica di disegno industriale, e ben oltre la visione deterministica che della progettazione vedeva esclusivamente l’aspetto meccanicistico: come se bastasse inserire i dati all’inizio del processo di progettazione per vederne emergere automaticamente i risultati.
Non è così, ovviamente. Il campo del design ha effettivamente ambiti che si possono attribuire a saperi consolidati, come quelli scientifici o ingegneristici: ma questa progressiva annessione di parti alle pratiche deduttive ha un limite di fatto e di principio. Rimangono sempre scoperti settori che vanno interpretati, con un’attitudine sostanzialmente umanistica. La nostra è una disciplina che, in comune con l’arte, può prendere le sue decisioni a partire dall’effetto estetico sperato, dal contatto con l’utente/interattore, dall’incontro con la sua sensibilità e con la sua percezione.
Nella mia esperienza ho vissuto anche momenti di forte contrapposizi...