Il 20 novembre 2018, la cooperante italiana Silvia Romano è stata rapita in territorio keniota dall’organizzazione terroristica di base in Somalia al-Shabaab. La drammaticità dell’episodio risoltosi con la liberazione dell’ostaggio, grazie all’intervento dell’intervento dei servizi segreti italiani e turchi, ha portato alla ribalta dei media e all’interno del dibattito pubblico italiano un fenomeno da tempo diffuso nel paese del Corno d’Africa che, da quasi un decennio, è diventato il principale obiettivo di una delle organizzazioni terroristiche di matrice islamica più diffuse e radicate del continente africano. Ma perché al-Shabaab opera in territorio keniota? Quali le motivazioni che hanno spinto una organizzazione terroristica nata con una proiezione e obiettivi principalmente legati alla guerra civile somala ad operare una serie crescente di attacchi in Kenya? Il lavoro cercando le risposte a questi e a molti altri interrogativi, analizza le fasi di sviluppo e resilienza del movimento più temuto nel Corno d’Africa, al-Shabaab, utilizzando come caso di studio l’allargamento della propria operatività in Kenya.
La regione del Corno d’Africa, che il presente lavoro identifica nell’Etiopia, il Gibuti, la Somalia e il Kenya, è stata in questi anni attraversata dagli attacchi terroristici di al-Shabaab. Se la Somalia rappresenta il luogo d’origine nonché l’attuale roccaforte e base operativa dell’organizzazione terroristica, gli altri tre paesi condividono tutti un confine con essa e al loro interno vivono componenti musulmane (e somale). I tre stati, a cui si aggiungono l’Uganda e il Burundi, hanno dispiegato forze militari in Somalia sotto l’egida della Missione dell’Unione Africana (AMISOM), finalizzata alla difesa e al consolidamento del Governo Nazionale Somalo (SNG) di Mogadiscio. Nonostante i tre paesi presentino una molteplicità di aspetti simili tali da renderli potenzialmente degli obiettivi uguali agli occhi di al-Shabaab, i dati raccolti nell’arco dell’ultimo decennio dimostrano come il Kenya abbia subito maggiormente gli attacchi dell’organizzazione terroristica. Le azioni compiute dai militanti di al-Shabaab sono aumentate in maniera esponenziale a partire dalla fine del 2011, a seguito della decisione del governo di Nairobi di intervenire nella Somalia meridionale con l’obiettivo di stanare le milizie del gruppo radicale e creare una ‘buffer zone’ di sicurezza lungo il confine. Il fatto che il Kenya, dopo il governo centrale di Mogadiscio, sia diventato il principale obiettivo degli attacchi di al-Shabaab, non può essere giustificato unicamente dalla prossimità geografica. Analizzando il tratto di confine condiviso emerge come nonostante l’elevata permeabilità dovuta alla debole e inefficace sorveglianza delle autorità keniote renda effettivamente più semplice per i terroristi agire e infiltrarsi, altri paesi condividono con la Somalia un confine più lungo e, conseguentemente di più difficile sorveglianza. L’Etiopia, per esempio, presenta un confine terrestre ben più lungo di quello condiviso dal Kenya (1600 km contro 682 km). Soffermandosi invece su un altro elemento comunemente giudicato esplicativo del crescente numero di azioni di al-Shabaab in Kenya, ossia la presenza della diaspora somala, anche in questo caso si nota come l’Etiopia presenti il doppio della popolazione somala di quella presente in territorio keniota (4,6 milioni nella regione di Ogadēn contro 2,4 milioni nei territori somali in Kenya), e una popolazione musulmana proporzionalmente più numerosa (34% contro 11,1% del Kenya). Eppure, negli ultimi anni gli attacchi di al-Shabaab in Etiopia sono rimasti minimi, ben al di sotto di quelli compiuti in Kenya. Se si osservano i dati del periodo compreso tra il 2008 e il 2015, il gruppo terroristico ha eseguito un totale di 272 attacchi in Kenya e solamente cinque in Etiopia.
Partendo dall’analisi dei dati testè riportati, l’ebook contesta il paradigma dominante secondo cui al-Shabaab avrebbe preso di mira il Kenya a causa dell’intervento militare condotto dalle forze di sicurezza (Kenya Defense Forces, KDF) in Somalia. Con l’obiettivo di offrire una chiave interpretativa alternativa in grado di spiegare i motivi che hanno portato il gruppo terroristico ad assumere il Kenya come target principale delle proprie azioni, il lavoro adotta gli assunti teorici di diversi studi sugli attori armati non statali. In particolare, l’assunto di partenza di alcuni lavori tra i quali Miroiu e Ungureanu1, e lo studio di Podder2, è costituito da una critica alla letteratura rea di considerare gli attori non statali unicamente in termini ‘stato-centrici’, ossia in funzione delle loro interazioni, violente e non violente, con gli attori statali. Contestando tale interpretazione i tre autori propongono una lettura analitica differente, che ponga al centro delle attenzioni la natura, l’attività e l’adattamento al contesto da parte dei gruppi armati non statali, come al-Shabaab, indipendente dalla presenza o meno di interazioni con gli Stati. Questo approccio innovativo, oltre a riconoscere la crescente centralità degli attori armati non statali nelle dinamiche di sicurezza globale, permette di considerare in maniera più dettagliata i percorsi sociali che spiegano la loro ascesa3, nonché mira a contribuire allo sviluppo di strategie di contrasto.
Gli attacchi di al-Shabaab in Africa orientale evidenziano come la sicurezza internazionale non possa più essere interpretata ed edificata attraverso l’utilizzo di parametri puramente statali ma debba tenere conto dell’estensione della politica globale fino a comprendere una moltitudine di attori non statali, compresi quelli armati. Infatti, quest’ultimi hanno attraversato una fase di profondo sviluppo, da attori passivi, con un impatto sulla sicurezza globale indiretto, ossia attraverso il sostegno proveniente da un paese o da un gruppo di Stati rivali4, a essere essi stessi in conflitto diretto con degli stati. Nel caso di al-Shabaab, il gruppo ha dichiarato guerra al Kenya nonostante quest’ultimo non sia l’unico paese coinvolto in AMISOM. L’ebook sostiene che dietro alla scelta di al-Shabaab via sia un concorso tra opportunismo, dettato dalla prossimità geografica del Kenya alle roccaforti dell’organizzazione – nella Somalia meridionale –, e una serie di variabili esplicative specifiche non ancora ben analizzate. Tra quest’ultime si evidenziano in particolare lo status internazionale e la visibilità di cui gode il Kenya, la presenza di media che godono di maggiori libertà rispetto agli standard della regione, di un settore turistico altamente sviluppato e redditizio, di un numero relativamente elevato di combattenti kenioti tra le fila di al-Shabaab, la presenza di cellule terroristiche in Kenya, di uno spazio relativamente democratico e di alti livelli di corruzione endemica. L’insieme di questi fattori ha generato un ambiente particolarmente attraente e favorevole ad al-Shabaab per ingrossare il proprio seguito e acquisire popolarità nel quadro della jihad globale.
L’ebook si compone di tre sezioni. In primo luogo, viene fornita una sintesi della nascita e dello sviluppo di al-Shabaab come organizzazione terroristica, evidenziando le dinamiche sociali che hanno alimentato la sua insurrezione in Somalia e i successivi attacchi in Kenya. Nella seconda parte, l’ebook mette in discussione la narrazione dominante secondo cui al-Shabaab attacchi il Kenya a causa dell’intervento del KDF in Somalia nel 2011. Nonostante, come anticipato, la maggior parte degli attacchi in Kenya siano successivi al 2011 (quasi 250), lo studio sostiene che le radici affondino nel periodo precedente e che siano state alimentate da un concorso di fattori; suddividendo tali fattori in otto variabili esplicative, la terza parte analizza i motivi che hanno spinto al-Shabaab a rivolgersi contro il Kenya invece che contro altri attori regionali. Infine, le conclusioni forniscono alcune prescrizioni generali su come, nel nuovo contesto di sicurezza globale, sia possibile consolidare in maniera sostanziale il contrasto ai gruppi armati non statali come al-Shabaab.
1. Al-Shabaab: da organizzazione terroristica strategica ad universale
Il gruppo al-Shabaab, noto anche come Harakat al-Shabaab al-Mujahidin, nasce come l’ala militante armata, in gran parte autonoma, dell’Unione delle Corti Islamiche (UCI) che a partire dalla seconda metà del 2006 acquisì il controllo della Somalia meridionale ponendosi in contrapposizione al Governo Federale di Transizione (GFT) somalo5. Dopo la sconfitta militare determinata dalla scelta etiope di intervenire in supporto del GFT, l’UCI ha subito un rapido processo di ‘balcanizzazione’ con la frammentazione in tante piccole fazioni. Tra queste, al-Shabaab è rapidamente diventata la più visibile e nota a livello internazionale sia a causa dei suoi legami con la rete jihadista globale sia per il suo messaggio di promozione di una teocrazia regionale. I leader e i principali esponenti del movimento erano da tempo noti alle reti anti-terroristiche internazionali in quanto affiliati ad Al-Qaeda (AQ), e si ritiene che molti di loro siano stati addestrati e abbiano combattuto in Afghanistan. A distanza di alcuni anni, il legame tra i due gruppi venne ufficializzato pubblicamente, ricevendo la benedizione del leader di AQ Ayman al-Zawahiri. Più recentemente, alcuni dei leader dell’organizzazione hanno coltivato l’idea di affiliarsi o addirittura di unirsi allo Stato islamico (IS), noto anche come Daesh6.
Intanto, nel corso degli anni i molteplici attacchi alle roccaforti al-Shabaab compiuti delle forze AMISOM in territorio somalo hanno indebolito l’organizzazione che si è vista privare di siti strategici come Merca e il porto di Kismayu. Nonostante le ingenti perdite e una evidente riduzione di risorse, al-Shabaab ha però sfruttato l’assenza di una struttura statale forte in Somalia per affinare e rafforzare le proprie capacità organizzative e operative all’interno del paese. Allo stesso tempo, il gruppo terroristico ha alimentato il desiderio strategico di infliggere danni significativi non solamente al governo centrale di Mogadiscio ma anche a Nairobi. La capacità di resilienza del movimento a fronte dei tanti cambiamenti e delle spinte provenienti dall’ambiente circostante hanno favorito un processo di trasformazione da organizzazione terroristica strategica a universale.
Secondo Piazza, i gruppi terroristici strategici tendono a mettere in atto azioni guidate da obiettivi limitati e diversificati. Tali obiettivi possono includere la liberazione di un territorio specifico, la creazione di una patria indipendente per un determinato gruppo o il rovesciamento di un governo7. Nella sua prima fase, ossia durante l’occupazione da parte dell’esercito etiope (2006-2009), al-Shabaab rientrava nella categoria del gruppo nazionalistico e di opposizione ad una forza straniera d’occupazione, con un obiettivo strategico ben definito: la rimozione di forze straniere dalla Somalia. Tuttavia, le battute d’arresto e i danni subiti hanno portato l’organizzazione a mutare in maniera significativa, mediante un processo di adattamento al diverso contesto circostante che Bryden ha definito ‘reinvenzione’8. Al termine di tale ‘reinvenzione’, al-Shabaab ha maturato una configurazione i cui caratteri rimandano alla categoria dell’organizzazione terroristica universale o astratta. La differenza principale tra gruppi universali/astratti e gruppi terroristici strategici è che i primi presentano degli obiettivi molto ambiziosi, astratti, complessi e vaghi, e sono guidati nelle proprie azioni principalmente da una forte ideologia. All’interno di tale quadro, attacchi come quelli perpetrati da al-Shabaab in Kenya possono essere definiti ‘atti di propaganda’, poiché sfruttano gli spazi di opportunità esistenti al fine di attirare nuove reclute e diffondere la paura. In altre parole, maggiore e più brutale è l’azione, più il gruppo acquista potere e popolarità nella gerarchia della jihad globale proiettando l’immagine di attore rilevante e potente. Per questo motivo, gli attacchi compiuti dall’organizzazione terroristica in Kenya sono stati caratterizzati da crudeltà e, come nel caso del rapimento della cooperante italiana, da una elevata copertura mediatica. La pubblicità e la rilevanza internazionale di cui ha goduto al-Shabaab nei giorni successivi le azioni compiute in territorio keniota, è servita al gruppo stesso per creare un legame con il mondo esterno, attenuando così la posizione di crescente isolamento in cui si trova in Somalia.
2. Decostruzione della narrazione dominante: perché proprio il Kenya
Diversi studiosi affermano che l’incursione militare del Kenya nella Somalia meridionale (2011), diventata un’occupazione permanente, sia alla base della serie di attacchi terroristici compiuti da al-Shabaab in territorio keniota9. In altre parole, una reazione alla presenza delle forze di sicurezza keniote all’interno dei confini somali. Altri, al contrario, considerano le azioni del gruppo terroristico in Kenya finalizzate ad aumentare il sostegno e l’adesione all’organizzazione da parte dei giovani musulmani kenioti o somali da tempo rifugiatesi nel paese10. Le molteplici affinità storiche e culturali tra la comunità musulmana somala e quella keniota unita ai metodi sommari e a volte brutali adottati dalle forze KDF durante le operazioni antiterrorismo hanno aumentato la diffidenza delle comunità musulmane presenti in Kenya ma, fino ad ora, tale malessere, non si è tradotto in aperto sostegno alla causa di al-Shabaab. Queste due argomentazioni costituiscono i principali assunti della narrazione dominante. Come detto nell’introduzione, il presente lavoro si propone di fornire una interpretazione alternativa; per farlo occorre prima decostruire le tesi della narrazione dominante.
Il primo elemento di criticità di tali argomentazioni è dato dal fatto che il Kenya non sia l’unico attore regionale impegnato nel contrasto ad al-Shabaab né l’unica forza militare straniera presente in Somalia. Oltre ai reparti del KDF, altri paesi tra i quali l’Etiopia, l’Uganda e il Gibuti hanno dispiegato militari sotto l’egida AMISOM. Il Kenya contribuisce alla missione sostenuta dalle Nazioni Unite con circa 3.700 effettivi, un numero inferiore rispetto ai due paesi che contribuiscono maggiormente, ossia l’Uganda (6.300 truppe), e l’Etiopia (4.395). Eppure, sia l’Etiopia sia l’Uganda fino ad oggi non sono stati obiettivo degli attacchi di al-Shabaab.
Un ulteriore elemento di criticità riguarda le motivazioni principali che risiedono dietro gli attentati compiuti in Kenya. Nonostante sia indubbio che al-Shabaab compia attacchi in Kenya con l’intento di esercitare pressioni sul governo di Nairobi affinché cessi il proprio impegno nella Somalia meridionale, ciò non costituisce il movente fondamentale. Infatti, tale interpretazione risulta particolarmente debole dal punto di vista analitico poiché non tiene conto del percorso di sviluppo e modifica – per dirla alla Bryden di ‘reinvenzione’ – attraversato dal gruppo terroristico. Come visto nel primo paragrafo, la resilienza ai tanti mutamenti del contesto circostante, ha portato al-Shabaab a configurarsi sempre più come una organizzazione terroristica universale, di conseguenza a cambiare non sono state solamente strutture e narrazione ma anche gli obiettivi che essa persegue, le cui finalità presentano un carattere maggiormente astratto e di lunga proiezione. In altre parole, in quanto organizzazione terroristica universale è plausibile che al-Shabaab continui a colpire in territorio keniota indipendentemente dalla presenza o meno di truppe KDF in Somalia. Tale affermazione fonda sull’analisi dell’atteggiamento tenuto da al-Shabaab che ha iniziato a compiere operazioni contro obiettivi kenioti ben prima del 2011, anno di intervento delle forze di sicurezza di Nairobi. Furono una serie di attacchi compiuti dal gruppo radicale tra il 2008 e il 2011, insieme ai rapimenti e ai successivi omicidi di turisti francesi e britannici nelle vicinanze del porto turistico di Lamu, a convincere il governo keniota della necessità di inviare l’esercito in territorio somalo.
Un terzo aspetto di criticità presente nella narrativa dominante riguarda il ritorno in termini mediatici delle azioni compiute in Kenya. Nonostante gli strumenti e i canali di comunicazione si siano trasformati rapidamente durante l’ultimo decennio, complice la rivoluzione tecnologica che ha portato alla ribalta i social media, l’obiettivo finale nonché la ragion d’essere delle organizzazioni terroristiche come al-Shabaab è rimasta la sopravvivenza mediante l’acquisizione di rilevanza. Infatti, gruppi universali come al-Shabaab sfruttano il terrorismo come lo strumento «per dimostrare ai loro membri, agli oppositori e al mondo intero l’impegno dell’organizzazione verso la propria c...