In cerca delle api
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In cerca delle api

Viaggio dall'alveare all'ecosistema

Francesco Nazzi

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  1. 160 pages
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In cerca delle api

Viaggio dall'alveare all'ecosistema

Francesco Nazzi

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Un libro per scoprire i segreti dell'altruismo delle operaie o come fanno le api a costruire cellette dalla geometria così perfetta, per conoscere i molti nemici che le minacciano e intuire infine ciò che si può ancora fare per proteggerne la specie. Da anni le api hanno guadagnato l'attenzione dell'opinione pubblica, e non solo per il fondamentale contributo al mantenimento degli ecosistemi naturali o delle produzioni agricole, ma soprattutto per i gravi problemi che le affliggono, falcidiandone le popolazioni. In questo libro sono offerti spunti per capire quello che sta accadendo, attraverso un viaggio attraverso i diversi livelli dell'organizzazione biologica delle api: dagli individui all'ecosistema, passando per la colonia.

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2020
ISBN
9788820398118
1
L’ape
Come ogni essere vivente, l’ape è fatta di cellule: l’unità di base al cui interno avvengono tutti i fenomeni rilevanti per il dispiegarsi della vita. Le cellule dell’ape operaia derivano tutte da una cellula iniziale: l’uovo, prodotto dall’ape regina e fecondato da uno spermatozoo maschile. Questa cellula va incontro a successive divisioni e a un complicato processo di sviluppo che conduce alla formazione degli organi; questi, riuniti in apparati, assicurano lo svolgimento delle funzioni principali dell’organismo: l’alimentazione, l’interazione con l’ambiente, la riproduzione, la respirazione, e così via. Essendo forgiati dalla selezione naturale, gli organi tendono ad assumere forme adeguate alle funzioni svolte, di modo che la forma – oggetto di studio dell’anatomia – può essere considerata insieme alle funzioni – ogget-to di studio della fisiologia.
Mellifera o mellifica? La sistematica delle api
Le milioni di specie attualmente viventi sul nostro pianeta non presentano un’infinita varietà di forme, funzioni e stili di vita, ma possono essere raggruppate in un numero limitato di unità tassonomiche che includono tutti gli organismi che, a causa della comune discendenza, presentano delle caratteristiche in comune. Per questa ragione, l’inquadramento di un animale o una pianta in un sistema di classificazione consente di intuire alcune delle sue caratteristiche per analogia con quelle degli altri membri del raggruppamento. Per esempio, gatti e leoni, nonostante la differenza di taglia, mostrano un’evidente somiglianza nell’aspetto. Queste due specie, infatti, discendono da un comune antenato e vengono raggruppate nella famiglia dei felini, che è inclusa nell’ordine dei carnivori. Di conseguenza, una volta orientati in questo sistema di classificazione, risulterà più facile immaginare, per esempio, le abitudini alimentari dei leoni anche solo guardandoli sonnecchiare nella savana, se solo avremo contemplato un gatto mentre cattura un topo. Ma potremo anche intuire qualcosa a proposito degli artigli con cui dilaniano le loro prede, osservando con attenzione le zampette dei nostri animali da compagnia o, per l’appunto, intuire la propensione alla gregarietà dei leoni a partire dalle abitudini così socievoli dei nostri mici.
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Figura 1.1 Un’ape in volo. Le antenne protese servono a percepire l’odore del fiore, visibile attraverso i grandi occhi composti. Quattro ali molto efficienti permettono il volo di avvicinamento e zampe speciali consentono di trasportare il polline raccolto. Fonte: iStock.com/SumikoPhoto.
Le api sono insetti, ovvero appartengono al raggruppamento tassonomico più numeroso in termini di specie dell’intero regno animale. In effetti, nessuno sa il numero delle specie di insetti ma si stima che siano milioni, contro le diecimila di uccelli e i cinquemila mammiferi finora descritti. È tale la preponderanza degli insetti tra gli organismi viventi che il biologo John Haldane ebbe a dire che il Padreterno doveva di sicuro avere una sfrenata passione per i coleotteri.
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Figura 1.2 Le api sono insetti, come le cavallette, le mosche, le libellule e le cimici. Il raggruppamento degli insetti è di gran lunga il più ricco in specie dell’intero regno animale. Fonte: Wiki Commons/Robert Evans Snodgrass.
In effetti, siamo letteralmente circondati da insetti; solo nelle nostre case ce ne sono decine di tipi, tra cui: mosche, formiche, zanzare, tignole e molti altri. All’esterno poi è facile essere sopraffatti dall’enorme varietà d’insetti che si possono incontrare durante una semplice passeggiata in un prato: farfalle, cavallette, coccinelle, scarabei, api e bombi, solo per citarne alcuni.
Nonostante la grande variabilità, quasi tutti gli insetti condividono alcune caratteristiche morfologiche, tra cui due paia di ali e sei zampe, attaccate a un torace che sul davanti è collegato a un capo con occhi e antenne, mentre dietro si prolunga in un addome segmentato.
Tra gli insetti vi sono dei veri e propri nemici dell’uomo, come l’esercito di divoratori di piante che contende all’uomo una fetta consistente di ciò che coltiviamo per la nostra alimentazione. Pare infatti che più di un sesto della produzione agricola venga distrutto da insetti di vario tipo prima di arrivare sulla nostra tavola. Vi sono anche vettori di agenti patogeni che mentre succhiano il sangue alle loro vittime iniettano microbi responsabili della morte di milioni di persone in tutto il mondo. In effetti, se si mettono in fila per numero di vittime le principali malattie che affliggono l’umanità, ai primi dieci posti se ne trovano tre che sono veicolate da insetti, tra cui la malaria, causata da un plasmodio trasmesso dalla zanzara anofele, che uccide ogni anno mezzo milione di persone.
Qualche insetto però è anche molto utile all’uomo, come alcuni antagonisti dei nemici di cui sopra o altri animaletti che producono sostanze interessanti come, per esempio, il baco da seta (Gullan, Cranston, 1994).
L’ape appartiene alla schiera degli insetti utili, grazie ad alcune sostanze che produce, ma soprattutto per lo straordinario ruolo impollinatore di cui si dirà in seguito. In quest’ultima attività l’ape è coadiuvata da numerosi altri insetti con cui è imparentata: i cosiddetti apoidei. Tra questi vi sono i bombi, dall’aspetto tozzo e peloso, le andrene e gli alictidi, molto simili alle api, i megachilidi che trasportano i granelli di polline incastrati in una spazzola pelosa situata sotto all’addome, e le xilocope, di colore scuro e notevoli dimensioni, che scavano il loro nido nel legno.
Tra gli apoidei sono presenti insetti che si possono collocare in tutte le posizioni possibili lungo una scala ideale che conduce dagli insetti schiettamente solitari a quelli la cui vita sociale è così intensa da risultare obbligatoria.
All’estremità comprendente gli insetti solitari di questa scala immaginaria ci sono sicuramente molte specie di megachilidi, tra cui le comuni osmie. Nei nostri climi l’esponente più diffuso della famiglia è Osmia cornuta che è abbastanza facile da osservare a primavera. Si tratta di un insetto dalla taglia simile a un’ape ma dall’aspetto un po’ più tozzo, con una colorazione scura, salvo che sull’addome rossastro. Sul capo delle femmine sporgono due appendici che le hanno guadagnato il poco simpatico nome specifico. Se proviamo a seguirla mentre vola di qua e di là, ci accorgeremo facilmente che compie incessanti andirivieni tra la vegetazione e il proprio nido. Dalla vegetazione l’osmia ricava nettare e polline che trasporta all’interno di un nido a galleria, costituito, per esempio, da una canna entro cui depone le uova. Le uova vengono deposte una alla volta, insieme a un po’ di nettare e polline a cominciare dall’estremità più lontana dall’ingresso del nido. Poi, terminata la prima celletta di allevamento, l’osmia la richiude con un setto di fango e appronta la seconda celletta e così via fino a riempire l’intera galleria. A questo punto, terminata la sua attività, l’osmia muore. Poco dopo, dalle uova sgusciano delle larvette che consumano un po’ alla volta il cibo che la madre ha preparato e, passando attraverso delle mute, si accrescono progressivamente. Di solito l’inverno le coglie allo stadio di larva e lo sviluppo è completato solo l’anno successivo. Così, all’inizio della primavera, i nuovi adulti escono dai loro nidi, si accoppiano e le femmine ricominciano il ciclo appena descritto.
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Figura 1.3 Le osmie sono tra i più comuni apoidei solitari. Fonte: iStock.com/FCerez.
Nel caso dei bombi invece, a trascorrere l’inverno in un riparo di fortuna sono le regine fecondate che, appena il clima ritorna propizio, iniziano a rifornirsi di cibo per costruire il primo abbozzo del proprio nido. Per questo scopo, i bombi utilizzano spesso una cavità nel terreno, magari già scavata da un topolino e successivamente abbandonata. Dentro questa cavità, le regine costruiscono i primi orcioli, una specie di piccoli otri di cera che riempiono di nettare e polline, su cui depongono un piccolo uovo. Da queste cellette sfarfallano le prime operaie che si assumono i compiti di costruire gli orcioli, curare le larve e procacciare il cibo, mentre la regina si limita d’ora in poi alla ovideposizione.
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Figura 1.4 Un nido di bombi nel terreno. Fonte: Wiki Commons/Panoramedia.
Solo alla fine dell’estate vengono deposte uova femminili e maschili da cui sfarfallano gli individui sessuati che si accoppiano. In autunno, le femmine fecondate, che diventeranno le fondatrici delle nuove colonie, si ritirano in cerca di un ricovero invernale.
Dalle solitarie osmie, che interagiscono con i propri simili solo al momento dell’accoppiamento, fino ai bombi, le cui colonie durano un anno, passando per altre specie che presentano abitudini gregarie solo in occasione della costruzione del nido, ritroviamo vari indizi, frammentari e imperfetti, di un antico percorso che piano piano ha portato a società più stabili, come quelle che possiamo osservare nell’ape domestica.
L’ape domestica è stata battezzata dal padre della sistematica moderna, il naturalista svedese Carlo Linneo, il quale, nel suo monumentale Systema Naturae, parla dell’Apis mellifera (o ape portatrice di miele). Altri autori del passato parlavano invece di Apis mellifica (produttrice di miele), un nome non più utilizzato, ma forse più appropriato per le ragioni di cui diremo più avanti.
L’ape mellifera non è l’unico membro del genere Apis, che, in effetti, comprende altre specie diffuse nell’Estremo Oriente e nel Sudest asiatico. Abbastanza note sono l’Apis dorsata o ape gigante e l’Apis florea o ape nana; entrambe costruiscono all’aperto i loro nidi, formati da un solo favo, gigantesco nel caso dell’ape dorsata o minuscolo nel caso dell’ape nana. All’interno di cavità naturali, invece, costruisce il proprio nido l’Apis cerana o ape orientale, che è assai simile all’Apis mellifera e viene allevata in tutto l’Estremo Oriente (Ruttner, 1988).
L’ape orientale in effetti è un animale molto interessante sotto vari punti di vista. A differenza dell’ape occidentale, ormai largamente diffusa anche in Estremo Oriente, l’Apis cerana è ancora soggetta a tecniche di allevamento tradizionali, in buona parte del suo areale. Così, in Corea quest’ape viene allevata all’interno di tronchi cavi sparpagliati nei pochi boschi rimasti in quel paese altamente antropizzato. Gli apicoltori che se ne occupano sono in effetti dei nomadi che, in cambio di una vita molto spartana vissuta presso i propri apiari, vengono ricompensati con un miele molto prezioso. Infatti questo prodotto, che proviene dai pochi ambienti naturali ancora incontaminati del paese, viene giustamente riconosciuto come la quintessenza della salubrità e pagato molte decine di dollari nelle congestionate metropoli coreane.
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Figura 1.5 Un raccoglitore di miele nepalese preleva dei favi da un nido di Apis dorsata costruito al riparo di uno strapiombo roccioso. Foto: Eric Valli.
All’interno della specie A. mellifera si possono riconoscere entità dotate di caratteristiche peculiari. Si tratta di sottospecie che sono tenute in grande considerazione dall’uomo in quanto possiedono caratteristiche comportamentali che le rendono più o meno adatte all’apicoltura in certe aree del pianeta. Tra queste merita senz’altro una menzione l’ape ligustica, allevata in Italia e distribuita ormai in tutto il mondo a causa della sua produttività e facilmente riconoscibile per le fasce colorate di giallo presenti sull’addome (Ruttner, 1988).
Un ibrido fra due sottospecie ha invece guadagnato il favore delle cronache qualche anno fa. Si tratta dell’ape africanizzata, subito ribattezzata “ape assassina”, frutto dell’incrocio fra api di origine africana e api ligustiche allevate in Sudamerica. Fu creata deliberatamente da ricercatori interessati a un’ape che fosse sia produttiva, come l’ape ligustica, sia adatta a condizioni climatiche subtropicali, come l’ape africana. Purtroppo, le api frutto di questo incrocio, sfuggite al controllo dei ricercatori, conservarono la notevole aggressività dell’ape africana e causarono numerose vittime nei paesi dell’America Latina da queste rapidamente colonizzati. Fortunatamente, dopo una veloce espansione verso nord, le colonie delle api africanizzate arrestarono la loro avanzata nel Sud degli Stati Uniti, bloccate più dalle condizioni climatiche e ambientali che dagli sforzi compiuti per limitare il flagello. Nel frattempo però anche l’industria cinematografica si era accorta del problema, dedicando più di una pellicola catastrofista a questo fenomeno più umano che naturale.
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Figura 1.6 Nella prima città del Texas raggiunta dalle api africanizzate è stata eretta un’impressionante statua celebrativa. Fonte: Wiki Commons/Carol M. Highsmith.
Ma l’uomo non si è limitato a mescolare le carte in Sudamerica, lo fa correntemente quasi ovunque, attraverso l’importazione di api regine da un lato e il nomadismo dall’altro. Nel primo caso, si tratta di apicoltori che, invogliati dalle migliori caratteristiche produttive di una data sottospecie, acquistano regine di quel tipo per popolare i propri alveari di api che presentino le stesse caratteristiche. Si parla invece di nomadismo quando un apicoltore sposta i suoi alveari in un’altra zona per raccogliere il nettare di certe piante che vivono solo lì o per offrire un servizio di impollinazione a qualche agricoltore. In molti casi, questi spostamenti di regine o di alveari avvengono entro brevi distanze, altre volte, però, comportano tragitti molto maggiori che determinano delle interferenze più o meno gravi con il genotipo delle api locali.
Il fenomeno non è privo di conseguenze negative in quanto comporta un generale appiattimento dei genotipi su quelli allevati nelle poche zone da cui proviene la maggior parte delle api regine, con una...

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