La dieta della salute
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La dieta della salute

Che cosa succede quando si cambia alimentazione

Elena Meli

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  1. 160 pages
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La dieta della salute

Che cosa succede quando si cambia alimentazione

Elena Meli

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Un libro che aiuta a districarsi nell'enorme offerta di diete più o meno fantasiose e insegna a conoscere meglio il proprio metabolismo e soprattutto (ri)trovare il vero significato di un'alimentazione sana ed equilibrata. Chiunque ha provato almeno una volta a mettersi a dieta. Pochi tuttavia sanno che cosa succede davvero al cervello e al corpo quando si decide di dire addio ai carboidrati, quando si diventa vegetariani o quando si prova una paleo-dieta o il digiuno intermittente. Per scoprire cosa significa cambiare metabolismo e sapere quali diete funzionano davvero e quali possono essere rischiose. Un viaggio nel corpo a dieta, per capire se e quale regime scegliere per dimagrire (e stare meglio).

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Information

Publisher
Hoepli
Year
2020
ISBN
9788820398439
1
Che cosa succede nel cervello di chi si mette a dieta
Abbiamo gettato il cuore al di là dell’ostacolo, il dado è tratto: da oggi siamo a dieta. Prima ancora di dare un’occhiata a quel che accade al metabolismo o al corpo, qualcosa già inizia a succedere nel nostro cervello. Che, come prima reazione, tira un sospiro di sollievo: si stima infatti che ogni giorno debba prendere una media di duecento decisioni in tema di cibo. Non solo se andiamo al ristorante e dobbiamo scegliere da un ricco menu: dal decidere se mettere sotto i denti o meno l’ultimo boccone di pane a che cosa bere a cena, la giornata è scandita da innumerevoli, minime prese di posizione alimentari. Noi non ci facciamo troppo caso, ma il cervello sì. E si stanca: lui vorrebbe soltanto metterla giù semplice, perché è costantemente impegnato in miriadi di compiti diversi, più o meno consapevoli. Così, se decidiamo di metterci a dieta e si tratta di un regime che esclude uno o più gruppi alimentari senza andar tanto per il sottile, la prima reazione mentale è il sollievo.
Il successo delle diete drastiche
Pensateci: al ristorante il cameriere vi porta un cestino di pane. Se la vostra alimentazione è flessibile dovete iniziare a chiedervi se si tratta di pane integrale o no, in che quantità potreste concedervelo, se sia il caso di barattarlo in favore di un morso di dolce. Se avete bandito i carboidrati, potete rispedirlo indietro senza porvi alcun problema.
Semplice e lineare: la riduzione del numero di decisioni alimentari da prendere nell’arco di una giornata spiega il successo delle diete drastiche, che riducono più o meno all’osso il numero di variabili da considerare e quindi lo stress della valutazione delle alternative.
I piani dietetici che non sono flessibili né variegati, a prescindere dall’effetto positivo o negativo sull’organismo, hanno il pregio di mettere a riposo il cervello: nel mare magnum delle possibilità, indicano una via facile e senza tante discussioni. Ed è un vero antistress: la nostra mente adora la prevedibilità, ciò che è caotico le dà ansia e in ogni momento cerca di indovinare ciò che succederà un attimo dopo per farsi trovare preparata, sempre. Datele regole rigide e si sentirà molto più a suo agio: il livello di stress cala, stare a dieta sembra subito più facile.
C’è però un effetto collaterale, neanche da poco: viviamo nel mondo reale e i cibi della lista proibita ci capitano sotto gli occhi di frequente, per forza. A maggior ragione se il regime alimentare è di quelli che toglie di mezzo un bel po’ di opzioni. Negandoci un lungo elenco di alimenti, questi stessi diventano sempre più evidenti, ineludibili, golosi. Irresistibili. Che fare poi se capita di andare a una festa e siamo circondati da cibi-no secondo le nostre ferree norme dietetiche?
A quel punto l’effetto calmante delle regole in bianco e nero può tramutarsi nell’esatto opposto e farci sentire di aver fallito se cediamo alla tentazione, oppure precipitarci nell’ossessione dell’evitamento a tutti i costi.
Morale, le regole dietetiche ferree all’inizio possono calmare il cervello, ma alla lunga sono stressanti e non funzionano granché, oltre a rovinarci il piacere delle cene con gli amici.
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Perché la dieta inizia sempre lunedì prossimo?
Il momento migliore per iniziare a stare a dieta non è mai qui e ora: è sempre un lunedì a venire, la prossima settimana, il prossimo mese. Un meccanismo perverso per procrastinare lo sforzo che, manco a dirlo, è orchestrato dal cervello: gli psicologi dicono infatti che sia inevitabile tendere a scegliere una ricompensa piccola ma vicina al posto di un vantaggio molto maggiore ma lontano (e che per giunta richiede impegno). Una fetta di pizza adesso ci sembra molto più desiderabile di un valore di colesterolo nella norma fra sei mesi; in più tendiamo sempre a rimandare tutto ciò che ci espone al rischio di un fallimento o ci sembra troppo difficile, oltre che assai poco divertente come una dieta. C’è poi chi è confuso in merito alle regole da seguire e ha solo una vaga idea di voler migliorare l’alimentazione ma non un vero piano, chi non è davvero motivato (la volontà serve eccome), chi tende a essere distratto da qualsiasi altra priorità piuttosto che l’alimentazione.
I motivi insomma sono tanti, ma possiamo ingannare il cervello di un procrastinatore e iniziare finalmente una dieta che funzioni? Innanzitutto occorre stabilire obiettivi realistici, misurabili e raggiungibili: inutile dirsi che ci metteremo a dieta per perdere trenta chili, perché solo l’idea di ciò che servirebbe per riuscirci può far tremare le gambe; meglio puntare a perderne quattro in un mese, facendo un piccolo passo alla volta ed evitando così che nel cervello si accenda la risposta della paura (inevitabile quando sente di non potercela fare) e questa blocchi qualsiasi iniziativa. Quindi, chiediamoci sinceramente che cosa dovrebbe esserci lunedì prossimo di così decisivo per renderlo il momento giusto e proficuo per iniziare: verosimilmente proprio un bel niente, e questo ragionamento eliminerà un ostacolo per iniziare adesso. Infine, cominciamo: spesso quello che sembra impossibile diventa molto meno stressante e si rivela del tutto fattibile se solo si parte. Anche perché iniziare finalmente qualcosa ci fa sentire più ottimisti e in controllo di noi stessi, aumentando le chance di portare avanti con successo il nostro intento.
Cervello primitivo
Qualunque sia la dieta scelta, con regole più o meno rigide e più o meno rilassanti dal punto di vista decisionale, abbiamo iniziato a ridurre l’introito alimentare e il cervello sente arrivare meno cibo del solito. La corteccia cerebrale evoluta sa che lo stiamo facendo per ridurre il girovita, ma il cervello più profondo, ancestrale, ragiona in maniera diversa e la faccenda lo mette un po’ in allarme: c’è forse una carestia in corso?
L’uomo infatti per millenni ha avuto poco cibo a disposizione, doveva letteralmente sudarselo cacciando animali o raccogliendo bacche, frutta, tuberi, erbe. Se da una parte il metabolismo è disegnato in modo da incamerare il massimo ogni volta che mangiamo così da non doverci preoccupare troppo se per un po’ dovessimo saltare i pasti (rendendo non poco arduo dimagrire, come vedremo nei prossimi capitoli), dall’altra anche il cervello ha messo in atto meccanismi di difesa antipenuria di calorie. Appena cala l’apporto calorico, una vocina dentro si mette a strillare che dovremmo cercare cibo, accende la fame, fa scattare la molla atavica che ci spinge a mangiare di più.
I meccanismi principali con cui il cervello si mette di traverso a ogni nostra idea di contenere le calorie sono due, il calo del metabolismo e l’aumento dell’appetito. La sua risposta alla dieta prevede innanzitutto uno stop ai consumi: il cervello invia da subito segnali che fanno diminuire il metabolismo per conservare energia. Non fa una grinza: meno benzina arriva per far funzionare la macchinacorpo, più si risparmiano risorse e si lavora al minimo. Soprattutto viene ridotto il metabolismo basale: si tratta di quelle funzioni che servono per farci semplicemente vivere (respirare, digerire, far funzionare gli organi interni e così via), senza alcun sovrappiù di attività. Viene ridotto all’osso per far sì che non si spenda neanche una caloria di troppo per campare. In secondo luogo, il cervello ci farà tesaurizzare subito ogni caloria che immagazziniamo oltre lo stretto necessario. Facciamo un esempio: se, poniamo il caso, in media ci servono 1500 calorie per vivere, mettendoci a dieta il dispendio necessario potrà per esempio ridursi del 10 per cento e così ce ne basteranno 1350: non appena introdurremo quelle 150 calorie in più per uno sgarro alla dieta, il corpo le immagazzinerà. È un meccanismo compensatorio orchestrato dal cervello che pare possa mantenersi perfino per un anno dopo un periodo di dieta stretta.
Al cervello però non basta: quando sente che mangiamo di meno ci fa pure venire una gran fame, ben più del solito. Lo chiamano “effetto ciambella nella stanza”: se c’è qualcosa di goloso a portata di mano e non siete a dieta, è possibile che non ci facciate molto caso; se invece state lottando con la bilancia, è assai probabile che vi attragga come una sirena. Quando tutti gli sforzi cognitivi superiori sono concentrati nell’evitare di abbuffarsi, il cervello primitivo che lavora in difesa delle nostre cicce (tenetelo a mente, lui pensa ancora di essere un cacciatore nella savana che potrebbe non trovare cibo per settimane) fa sì che alla fine pensiamo solo a quello. Mette in circolo gli ormoni della fame (fra poco li conosceremo) e rende ancora più attraente lo snack goloso che sembra messo lì apposta per tentarci: impossibile resistere. La brutta notizia è che anche il meccanismo compensatorio dell’aumento dell’appetito si mantiene a lungo: un anno dopo una perdita di peso i mediatori della fame in circolo sono ancora più di quanti fossero prima di iniziare la dieta.
Con il “capo” che rema così tanto contro, capite che non rimettere su il peso tanto faticosamente perso è decisamente un’impresa...
Il mio set point è uguale al tuo?
Sicuramente vi state chiedendo perché il cervello è così restio a farci dimagrire. Ok, la storia dell’evoluzione l’abbiamo capita. Ma possibile che siano passati millenni invano e la nostra mente non abbia davvero compreso che oggi l’obiettivo (almeno per gli occidentali) è entrare in una taglia accettabile e non più sopravvivere a un’ipotetica carestia? Fermo restando che la molla evolutiva è potentissima, c’è in effetti anche altro. Perché il cervello ha un set point, un peso ideale che secondo lui dovremmo mantenere: così come è un controllore di tutti gli equilibri dell’organismo, il cervello è anche una sorta di termostato del peso e soprattutto del grasso corporeo che, ricordiamocelo, è la nostra riserva per i tempi duri, perciò il cervello recalcitra all’idea di farne a meno.
La questione, quindi, è anche se il set point stabilito dal vostro cervello sia o meno lo stesso che vorreste voi. Che magari siete in evidente sovrappeso e vorreste perdere venti chili, ma avete un cervello che dopo anni di pacifica convivenza con l’adipe non ha nessuna intenzione di separarsene: lui non è affatto preoccupato che siate magri, è preoccupato che sopravviviate e vi manteniate stabili attorno al set point di peso ideale. Ecco perché quando vi metterete a dieta e inizierete a veder calare l’ago della bilancia, con i meccanismi che abbiamo visto sopra il cervello farà di tutto per intervenire e per riportarvi indietro a quello che ritiene essere il vostro peso forma ideale, in barba a quel che vedete nello specchio o a quello che il vostro medico vi dice sarebbe meglio per voi.
Che cosa fa il cervello? Intanto, vi manda segnali di malessere per farvi desistere dall’intento: capita che all’inizio di una dieta ci si senta stanchi, deboli, facili al mal di testa, un po’ depressi. Poi, soprattutto, vi spinge a mangiare di più, senza che neppure ve ne accorgiate. Al punto che, se anche mantenete un’alimentazione sostanzialmente corretta, fra la tendenza a incamerare più calorie dovuta al calo del metabolismo e l’aumento dell’appetito, è possibile che pian piano riprendiate il peso perso con l’iniziale dieta, drastica o meno. Dobbiamo perciò riuscire a far sentire il cervello a suo agio con un set point di chili e grasso che ci consenta di entrare nella taglia che vorremmo: le nostre abitudini a tavola, lo stile di vita, la quantità di movimento devono inviare al cervello segnali che lo convincano a ritenere giusto per noi un peso più basso. Occorre insomma stabilire un nuovo set point ed è questo l’unico modo perché la dieta funzioni nel lungo periodo: una volta raggiunto il nuovo equilibrio, infatti, anche l’appetito calerà come per magia. Di nuovo, quindi, le diete drastiche per quanto attraenti non possono avere un’efficacia duratura perché abbassano troppo (e troppo all’improvviso) il set point e il cervello inevitabilmente si ribella: meglio, molto meglio scegliere un’alimentazione con cibi non elaborati, tanti vegetali cucinati in modo semplice, cereali integrali. Pare sia questo il regime che fa “dimagrire” anche l’idea che la mente ha di se stessa, ritarando il set point; ma non bisogna avere troppa fretta: servono mesi, a volte anni per far cambiare idea al cervello su quale sia il peso a cui si sente “felice”.
Il corollario assolutamente da non dimenticare? Se anziché mettervi a dieta mangiate tanto (tante calorie, tanti zuccheri, tanti grassi) per un periodo sufficientemente lungo, il vostro set point potrebbe pericolosamente alzarsi. Rendendo sempre più difficile innestare la retromarcia.
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L’effetto yo-yo è tutto nella tua mente
Si dimagrisce, poi si riprendono tutti i chili persi, spesso con gli interessi: è l’effetto yo-yo, un saliscendi con cui il cervello ha molto a che fare. Se infatti non riusciamo a gestire e incanalare l’inevitabile pressione psicologica da dieta, gli ormoni dello stress prodotti in eccedenza avviano tutti i meccanismi che facilitano il recupero del peso, primo fra tutti l’appetito. Che però, quando siamo a dieta stretta, facciamo di tutto per ignorare o sopprimere. Il risultato? Un aumento del rischio di non saper rispondere più bene allo stimolo della fame, rendendoci sordi all’ascolto dei segnali del corpo: aumenta così la probabilità di lasciarsi andare al cosiddetto emotional eating, quando mangiamo per soddisfare un bisogno emotivo più che una reale necessità di cibo, e di essere più vulnerabili agli stimoli ambientali che ci portano a mangiare più di quanto il corpo richiede. Se a questo si aggiunge il maggior pericolo di abbuffate compulsive connesso alle diete rigide (le aree cerebrali della ricompensa di chi è a dieta stretta, per esempio, si accendono molto di più di fronte al cibo spazzatura rispetto a chi non ha perso peso di recente), il risultato è che mettersi ripetutamente a dieta strettissima pare essere proprio il miglior modo per ingrassare, innescando l’altalena del peso.
Chi parla col cervello: gli ormoni di fame e sazietà
Chi dice al cervello che stiamo dimagrendo, come fa poi a indurci a mangiare per tornare a un peso ragionevole (secondo lui)? I “messaggeri” sono gli ormoni, specialmente quelli che regolano la fame e la sazietà.
C’è la leptina, per esempio, che viene prodotta dal tessuto adiposo e controlla il peso e il dispendio energetico: quando il grasso corporeo è sufficiente, ce n’è una buona quantità in circolo, ci sentiamo sazi e non viene voglia di mangiare (tutto però si altera in chi è obeso, perché la leptina in circolo è tanta ma per colpa di una maggiore infiammazione generale dei tessuti c’è una grossa resistenza alla sua azione antiappetito). Anche la colecistochinina e il peptide YY, entrambi prodotti nell’intestino dopo che abbiamo mangiato e specialmente se nel cibo ci sono proteine, grassi e fibra, agiscono sul cervello e mandano un messaggio di sazietà. Leptina e peptide YY inoltre pare siano prodotti anche durante il sonno, il che spiega perché avere problemi di insonnia o dormire poche ore a notte aumenti il rischio di sovrappeso.
Dall’altro lato della barricata ci sono gli ormoni della fame, e la brutta notizia è che i mediatori dell’appetito in pratica sono quasi perennemente espressi, riusciamo a tacitarli solo con uno stile alimentare corretto. Anche q...

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