Toni Morrison, amatissima
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Toni Morrison, amatissima

Goffredo Fofi, Roberta Mazzanti , Franca Cavagnoli, Itala Vivan, Marisa Bulgheroni, Chiara Spallino, Gayatri Chakravorty Spivak, Maria Nadotti

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Toni Morrison, amatissima

Goffredo Fofi, Roberta Mazzanti , Franca Cavagnoli, Itala Vivan, Marisa Bulgheroni, Chiara Spallino, Gayatri Chakravorty Spivak, Maria Nadotti

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Pochi autori hanno saputo come Toni Morrison – premio Nobel 1993 – rendere giustizia ai dimenticati dalla storia, agli schiavi, agli umili, ai perdenti traendo ispirazione dalle creazioni verbali e musicali dei neri d'America, intrecciando realtà e magia, miti, leggende e memorie della cultura afroamericana.

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Figlie e padri, scrittura e assenza in Beloved di Toni Morrison di Alessandro Portelli

“Poi Denver si rialzò e provò una lunga, indipendente falcata”.
(Toni Morrison, Beloved)
Per aiutarmi ad aspettare mio padre
Beloved viene letto abitualmente, e correttamente, come una “maternal narrative” centrata sull’intreccio madre-figlia (“mother-daughter plot”). Nel rapporto fra Sethe e Beloved il rapporto madre-figlia prende la forma di una fusione pre-edipica, semiotica, espressa nel contatto fisico e nel legame linguistico del raccontare materno, “lingua-madre” che intreccia voce, nutrimento e corpo.1 Sarebbe tuttavia sbagliato, come scrive Jean Wyatt, “ridurre l’ambito di significato (di questo libro) a una parabola pre-edipica e nient’altro”2: l’intreccio madre-figlia e le sue implicazioni metaforiche, infatti, sono anche il fulcro di una più ampia rete di ambiguità molteplici e di rapporti complessi. L’energia centripeta generata dal rapporto fra Sethe e Beloved è compensata dalla forma traboccante, espansiva di un testo le cui ambizioni onnicomprensive lo avvicinano a quelle “epiche moderne” che Franco Moretti ha chiamato “opere-mondo”.3
Concentrarsi solo sulla diade madre-figlia4 significa dunque oscurare il fatto che Sethe non ha una, ma due figlie (e due figli maschi), che i suoi figli hanno due genitori, e che questi rapporti agiscono in un contesto storico e culturale specifico e articolato.5 Perciò, sebbene Beloved rimanga indiscutibilmente un testo femminile e nero, centrato sulla maternità e sulla schiavitù, esso non può essere letto in termini di nitide e gerarchiche opposizioni binarie: femminile e maschile, madre e padre, oralità e scrittura, fusione e separazione, presenza e assenza, persino nero e bianco.
In primo luogo, Beloved sfuma e disloca i confini, rivelando contraddizioni e ambiguità non solo fra i termini del paradigma binario, ma anche dentro ciascuno di essi: così, l’ambivalente dialettica fra fusione e separazione è illuminata dalla dialettica fra l’archetipo della maternità e l’esperienza storica della schiavitù, fra l’oralità materna e la funzione della scrittura, fra le immagini fusionali liquide (sangue, latte, acqua), e le figure della separazione (decapitazione, strangolamento).6 In secondo luogo, i temi centrali non sono definiti in forma essenzialistica, ma attraverso il dialogo con i loro opposti: per capire il significato dell’identità femminile e del suo rapporto con l’oralità, dobbiamo allora indagare il discorso che Beloved propone sull’identità maschile e sul suo rapporto con la scrittura.
Questo saggio si occupa dunque dell’altro versante dell’intreccio madre-figlia: il sotto-intreccio figlia-padre. Parlo di sotto-intreccio perché il discorso dell’identità maschile, dell’assenza e della scrittura non contraddice, né “bilancia” l’intreccio principale della maternità, della voce, della presenza e del corpo. Una lettura simile ridurrebbe il testo a una neutra “universalità”, mentre la funzione del sotto-intreccio di cui mi occupo è quella di istituire un contesto operativo dialogico che focalizza il centro simbolico e tematico del romanzo definendone limiti, forme, alternative. Per questo, mi accosterò al testo lateralmente, partendo da personaggi che stanno al difuori della diade madre-figlia: il compagno di Sethe, Paul D, e l’altra figlia di Sethe, Denver, che coltiva la memoria del padre che non ha mai conosciuto.
Jean Wyatt nota che Denver è quella che “prende la via normale della separazione, sostituendo il significante (l’alfabetizzazione) alla connessione fisica col corpo della madre”.7 Tuttavia il percorso di Denver dal pre-edipico al simbolico non comincia solo dopo che lei viene esclusa dalla diade di Sethe e Beloved, ma ha radici in una resistenza molto antecedente. Già nella scena in cui, dopo la partenza di Paul D, le tre donne rimaste (finalmente) sole vanno a pattinare sul ghiaccio e affermano la loro unione sostenendosi a vicenda, Denver cerca anche di muoversi da sola, in un lungo volo indipendente – cade, si rialza, cade, prova ancora.8 Più tardi, Denver “partecipava al gioco, tenendosi un poco indietro per abitudine”, ansiosa e tuttavia riluttante (239).
Nei monologhi in cui Sethe, Denver e Beloved sembrano fondersi in un’unica voce, Denver di nuovo resiste alla fusione nell’atto stesso di cercarla: è lei la sola che non pronuncia l’ambiguo e disperato refrain, “She’s mine”, “è mia”. La sua voce è collocata fra quella di Sethe e quella di Beloved, come se la sua funzione strutturale consistesse nello sforzo di tenerle distinte: “Questa volta”, pensa, “devo tenere mia madre lontana da lei”. I suoi tentativi di assimilarsi con Beloved sono sistematicamente frustrati: la nutre di cibo e di racconti, solo per sentirsi ripetere che “È di lei [Sethe] che ho bisogno. Tu puoi andartene, ma lei è quella che devo avere”. (76) Questo atteggiamento si ripete nel dialogo finale, in cui, se ascoltiamo davvero, non sentiamo tanto una fusione di voci quanto un call-and-response antifonale fra le offerte di Denver e i rifiuti di Beloved:
Quando avevo bisogno di te sei venuta per stare con me [...]
Avevo bisogno del suo viso per sorridere...
Io ti proteggerò.
Voglio la sua faccia [...]
Non amarla troppo.
L’amo già troppo... (215-16).9
Insomma, mentre ostinatamente cerca fusione e presenza, Denver parla soprattutto di separazione e assenza – della decapitazione di sua sorella, della paura di quella cosa misteriosa che c’è in sua madre e che la induce a uccidere, della bambina fantasma, del padre assente. Il suo monologo comincia con “Beloved, è mia sorella”; e continua: “Fin da quando ero piccola era la mia compagna e mi ha aiutato ad aspettare mio papà. Io e lei lo aspettavamo insieme”. (205)
Nomi altrui scritti a mano
Fin dall’inizio, Denver aspetta suo padre. Non l’ha mai visto, quindi non ha diritto a rimpiangerlo: “l’assenza di suo padre non le apparteneva”. (13) Il padre è doppiamente assenza, è un’assenza a cui Denver non ha diritto: “Un tempo l’assenza apparteneva a Nonna Baby. [...] Poi era stato il marito assente di sua madre” e “l’amico assente” di Paul D. Tuttavia, nella sua doppia solitudine, Denver lo aspetta. Crede che sia arrivato lui quando Paul D si presenta al numero 124 di Bluestone Road; più tardi, la prima cosa che gli dice è: “Conosci mio padre?”. (12)10
Come Sethe ha due figlie, Denver ha due storie, una per ciascuno dei suoi genitori: la narrazione materna della sua nascita sul fiume, e le storie che la nonna paterna Baby Suggs (“La madre di mio padre” [77]) le racconta su Halle. La dialettica dell’assenza paterna e della presenza materna è duplicata sul piano formale: infatti la narrazione materna è riportata ampiamente nel testo, mentre quella paterna è presente solo per allusioni e frammenti: “Mio padre avrebbe fatto qualunque cosa per le uova fritte un po’ liquide. Ci inzuppava il pane [...] gli piacevano le cose. Gli animali e gli strumenti di lavoro e i raccolti e l’alfabeto”.11
La storia materna è intrisa di oralità: il flusso della voce di Sethe narrante, la “buona voce” di Amy narrata. La storia paterna invece è connessa con la scrittura: “Lui sapeva fare i conti sulla carta”. Halle era stato l’unico fra gli schiavi di Sweet Home ad accettare l’offerta di Mr. Garner di insegnargli a leggere: “Se non sai contare ti truffano. Se non sai leggere ti battono”. (125) “È stato perché sapeva fare i conti sulla carta”, riflette Denver, “che ha comprato [sua madre] e l’ha portata via da lì... Così, faccio bene a imparare anch’io”. (208) Così: la resistenza di Denver si fonda sull’immagine assente del padre, e il suo “salto nel simbolico” – nell’identità, nella separazione – è legittimato e guidato dall’esempio paterno.12
Così, nata sul fiume nel nome della madre e della voce, Denver partorisce di nuovo se stessa uscendo dall’utero del 124 Bluestone Road sulle tracce del padre e in nome dell’alterità e della scrittura. A casa di Lady Jones, Denver “inaugurò la sua vita di donna. La pista che seguì per arrivare a quel dolce luogo spinoso era fatta di pezzi di carta che contenevano nomi altrui scritti a mano” (“the handwritten names of others” [248]). Il paradigma di presenza materna e assenza paterna si raddoppia nel paradigma post-strutturalista di oralità come presenza e scrittura come assenza, e nella fondazione della maternità come contatto fisico e della paternità come significante culturalmente determinato.13
Incontrandola qualche tempo dopo, Paul D nota che “somigliava più che mai a Halle”. (266) Questa somiglianza fra padre e figlia, dunque, è fondata non sull’essere ma sul divenire, non sull’essenza biologica ma sui processi mentali e culturali rappresentati dalla scrittura. Come dice un antico adagio, “mama’s baby, papa’s maybe”: come dire, madre sempre certa, padre sempre incerto. Beloved suggerisce che forse è proprio l’incertezza di una distanza, una differenza, una scelta culturalmente elaborate quello che rende l’intreccio figlia-padre meno essenziale ma tuttavia indispensabile.14
“Io non ho mai voluto scrivere un libro in cui c’erano solo maschi periferici che non contavano niente”, ha detto Toni Morrison15: “anche in Song of Solomon, per me era importante che Pilate, la figura più forte e resistente, per dodici anni era stata cresciuta dal padre e dal fratello, e aveva imparato da loro un senso del proprio potere, dei propri diritti, della propria indipendenza [...] E naturalmente Denver, in quella casa blindata; ma la nonna le parla del padre, e lei aspetta che lui venga a prenderla. Questo le dà quel tanto di indipendenza che le permette di uscirne”.
Toni Morrison non è certo sola in questo approccio. Anche in Maxine Hong Kingston, nota Suzanne Juhasz, “le strutture narrative suggeriscono che l’evoluzione dell’identità femminile si forma in relazione con la madre in un contesto di connessione e in relazione con il padre attraverso la conoscenza della separazione”.16 Kingston ricorda in China Men come suo padre le ha insegnato a leggere, e si confronta in The Woman Warrior con il “talk-story” orale materno. Morrison sceglie invece di implicare i due paradigmi in un unico testo, intrecciando presenza materna e assenza paterna, presenza come voce e assenza come scrittura, nella costruzione dell’identità.
Costruire se stessi, suggerisce Morrison, significa essere in grado di riconoscere i propri confini, il luogo dove termina il sé e comincia il mondo; significa distinguere se stessi dagli altri e riconoscere gli altri come distinti da sé. Infatti le parole scritte sui pezzi di carta di Denver sono i nomi di altri: la qualità discreta della scrittura e la distanza che essa crea tra fonte e destinatario istituiscono i contorni distinti sia dell’identità, sia dell’alterità. Definendo la paternità come assenza alfabetizzata, Beloved stigmatizza l’irresponsabilità dei maschi, ma suggerisce anche che l’assenza è necessaria quanto la presenza alla costruzione del sé. Così, mentre elabora una critica della mascolinità storica, il testo suggerisce anche gli spazi d...

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