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Distribuzione digitale e futuro dei film

Chuck Tryon

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Distribuzione digitale e futuro dei film

Chuck Tryon

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Cultura On DemandChuck TryonLe tecnologie di distribuzione hanno influenzato l'industria del cinema da sempre. La diffusione massiccia della televisione nell'America degli anni Cinquanta e Sessanta, per esempio, ha rivoluzionato il mondo di Hollywood, portando alla nascita di grandi conglomerati che sono al contempo studi cinematografici e network televisivi. Oggi l'industria sta affrontando una rivoluzione se possibile ancora più grande, iniziata con l'adozione delle tecnologie digitali, che permettono ai film una circolazione più ampia, veloce ed economica, e cambiano il modo in cui questi raggiungono non solo le sale cinematografiche ma anche lo spettatore: sullo schermo di casa, di dimensioni più grandi e in alta definizione, sui laptop e persino sullo spartphone. Grazie a soggetti come Netflix, Amazon e centinaia di altri operatori di video on demand, stiamo vivendo la grande utopia digitale che ci promette di accedere a tutto il cinema realizzato dall'umanità in ogni momento, dovunque ci troviamo. Ma che conseguenze ha tutto questo sull'industria del cinema?Cultura On Demand parla di noi spettatori, delle nostre nuove possibilità e del ruolo più o meno inedito che svolgiamo quando scriviamo un commento sui social riguardo a un film o a un programma tv che abbiamo amato o detestato. E parla del modo in cui i film sono realizzati, finanziati e distribuiti, perché questi cambiamenti hanno ricadute anche sulla creatività, sia mainstream sia indipendente. Il libro offre una cornice teorica e gli strumenti di analisi necessari per comprendere lo scenario contemporaneo, evitando sia le derive apocalittiche di chi crede che il cinema sia morto, sia quelle entusiastiche dei fan delle tecnologie.

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Information

Publisher
minimum fax
Year
2017
ISBN
9788875218799

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DISTRIBUZIONE DIGITALE E INTRATTENIMENTO UBIQUO

In un’intervista a proposito della chiusura di tutti i negozi Blockbuster Video in Canada, Kaan Yigit, presidente di Solutions Research Group, dichiarò che «questo è il decennio di Netflix per i film. Difficilmente i ragazzi di oggi avranno mai idea che una volta bisognasse andare in un negozio fisico per procurarsene uno».1 I commenti di Yigit sottolineavano la mobilità percepita di film e programmi televisivi attraverso una serie di piattaforme e dispositivi, un’evoluzione che sembrava rendere superflue le visite a un videonoleggio. Questi cambiamenti nella distribuzione delle pellicole – precedentemente associata alle copie fisiche dei DVD vendute nei centri commerciali o noleggiate dai locali video store – hanno modificato non solo l’economia dell’industria cinematografica ma anche il valore percepito degli stessi film, creando interconnessioni ancora più profonde tra l’industria del cinema e hub digitali come Apple, Amazon, Netflix e Facebook. Allo stesso tempo, sta cambiando radicalmente il ruolo di rivenditori come Walmart, Target e Best Buy. Anziché limitarsi a vendere dei supporti fisici, Walmart è impegnato in un graduale tentativo di riposizionarsi sul mercato digitale, sia attraverso il proprio servizio di distribuzione digitale, Vudu, sia tramite la partecipazione a un servizio di archiviazione dei film su cloud, UltraViolet. Tuttavia, anche se le industrie dell’elettronica e dell’intrattenimento hanno fatto sforzi significativi per promuovere la distribuzione digitale, non va sottovalutata la persistenza del DVD come formato. Nel 2011 92 milioni di case continuavano ad avere almeno un lettore di DVD o Blu-Ray, e i due terzi ne avevano più di uno. Altri 46 milioni di famiglie possedevano console per videogiochi in grado di leggere i DVD. Infine, nel 2010 la distribuzione digitale rappresentava solo il 13 per cento della spesa per l’home video, lasciando intendere che i supporti fisici restano uno dei modi preferiti di guardare i film.2 A essere cambiati sono il concetto e il valore percepiti dell’artefatto testuale, che si tratti di una pellicola o di un programma televisivo. Questo mutamento di prospettiva è determinato dall’accresciuta mobilità associata alla distribuzione digitale e alla velocità con cui oggi i testi circolano (o in qualche caso non riescono a circolare) attraverso le piattaforme digitali. In questo senso, la mobilità della piattaforma altera non solo l’economia dell’industria cinematografica ma anche le pratiche dei consumatori che cercano un intrattenimento di pochi minuti.
Questo capitolo esamina in che maniera la distribuzione digitale modifica i tradizionali modelli di distribuzione. Ogni tentativo di spiegare queste transizioni incontra delle difficoltà terminologiche. Sarebbe allettante descrivere la distribuzione digitale dei film come «post-sala cinematografica», ma l’uso del day-and-date, in cui le pellicole vengono fatte uscire contemporaneamente nelle sale, in DVD e attraverso il video on demand (VOD), complica ogni rigido calendario distributivo. Soprattutto, risultano modificati i tempi e i luoghi di distribuzione, poiché le visite al videonoleggio o al cinema sono sosti­tuite da una serie di meccanismi che permettono agli utenti di acquistare o noleggiare delle pellicole in qualunque momento e luogo, producendo nuove forme di mobilità degli spettatori. Tuttavia, anche se i servizi di distribuzione digitale offrono le promesse di un accesso ubiquo, ci sono diversi limiti significativi che restringono il quando e il dove gli utenti possono vedere dei film. Perciò, sebbene questo capitolo esamini i molteplici formati e modelli distributivi emersi nell’era della distribuzione digitale, nutro altresì la consapevolezza che questi nuovi modelli potrebbero non soddisfare appieno le promesse di accesso, comodità e convenienza. Ho anche presente che la distribuzione digitale non è una pratica totalmente nuova. Pur essendo diventata più fattibile grazie all’impiego di una banda larga sempre più veloce, l’ampia accettazione della mobilità della piattaforma è il risultato non soltanto di fattori tecnologici ma anche di cambiamenti culturali.
Questi cambiamenti sono comunemente associati a un’infrastruttura mutata, nella quale internet è diventato un luogo per noleggiare, acquistare e scaricare film, spesso per una visione istantanea. Queste pratiche di distribuzione hanno finito per includere diversi metodi – streaming video, download digitali, electronic sell-through (EST) e VOD – e molti servizi offrono anche «armadietti digitali» che consentono ai clienti di archiviare film nel cloud, in modo da non doversi più preoccupare di smarrire una copia fisica o dell’obsolescenza di un vecchio formato. Questi servizi sono affiliati a un gran numero di rivenditori online, siti di video sharing e social network, oltre a essere disponibili come applicazioni attraverso dispositivi mobili quali smartphone e tablet. Di conseguenza, le modalità di accesso degli utenti sono cambiate considerevolmente, passando da un sistema di distribuzione domestico, post-sala cinematografica, relativamente stabile e associato a media fisici – tanto i nastri VHS quanto i DVD – a uno contrassegnato da una profonda incertezza e imprevedibilità. Oltre a distribuire film e programmi televisivi in più formati, i sistemi di distribuzione digitale hanno adottato numerosi modelli di pagamento, a ulteriore dimostrazione di quanto sia grande l’incertezza che hanno davanti a sé gli utenti che vogliono accedere all’intrattenimento. Mentre gli studios cinematografici continuavano a incoraggiare i consumatori a pagare per il possesso permanente di un film o un programma televisivo – sia in un formato fisico sia su un armadietto digitale – gli utenti in genere preferivano pagare per l’accesso temporaneo a una pellicola attraverso servizi di noleggio o di abbonamento, spesso noti come subscriptional video on demand (SVOD). Si è invece ridotta molto la propensione ad acquistare DVD o altre forme di supporti fisici. Di conseguenza, molti distributori, in particolare i network tv, hanno cercato di creare forme artificiali o temporanee di scarsità che aumentassero la domanda per l’acquisto di prodotti mediali, rendendo programmi televisivi o film temporaneamente indisponibili.
Questo capitolo analizza numerose pratiche di distribuzione cinematografiche, a partire dai film in pay-per-view sui canali via cavo e alcuni dei primi esperimenti di distribuzione digitale attraverso servizi legati a internet come DivX e MovieFlix. Sebbene molte di queste prime iniziative fallirono, ci aiutano a illustrare gli iniziali tentativi di Hollywood di raggiungere i clienti indaffarati direttamente a casa, anche se gli studios cercavano di mantenere il controllo sulla quantità di tempo a disposizione degli utenti per guardare un dato film, cosa che, a sua volta, poteva aiutarli a controllare fino a che punto queste pellicole potevano essere condivise. Mi concentrerò poi sull’attuale ecosistema della distribuzione digitale, che continua a essere caratterizzato da una situazione di instabilità e sperimentazione, soprattutto perché gli interessi degli studios e quelli degli aggregatori di contenuti, come Netflix, Amazon e Hulu, non sono esattamente allineati. Perciò, anziché un unico «jukebox celestiale», per usare l’espressione di Chris Anderson, abbiamo una serie di multisale in streaming, separate, che perlopiù forniscono solo un accesso incompleto all’intero catalogo di titoli cinematografici e televisivi. Allo stesso tempo, questi cambiamenti del settore avvengono spesso con una tale rapidità che è difficile documentarli. Questo capitolo cerca allora di chiarire alcune strategie chiave che sono state usate per passare da media fisici come i DVD a sistemi di distribuzione digitale che vanno dallo streaming video all’electronic sell-through. Anziché avere un’unica piattaforma dominante, assistiamo a un proliferare di piattaforme, dispositivi e strategie, sicché il quadro della distribuzione digitale resta tutt’altro che stabile.
Questi cambiamenti possono essere misurati dal flusso del traffico online e dalle dispute tra servizi via cavo come Comcast e servizi di noleggio video come Netflix, diventato una delle maggiori fonti di impiego di larghezza di banda su internet. In effetti, nel marzo 2011 Netflix fu ritenuto la maggiore fonte di traffico internet degli Stati Uniti, responsabile del 29,7 per cento di tutto il picco di traffico a valle, mentre siti simili come BitTorrent e YouTube ne usavano rispettivamente il 10,4 e l’11 per cento. Nel complesso, l’intrattenimento in tempo reale, che comprende sia lo streaming video sia le varie opzioni di streaming musicale, costituiva quasi la metà di tutto il traffico a valle, mentre la navigazione sul web rappresentava solo il 17 per cento.3 In questo senso, i media digitali fornivano una forma persistente di intrattenimento flessibile.
Nelle discussioni al riguardo, questi servizi sono spesso descritti in termini della loro capacità di rompere le barriere della tirannia geografica, fornendo agli spettatori nuove forme di accesso a film che normalmente non vedrebbero. Per esempio, in un articolo del New York Times sulla decisione dell’Independent Film Channel (IFC) di distribuire Vendicami (2009), del regista di film d’azione di Hong Kong Johnnie To, il servizio on demand di IFC è descritto come un modo per consentire ai patiti di cinema di scoprire nuovi talenti: «si apre una nuova vetrina per To e altri registi stranieri e indipendenti che hanno difficoltà a vedere i loro lavori proiettati nelle sale degli Stati Uniti al di fuori di centri urbani come New York e Los Angeles».4 Analogamente, la storia del sito di streaming cinematografico e social network Mubi (in precedenza The Auteurs) mette l’accento sull’incapacità di accedere in rete a pellicole di qualità in maniera legale. Nelle interviste, il fondatore Efe Cakarel ripete spesso di essersi accorto del bisogno di Mubi quando non riuscì a trovare una versione del film di Wong Kar-Wai In the Mood for Love (2000) per riempire una lunga sosta all’aeroporto di Tokyo.5 In entrambi i casi, i film sono descritti come sempre più mobili e gli spettatori sempre più cosmopoliti e desiderosi di accedere a più forme di intrattenimento, spesso mentre si spostano da una località all’altra.
Allo stesso tempo, all’interno del settore si discute molto di quanto gli spettatori siano disposti a pagare per l’intrattenimento. Sebbene il concetto di «coda lunga» di Chris Anderson si basi sull’idea di uno spazio negli scaffali illimitato e di forme di distribuzione praticamente senza ostacoli, divenne presto chiaro che la larghezza di banda e altri costi – compresi i costi iniziali di produzione per realizzare un film o un programma televisivo – rendevano la distribuzione digitale molto più complessa di quanto apparisse inizialmente. Inoltre, la concorrenza per i diritti spesso determina quali contenuti siano disponibili in un dato momento, poiché i produttori di contenuti cercano di massimizzare il valore delle loro pellicole e serie tv. Perciò, anche se la distribuzione digitale sembrava offrire la promessa di una scelta illimitata, gli spettatori si ritrovavano spesso alle prese con un pacchetto mutevole di scelte a disposizione, visto che film e programmi televisivi migrano ripetutamente da una piattaforma all’altra o da un servizio all’altro.
In una delle sue schiette analisi dell’industria, David Poland discute non solo la proliferazione dell’hardware ma anche i cambiamenti legati al software: i contenuti televisivi e cinematografici che oggi gli spettatori sono incoraggiati ad acquistare. Poland evidenzia come i diritti di streaming possono scadere su siti come Netflix, spesso senza preavviso, rendendo difficile sapere che cosa sia disponibile e cosa no; cambiamenti che complicano le promesse sul qualunque cosa, in qualunque momento e in qualunque luogo (anything, anytime, anywhere) associate all’idea della coda lunga. In realtà, questi «problemi di accesso» hanno ispirato la creazione del sito web Instawatcher per individuare le centinaia di titoli di Netflix in procinto di scadere.6 Il sito permette agli utenti di ricercare specifici titoli e avvisa anche i visitatori su alcuni dei titoli attualmente più popolari. Il presupposto implicito di Instawatcher è che il nostro accesso alle versioni in streaming dei film può essere contingente e temporaneo anziché permanente. Questa transitorietà spinge Poland a concludere, con una caratteristica stoccata contro le fantasie di ubiquità: «Quand’è che anything/anywhere è sufficiente? Quand’è che una qualsiasi persona che non sia in pubertà può parlare di two much/too man...

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