Capitolo 1
Tiziana conosce Lui - Il sogno di una vita insieme - Inizia la convivenza
Entrò in casa chiudendo la porta dietro di sé. Salì velocemente le scale e andò in camera dove, poco dopo, la raggiunsi trovandola accucciata sul divano con la testa tra le gambe e le braccia che le cingevano la nuca. Sembrava volesse proteggersi dal mondo, ma l’unica cosa che riuscì a fare fu un pianto disperato e profondo. Conoscevo quel pianto da trentuno anni, quanti ne aveva mia figlia Tiziana. Nonostante fosse ormai una donna, il tono della sua voce era rimasto immutato. Espressione di quella giovinezza spensierata e sognante che lei voleva non finisse mai ma che, purtroppo, la scaraventò in un’esistenza drammatica che le fece conoscere la ferocia dell’animo umano.
Rimasi in piedi davanti a lei, senza riuscire a muovermi. Non so quanto tempo, non ricordo. Il mio sguardo confuso si tramutò in angoscia crescente che irradiava il mio corpo. In quei momenti non riuscivo nemmeno a pormi le domande che escono come un fiume in piena dalle labbra di una madre. Silenzio era il mio, pianto disperato quello di Tiziana. Il leggero tremore mi passò e trovai la forza di sussurrarle: “Tiziana, ora calmati e va’ a dormire”.
“Mamma, ti voglio bene.”
“Anch’io, Tiziana.”
La aiutai a togliersi i vestiti, a infilarsi la camicia da notte e la misi a letto. Ero distrutta.
Il mattino seguente ogni cosa tornava al suo posto. Il rito della colazione, l’ordine domestico e il profumo dell’erba coperta di rugiada restituivano quella consuetudine rassicurante dei gesti noti. Nulla che potesse essere lasciato al caso, a noi piaceva così. Teneva molto non solo alla cura personale, ma anche a ciò che la circondava e che condividevamo da quando era piccola. Ma Tiziana da qualche mese aveva smarrito la sua centralità, peraltro già faticosa per una bambina abbandonata dal padre e con un rapporto difficile con il cibo. Il suo stato d’animo passava sovente da momenti di disperazione a un’incomprensibile lontananza che lei sottolineava con una freddezza nuova, come gli adolescenti che segnano il territorio della loro esistenza marcandolo con toni talvolta esagerati. D’altronde ogni distacco dalla famiglia non è mai lineare e porta con sé tempeste che, nella gran parte dei casi, noi genitori ricordiamo con affetto. Ma mia figlia non era più un’adolescente, aveva trentuno anni.
Io non riuscivo a capire cosa stesse accadendo a Tiziana. Eravamo alla fine dell’estate del 2014 ma già dal mese di giugno i suoi sbalzi di umore erano divenuti più frequenti e avevano amplificato problematiche mai risolte. Capitava spesso che rientrasse a notte fonda senza avvertirmi e le sue giornate erano scandite da un uso ossessivo del cellulare. Quella regola, che come madre mi sforzai sempre di darle, sentivo che stava scivolando via dalla sua vita e avevo la netta sensazione che nemmeno lei si rendesse bene conto della trasformazione in atto. Era una ragazza fragile e insicura in balìa di una mano invisibile che la scuoteva fin nel profondo.
Un pomeriggio di fine agosto Tiziana uscì con la sua macchina senza salutarmi. Non mi disse nulla, né dove andava né a che ora sarebbe tornata. Ormai era così. Io alle volte mi infuriavo, ma capivo che non era quella la strada, non era più una bambina e le cose andavano affrontate in modo diverso. Rimasi un po’ al fresco in giardino in compagnia di mia madre, la nonna di Tiziana, poi quando arrivarono mia cognata e mio fratello, che vivevano con noi, andai in cucina a preparare la cena. In quei gesti di sempre riflettevo in silenzio su quanto stava accadendo. Non amavo parlarne con nessuno, se le mie mani governavano sicure la quotidianità, i miei occhi erano altrove. Cercavo dentro di me in modo spasmodico la chiave per comprendere, tentavo di mettere in relazione i fatti, le inedite intemperanze di mia figlia, le sue nuove frequentazioni. Tutto questo mi destabilizzava, facevo fatica a mantenere la lucidità, anche se ero consapevole di non potermi permettere nulla che avrebbe potuto distogliermi da quella situazione. Come sempre, quando Tiziana usciva e non mi dava sue notizie, iniziava per me il calvario dell’ansia accompagnato dalla stanchezza della giornata di lavoro che gravava sulle mie spalle. Mi mordevo le labbra per non addormentarmi aspettando che tornasse a casa. Poi, nel silenzio della notte, sentii arrivare la sua macchina. Tirai un sospiro di sollievo e feci quei pochi passi per andare in camera mia. Quei passi che, sapevo, erano il tempo che Tiziana impiegava per percorrere il vialetto ed entrare in casa, seguiti dal consueto rumore della chiave nella serratura. Ormai avevo interiorizzato anche quel tempo. Questione di secondi. Motore spento, freno a mano tirato, sportello che si chiude. Poi solo silenzio. Nessuna chiave nella serratura, nessun rumore familiare. Il cuore iniziò a pulsarmi forte e una vampata di calore arrivò fino in viso. Mi strinsi la vestaglia in vita e mi precipitai giù dalle scale fino in giardino. Trovai Tiziana a terra sui gradini d’ingresso della nostra casa. Trattenni un urlo e chiamai a gran voce mio fratello. Dopo un minuto zio Peppe arrivò, la prendemmo per le braccia e la stendemmo sul tappeto in salotto. Iniziai a chiamarla, a scuoterla. Respirava ma non reagiva in alcun modo. Ci rendemmo conto che si era addormentata. Peppe tornò in camera sua e io rimasi accanto a lei per l’intera notte. Il mattino seguente non dicemmo nulla, la tenni tra le mie braccia come le piaceva quando era bambina e iniziò a piangere. Qualche giorno dopo mio fratello mi disse che mia figlia gli aveva confidato di aver avuto una brutta lite con il suo uomo.
Tiziana conobbe Lui verso la fine di aprile del 2014. Più grande di lei, aveva una buona posizione e un lavoro che gli dava un’ottima disponibilità economica.
“Mamma, sono così felice di questa storia che alle volte perdo la concezione del tempo e della realtà. Mi ama e mi ha chiesto di sposarlo, subito. Ti rendi conto, mamma? Finalmente i miei sogni si realizzeranno.”
Per una madre il bene della propria figlia è un imperativo assoluto. Io so, essendoci passata, che l’innamoramento può farti smarrire il senso delle cose. Quando mi sposai mai avrei immaginato che il mio uomo, padre di Tiziana, dopo pochi mesi mi avrebbe tradita, abbandonando per sempre la figlia che insieme avevamo scelto di concepire. So che i figli devono percorrere la loro strada commettendo quegli errori, alle volte inevitabili, che li aiutano a crescere. Tuttavia, conoscendo le vicissitudini di vita di Tiziana e sapendo che si entusiasmava facilmente e con la stessa facilità piombava nella tristezza, sentivo il dovere di aiutarla a capire se il sentimento reciproco che nutrivano era un fuoco di paglia oppure se nel tempo poteva maturare e crescere con loro. Battaglia persa. Non tanto e non solo per ciò che sarebbe accaduto, ma perché in quel momento Tiziana iniziava ad avvertire il desiderio di allontanarsi dalla famiglia d’origine per costruirsi una vita propria. Anche in questo ero combattuta. Per ogni genitore c’è sempre una prima volta. Non sapevo fino a che punto spingermi per invitare mia figlia a un’obiettiva valutazione delle cose senza apparire invadente nel suo legittimo desiderio. Dopo un po’ di discussioni in cui era costante il mio sforzo per non urtare la sua sensibilità, l’unica cosa che riuscii a dirle era di non fare scelte affrettate. In fondo, le spiegai, che il tempo avrebbe aiutato entrambi a capire se la scelta fosse quella giusta oppure no. Io parlavo, ma Tiziana era assente. Avevo la sensazione che vivesse un progetto che non mi era chiaro fino in fondo, anche se le parole di mia figlia e le dichiarazioni d’amore di Lui mi portarono a non soffermarmi quanto necessario su dettagli di cui, purtroppo, mi resi conto solo quando era ormai troppo tardi.
Fu così che Tiziana decise di farmi conoscere Lui. Se non ricordo male era la metà del mese di maggio del 2014. Era emozionata già dalla sera prima e si alzò di buon’ora. Un giorno importante che avrebbe svelato il suo passaggio dalla giovinezza all’età adulta. Un progetto di vita che nasce è un evento che riempie di gioia non solo chi lo realizza, ma anche chi da fuori ne segue la fioritura. Quella mattina mi alzai presto e, quando uscii dal bagno per andare in cucina a prepararmi il caffè, vidi Tiziana che stava già facendo colazione.
“Ciao, buongiorno Tiziana”. Silenzio.
“Oh, Tiziana! Buongiorno eh?!”
“Ah scusa, mamma, ero sovrappensiero. Buongiorno!”
“A che ora arrivate oggi?”
“Sicuramente prima dell’ora di pranzo.”
“Come ti senti?”
“Bah, normale.”
“Te lo chiedo perché ieri sera ti ho vista particolarmente felice per l’incontro di oggi.”
“Sì, è vero. Hai ragione. Ma stamattina non è così e non capisco perché…”.
Questa ormai era la costante: passare dall’euforia della sera prima alla malinconia di quella mattina che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto essere una giornata di festa. Mi stavo abituando, ma non riuscivo a capacitarmi di quanto fossero estremi i suoi sbalzi d’umore e, soprattutto, del fatto che alle volte sembrava assorta in una tempesta di pensieri di cui non ebbi contezza fino alla primavera del 2015. Uscì poco dopo senza altre spiegazioni. Erano ormai le nove passate, andai da mia madre per farle un po’ di compagnia. Tiziana le voleva molto bene e, spesso, passavano del tempo insieme. Quel tempo che faceva tornare mia figlia fanciulla con i suoi ricordi e quelle abitudini che ogni bambino desidera per non sentirsi smarrito. Era molto affezionata anche al nonno, mio padre. Quando morì, lei era appena adolescente e fu un passaggio molto duro della sua vita.
Poco dopo le dodici li sentii arrivare. Scesi le scale e andai loro incontro. Ci salutammo, li feci accomodare e preparai un caffè. Quando tornai dalla cucina con il vassoio e le tazzine vidi Tiziana con lo sguardo basso, in silenzio. Lui mi vide e iniziò a parlare. Parlava solo Lui, frasi di circostanza un po’ vuote. Nessuna emozione nelle sue parole, solo lo sguardo fisso su di me. Con la voce ipnotizzava e con gli occhi comunicava altro. Sfuggente, incomprensibile. Non capivo cosa ...