Demoni popolari e panico morale
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Demoni popolari e panico morale

Media, devianza e sottoculture giovanili

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Demoni popolari e panico morale

Media, devianza e sottoculture giovanili

About this book

L'accurato studio di Cohen analizza come nell'Inghilterra degli anni Sessanta la devianza dei Mods e dei Rockers è stata affrontata dalle autorità e dai media. Spesso questi fenomeni hanno generato reazioni di cosiddetto "panico morale", alimentando leggende metropolitane e forti pregiudizi nei confronti dei nuovi giovani. Cohen contribuisce a ricostruire l'immagine della devianza nella comunicazione di massa, fornendoci un modello di fondamentale importanza per lo studio delle sottoculture ma anche di fenomeni ben più recenti (dal terrorismo all'immigrazione), che a un tratto squarciano la routine del quotidiano e innescano l'interesse ossessivo dei media.

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Information

1.
La devianza e il panico morale
Di tanto in tanto, le società sembrano essere soggette a veri e propri periodi di panico morale: una circostanza, un episodio, una persona o un gruppo di individui spiccano a tal punto da venire considerate una minaccia estrema ai valori e agli interessi dell’intero sistema sociale. La loro natura è presentata in maniera stilizzata ed estremamente stereotipata dai mass media, cosicché si giunge ad erigere barricate morali grazie a giornalisti, vescovi, politici e altre persone fin troppo giudiziose. Esperti accreditati esprimono diagnosi e soluzioni che sono elaborate ex novo o, più frequentemente, riproposte ogni volta in modo diverso. In alcuni casi l’elemento scatenante scompare e sprofonda nel nulla, mentre in altri, si acuisce e diventa più visibile. A volte l’oggetto del panico è totalmente nuovo, altre volte invece è un seme che esiste da molto tempo ma che germoglia e giunge improvvisamente e prepotentemente alla ribalta. Talvolta, il panico morale viene superato e poi dimenticato ma può comunque permanere nel folclore e nella memoria collettiva a lungo. In altri casi esso mostra ripercussioni più durature e potrebbe produrre cambiamenti di enorme entità, pari a quelli di carattere politico, giuridico o addirittura una mutazione della modalità in cui la società vede se stessa.
Una delle tipologie più ricorrenti di panico morale in Gran Bretagna fin dalla guerra è stata associata alla comparsa di varie forme di cultura giovanile – in origine quasi esclusivamente proveniente dalla classe operaia, più recentemente anche dalla classe medio borghese o studentesca – il cui comportamento è deviante o delinquente. Con un maggior o minor grado d’intensità, queste culture manifestano un certo legame con la violenza. Teddy Boy, Mod e Rocker, Hells Angel, Skinhead e Hippie sono tutti fenomeni di questo genere. Vi sono state reazioni simili al problema della droga, alla militanza studentesca, alle dimostrazioni politiche, all’hooliganismo calcistico e alla violenza di strada in generale. Gruppi come i Teddy Boy, i Mod e i Rocker sono peculiari nel loro essere identificati, non solo in termini di eventi distinti, come le frequenti dimostrazioni di strada, o particolari forme di comportamento moralmente “disdicevole quali l’assunzione di droghe o la violenza” ma anche come reali gruppi sociali con specifiche caratteristiche strutturali. Nella sempiterna galleria di stereotipi che la società esalta per mostrare ai suoi membri quali ruoli dovrebbero essere evitati e quali emulati, questi gruppi hanno occupato una costante posizione di demoni popolari (folk devil), promemoria osservabili di tutto ciò che non dovremmo mai e poi mai essere. Le identità di tali tipologie sociali sono di pubblico dominio nel senso che essi hanno simboleggiato – sia per come si mostravano, sia per come ad essi ci si contrapponeva – buona parte del cambiamento sociale che è avvenuto in Gran Bretagna nell’arco di circa vent’anni.
In questo libro, voglio trattare uno studio dettagliato sul fenomeno dei Mod e dei Rocker, che si estese per gran parte degli anni ’60, illustrando alcune delle caratteristiche intrinseche alle manifestazioni collettive di devianza giovanile nonché dei panici morali che esse generano nei corsi e ricorsi storici e dai quali paradossalmente, dipende proprio la loro crescita. I Mod e i Rocker sono due dei molti gruppi urbani per i quali verranno ricordati gli anni ’60 inglesi. Un decennio non è solo un arco di tempo, bensì un periodo misurato attraverso il suo legame con specifiche tendenze, mode, manie, stili o – in senso meno effimero – un certo spirito o kulturgeist. Un termine come “gli anni venti” è sufficiente a evocare la condizione culturale di quel periodo, e benché siamo temporalmente troppo vicini agli anni ’60 perché emergano già tali conclusioni esplicite, non sono mancati tentativi in questa direzione da parte degli studiosi della storia culturale. Negli immensi album di istantanee culturali del decennio che già sono stati raccolti1, i Mod e i Rocker sono situati fianco a fianco ad altri personaggi e scenari degli anni sessanta: alla grande rapina al treno, ai gemelli Kray, ai Richardson, ai Beatles e ai Rolling Stones, al vescovo di Woolwich, al giornale satirico Private Eye, a David Frost, alla creatività di Carnaby Street, agli omicidi delle brughiere, al pensiero politico di Enoch Powell e al caso della Rodesia come gli stilemi degli anni sessanta.
All’inizio del decennio, il termine “modernista” si riferiva semplicemente a un modo di vestire, mentre il termine “Rocker” era poco conosciuto all’infuori dei piccoli gruppi di ragazzi che s’identificavano in questo stile. Cinque anni più tardi, fu un redattore giornalistico a considerare gli avvenimenti dei Mod e dei Rocker come “senza precedenti nella storia inglese” e si mormorava che addirittura fossero stati inviati dei rinforzi militari per prevenire possibili disordini diffusi. Ora, dopo altri cinque anni, questi gruppi sono del tutto scomparsi dalla coscienza pubblica, rimanendo solo nella memoria collettiva come uno dei mali sociali del passato. L’ascesa e la caduta dei Mod e dei Rocker contiene, in realtà, tutti quegli elementi grazie ai quali si potrebbero generalizzare e definire i mali sociali e i panici morali odierni. A differenza del decennio precedente, che aveva prodotto solo i Teddy Boy, questi anni furono testimoni del rapido passaggio da un folk devil ad un altro: il Mod, il Rocker, il Greaser, il militante studentesco, il consumatore di droghe, il vandalo, l’hooligan nel calcio, l’Hippie e lo Skinhead.
Né i panici morali, né le tipologie sociali hanno ricevuto molta attenzione sistematica da parte della sociologia. Nel caso del panico morale, le due strutture più rilevanti derivano dalla sociologia dei problemi giuridici e dalla sociologia del comportamento collettivo. Sociologi come Becker2 e Gusfield3 hanno preso i casi del Marijuana Tax Act e delle leggi proibizioniste rispettivamente per mostrare come si generi la preoccupazione pubblica rispetto a una particolare condizione, come si metta in atto una “crociata simbolica” che, grazie alla pubblicità e alle azioni dei gruppi d’interesse, sfocia in ciò che Becker chiama moral enterprise (impresa morale): “La creazione di un nuovo frammento della costituzione morale della società”4. Altrove, Becker5 sfrutta la stessa analisi per affrontare l’evoluzione dei problemi sociali nel loro complesso.
Il campo del comportamento collettivo offre un altro orientamento rilevante per lo studio dei panici morali. Ci sono resoconti dettagliati di episodi di isteria di massa, delirio e panico, e anche una raccolta di studi su come le società affrontano l’improvvisa minaccia o il disordine causati da catastrofi naturali.
Lo studio dei tipi sociali può anche essere collocato nell’ambito degli studi sul comportamento collettivo, non tanto nelle analisi più estreme delle folle o dei moti di ribellione, ma nell’orientamento generale elaborato da interazionisti simbolici come Blumer e Turner. Su questa linea teorica Klapp6 ha rivolto esplicita attenzione alle varie categorie sociali ma, sebbene consideri che tipizzazioni quali l’eroe, il criminale e il buffone servano da modelli di ruolo per la società, egli si preoccupa maggiormente di classificare le varie sottocategorie all’interno di questi gruppi, ad esempio, “il rinnegato”, “il parassita”, “il corruttore” come ruoli criminali, indicando inoltre i nomi di quelle persone che gli americani considerano come esemplificativi di determinati ruoli sociali. Tuttavia, egli non si interessa ai modi in cui avvengono tali classificazioni, anzi arriva ad esprimere una sostanziale approvazione nei confronti dei processi che facilitano il consenso sociale, incentivando l’identificazione con il ruolo dell’eroe o l’odio nei confronti del criminale.
Il principale contributo allo studio del processo di tipizzazione sociale deriva dall’approccio interazionista o transazionale alla devianza. Esso si focalizza sui modi attraverso cui la società etichetta i trasgressori delle regole in quanto appartenenti a un certo gruppo deviante e su come, una volta che l’individuo rientra in una certa categoria, le sue azioni siano ormai interpretate in riferimento allo status che gli è stato assegnato. È a questo insieme di teorie che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione nello studio dei tipi sociali e del panico morale.
L’approccio transazionale alla devianza
Lo studio sociologico del crimine, della delinquenza, dell’assunzione estrema di droghe, dell’infermità mentale e di altre forme di comportamento socialmente deviante o problematico, ha subito nell’ultimo decennio un radicale riorientamento. Quest’ultimo è parte di ciò che potrebbe essere definita la “rivoluzione scettica” nella criminologia e nella sociologia della devianza7. Possiamo definire tale tradizione come “canonica” nel senso che essa reputava il suo bagaglio concettuale come autorevole, comunemente riconosciuto, prestabilito e incontestabile. La nuova tradizione di pensiero è più scettica nel senso che, quando incontra termini come “deviante” si domanda “deviante per chi?” oppure “deviante da cosa?”, al contrario, quando si afferma che qualcosa è un problema sociale essa si domanda “problematico per chi?”, così quando certi comportamenti sono descritti come disfunzionali, imbarazzanti o pericolosi, essa si interroga su “chi lo dice?” e “perché?”. In altri termini, non si suppone che questi concetti e descrizioni abbiano uno status definitivo o dato per certo.
L’esistenza empirica di forme di comportamento etichettate come devianti e il fatto che l’individuo potrebbe decidere consciamente e intenzionalmente di essere deviante, non dovrebbe portarci a considerare la devianza come la proprietà intrinseca di un’azione e neanche una qualità propria dell’attore che la compie. L’elaborazione di Becker sulla natura transazionale della devianza è stata ad oggi citata nelle ricerche talmente spesso che ha virtualmente acquisito un suo proprio valore canonico:
La devianza è creata dalla società. Con ciò non intendo dire – come si fa di solito – che le cause della devianza risiedano nella situazione sociale...

Table of contents

  1. Introduzione
  2. Introduzione alla terza edizione Panici morali come politiche culturali
  3. 1. La devianza e il panico morale
  4. 2. L’inventario
  5. 3. Reazione: opinione e temi di atteggiamento
  6. 4. Reazione: le fasi di salvataggio e cura
  7. 5. Sulle spiagge: l’allarme e l’impatto
  8. 6. Contesti e ambienti: la gioventù negli anni sessanta