Elena Ledda
EL – Allora, prima di incontrarci avevo alcune cose in mente e ho anche riflettuto un po’ sulla mia carriera, perché questo mi aiuta a mettere in chiaro alcune questioni. Così mi sono ricordata che, in qualsiasi parte del mondo io canti, dall’Europa agli Stati Uniti, non c’è mai scritto “Elena Ledda, Italia”, ma “Elena Ledda, Sardegna”. Un fatto, che fuori non abbiano mai scritto “italiana”, e chiaramente io l’ho sempre vista come una cosa normale, non ho mai pensato: “come mai...”. Era normale; d’altronde spesso dico: “Vado in Italia”, quando vado in continente, e anche quando compilo un curriculum, mi viene da scrivere che ho cantato in Sardegna, in Italia e nel resto del mondo; qualcuno ride e dice: “Come...”. Eppure è così, perché noi siamo italiani per statuto, certo, ci hanno detto che siamo italiani, ma tutti noi sappiamo di essere prima sardi, e qualcuno poi sardo e europeo, qualcuno più sardo e italiano e europeo, ma tutto parte dalla sardità. Io devo dire che da ragazza il problema di essere anche italiana non me lo sono mai posto: ero sarda, punto. Certamente, se andavo negli Stati Uniti lo dicevo, ma se andavo in Europa non avevo la necessità di dirlo, perché tutti sanno cos’è la Sardegna. Se andavo a New York e dicevo “Sardegna”, capitava magari che qualcuno dicesse: “Ah, Gigi Riva...”. Sapevano dov’era la Sardegna perché era legata a Gigi Riva; ad altri dovevi aggiungere “Italia”. Quindi, per me questa cosa è normale, scontata. Io prima di tutto sono sarda, pur non essendo stata mai una militante indipendentista; mai ne ho sentito la necessità. Chiaramente, negli ultimi anni qualche problema me lo sono posta, mentre prima, sino a tutto il Duemila, probabilmente, per me era sufficiente essere sarda ed essere di sinistra, e quindi mi ritrovavo nel pensiero di Gramsci, di Lussu, di tutti questi grandi. Non avevo l’esigenza di militare in un partito come il Partito Sardo d’Azione, o proprio indipendentista; mi sentivo, ahimè, tutelata da un partito di sinistra, cosa che ora… Ripeto, non mi sento tutelata più da nessuno, non mi sento tutelata nella parte più importante, non mi sento tutelata come italiana, figurati come sarda, nella parte più importante della nostra identità, che è la nostra cultura e la nostra lingua. Non si può prescindere, non si può parlare di cultura sarda senza parlare di lingua sarda, pur riconoscendo che i nostri più grandi scrittori hanno scritto in italiano, però...
GC – Una questione che più avanti ti chiederò di riaffrontare, quella della lingua sarda, perché, secondo me, è un problema ancora sul tavolo, forse più urgente che mai..
EL – Penso agli anni Settanta-Ottanta, i tempi delle grandi militanze, dove la cultura era al centro dei partiti di sinistra; anche loro, però, hanno fatto un grandissimo errore in quel campo, errore che io già contestavo all’epoca. Per capirci, non si sono rifatti a Gramsci, che diceva che la lingua sarda era una parte fondamentale della nostra cultura. C’è stato invece un allontanamento dalla lingua, la lingua sarda la parlavano solo nei paesi, nelle città era cancellata totalmente, o la parlavano solo quelli che, come noi, facevano “la musica sarda”…
GC – Tu vieni da una famiglia che con te parlava il sardo? O anche tu, come tanti uomini e donne sarde..
EL – Io sono una parlante sarda, la mia prima lingua è il sardo; ancora adesso lo parlo non solo con la mia famiglia, ma anche con i miei amici. Con gli amici d’infanzia io parlo praticamente sempre in sardo, e anche con altri, ora che c’è più coscienza. Magari da ragazzi parlavamo sia sardo che italiano; adesso prevalentemente parliamo sardo, ma non è che lo parliamo per salvaguardarlo, anche perché se non lo parlano i figli.. Lo parliamo perché non abbiamo quella vergogna che si aveva prima, che bisognava parlare il sardo in casa e fuori sempre in italiano; questa cosa, grazie a Dio, è superata, quindi lo parlo con le mie amiche al telefono, e lo parlo con Paolo Fresu, con tutti gli amici musicisti che sono parlanti sardi come me, di madrelingua; penso a Gavino Murgia, a Luigi Lai.. Be’, Luigi Lai ha una certa età, è ovvio; ma anche col macellaio.. È normale, è la mia prima lingua.
GC – La sindrome della lingua inferiore è superata, però le generazioni appena precedenti alle nostre, penso a quella dei miei genitori, che sono persone di più o meno settant’anni adesso, be’, loro quel lavaggio del cervello l’hanno subìto..
EL – Ma l’hanno subìto anche i miei. Quando io parlo di lingua sarda, penso a mio padre in particolare. Io sono l’ultima di casa, anzi, la penultima con cui i miei genitori non si sono posti il problema di parlare il sardo. Invece negli anni Sessanta, quando sono nate le ultime due sorelle, già era arrivato il momento che si dovesse parlare per forza in italiano. Quindi mia madre ha subìto anche lei questo approccio, e ha chiesto a suo fratello, che insegnava Lettere, se dovesse cambiare, rivolgersi, parlare con i figli in sardo o in italiano. Mio zio aveva risposto: “Po caridadi, no fatzas dannu, chistiona sardu che l’italiano lo imparano a scuola”. [Risate] Questa cosa mia madre l’ha ascoltata, ed è successo che mio padre, quando io ho avuto mia figlia, quando la portavo da loro, si rivolgeva a lei in italiano, e io gli ho detto: “Ba’, chistionadda in sardu a sa pippia, asinunca de chini ddu imparat?”. E mio padre rispose così: “Boh, prima mi narànt de chistionai italianu, ca no tocat a chistionai in sardu, imoi ca depu chistionai in sardu”. [risate] Diciamo che noi abbiamo vissuto questa schizofrenia, il sardo si doveva cancellare, facendo danni incredibili; adesso tutti cercano di riacchiapparlo, facendo danni uguali perché chiaramente, se il sardo non lo parli sempre, rischi di parlare una lingua come quella che si sente spesso in città, che è una lingua che non esiste. Va bene, certo, io non sono così purista, però le parole in sardo ci sono tutte, non è vero che non ci sono, basterebbe andare a cercarle, e ricordarsele.
GC – è un discorso complesso. Si aprono subito una serie di possibilità, di ragionamenti in una direzione e nell’altra. Tendo ad essere d’accordo con te; non credo esistano soluzioni perfette anche perché, come sappiamo bene, è un fenomeno che riguarda tutte le lingue del mondo, cioè ci sono lingue egemoniche e lingue subalterne in ogni momento..
EL – Certamente, anche l’italiano.
GC – Anche l’italiano è una lingua subalterna, certo, per quanto abbia ancora una forza numerica...
EL – Anche una forza letteraria...
GC – Sì, di fascino culturale che ancora si irradia; da poco, tra l’altro, sorprendentemente per le mie orecchie, mi diceva un’amica che ha insegnato e ha conosciuto la situazione turca, che dopo l’inglese e lo spagnolo, lì è l’italiano la lingua più ambita...
EL – Anche negli Stati Uniti, è incredibile.
GC – Negli Stati Uniti, probabilmente, è legato anche al numero importante di italo-americani; comunque, è la prova del suo fascino culturale…
EL – Il fascino culturale è assolutamente importante. Comunque, io nutro per la lingua sarda una preoccupazione che è anche quasi una certezza; penso a mia figlia, per esempio. Capisce il sardo totalmente, è anche in grado di parlarlo, ma non è la sua lingua, e nonostante noi le parliamo in sardo, mia mamma le parli in sardo... Lei lo parla solo con noi, non ha un’amica con cui può parlare il sardo, e questo è un errore scolastico clamoroso, anche per la facilità di acquisire le lingue che offre il bilinguismo. È scientificamente provato che tutti i popoli bilingue imparino prima le altre lingue; lo dimostrano gli svizzeri, gli spagnoli che parlano spagnolo e catalano. Quando tu impari due lingue dalla nascita, è facile che ne impari altre tre o quattro.
GC – Certo, hai potenziata da subito quel tipo di abilità...
EL – Mia figlia, che è in grado di capire il sardo e l’italiano, per lei è uguale, in inglese non ha problemi. Le...