Capitolo primo
Dr. Video e Mr. Clip
Origini, tendenze, tipologie
“Music video”, “pop promo”, “promo clip”, “picture music”, sono alcune delle definizioni attribuite a quella che generalmente conosciamo come opera video di pochi minuti che traduce in immagini un brano musicale. Ma quando è nato il “clip musicale” o “videoclip”, per usare termini nostrani? Difficile stabilirlo, poiché molti sono i progenitori di questo medium. Resta comunque il 1975 l’anno cui risale il primo clip vero e proprio: Bohemian Rhapsody dei Queen, diretto da Bruce Gowers e costato appena 7000 sterline.
Per la prima volta le immagini non si limitano a riprendere la band da diverse angolazioni, ma tentano di creare un equivalente visuale della musica. Ha detto Gowers:
Lo spunto creativo per il video è nato dalla copertina dell’album Queen II, dove i volti dei quattro membri della band appaiono in una cornice quadrata su fondo nero. […] Tutte le idee successive sono venute fuori ascoltando il brano. Ogni qualvolta si sente l’eco nella canzone, lo abbiamo tradotto visivamente, moltiplicando le loro facce attraverso un effetto di scia.
Paradossalmente Bohemian Rapsody nel suo ridurre i volti dei Queen a quattro effigi lugubri mangiate dall’oscurità e nel deformare il volto di Mercury con una “videata” (l’effetto di scia elettronica classico di un’epoca in cui la televisione si intreccia con la videoarte), codifica quasi un ossimoro iconografico della videomusica, che si configura – come vedremo – all’insegna del glamour.
Accanto a Gowers, che girerà video per i Genesis o Rod Stewart, gli altri pionieri di questa preistoria del clip sono l’australiano Russel Mulcahy e John Weaver, fondatori delle prime case di produzione specializzate in questo settore. Sempre nel ’75, tuttavia, i Residents, una band americana che ha rivolto una particolare attenzione agli aspetti visuali, realizza il mini-film musicale, Third Reich & Roll, con uno stile fortemente sperimentale che finisce col caratterizzare tutta la loro produzione audiovisiva.
Il termine post quem da cui far partire ufficialmente la storia del videoclip è il 1981, anno in cui nasce l’emittente televisiva statunitense mtv, il primo canale dedicato esclusivamente alla diffusione della “musica da vedere”, così come recitava il sottotitolo di una coeva trasmissione della televisione italiana, Mister Fantasy, che vanta sicuramente una primogenitura nel nostro paese. Ma un’altra data importante è il 1983, anno in cui esce Thriller di Michael Jackson, diretto da John Landis che – riprendendo ambientazione ed effetti speciali del suo singolare horror An American Werewolf in London [Un lupo mannaro americano a Londra, 1981] – lancia la moda dei cineasti chiamati a girare video musicali. Thriller inoltre, segna anche un altro record: è il primo clip che, pur di trasmettere in anteprima, mtv pagò a suon di dollari. Fino a quel momento il network della videomusica tendeva ad escludere dal proprio palinsesto i clip di artisti afroamericani, adducendo varie scuse tra cui quella che il suo target, costituito dai teenager bianchi delle aree rurali e suburbane, gradiva solo il rock dei performer bianchi e rifiutava la musica per neri, ascoltata nelle grandi metropoli non coperte dal segnale dell’emittente. La vera ragione, tuttavia, era chiaramente di ordine razziale. Il primo a ribellarsi sui media fu Rick James, ma anche David Bowie nel mezzo di un’intervista con il veejay Mark Goodman lanciò pesanti accuse sul rifiuto del canale televisivo: “sembra che ci siano molti artisti black che hanno video molto belli, e sono stupito che non vadano in onda su mtv”. A quel punto intervenne direttamente la cbs che minacciò mtv: nel caso in cui non avesse trasmesso il clip Billie Jean di Michael Jackson, la casa discografica non gli avrebbe concesso i promo degli artisti pubblicati dall’etichetta. mtv cedette e si aprì la strada per Prince, Lionel Ritchie, Donna Summer e altri. L’album Thriller, grazie ai video programmati dall’emittente, arrivò a vendere 25 milioni di copie solo negli usa e naturalmente questo giovò alla stessa mtv, che in seguito coprì interamente (di nascosto, per non creare un precedente) il budget del videoclip del brano Thriller, costato la cifra record di un milione di dollari.
Dieci anni dopo, come ricorda Frédéric Martel, mtv si trova a dover risolvere un’altra questione legata all’audience afroamericana: i videoclip di gangsta rap considerati violenti e sessualmente troppo espliciti:
Dopo aver consultato avvocati specializzati, la direzione dell’emittente decide di rischiare mandando in onda a ripetizione i video di uno dei gruppi rap più estremi, più misogini, più intolleranti nei confronti dei gay e più tolleranti sull’uso della droga. Dal 1998 gangsta rap salva mtv che ritrova così una solidità economica e unisce alla sua programmazione per un pubblico di massa una musica nera comunitaria radicale in forte espansione. In quell’anno, l’hip-hop fa segnare una vendita di ottantuno milioni di dischi negli Stati Uniti, acquistati da un pubblico bianco per il 70 per cento. Anche il rap, a sua volta, diventa mainstream.
Far coincidere la creazione della forma videoclip con la nascita di mtv può apparire fuorviante e filologicamente scorretto. Come nota giustamente Linda Berton: “In verità il network americano non ha fatto altro che garantire un canale di distribuzione globale a una forma audiovisiva che era già nata in Inghilterra a partire dalla prima metà degli anni Sessanta”. Eppure le cose non stanno esattamente così: collegare le due cose diventa una scelta teorica inevitabile. mtv non è solo un canale distributivo, segna un divario linguistico rispetto a tutto ciò che c’era prima, perché: a) crea una consapevolezza dell’oggetto clip e della necessità che la musica sia supportata da...