Capitolo sesto
La macchina
Una macchina dei nostri giorni
non ha nulla a che vedere con un utensile
Jacques Lacan
In questâultimo capitolo vorrei presentare le seguenti ipotesi:
1 â La macchina del sentire è il dispositivo operativo dellâeconomia dellâimmaginario;
2 â Lâeconomia dellâimmaginario è uno specifico campo dove agiscono forze di duplice natura;
3 â Tutti i prodotti o le merci prodotte dallâeconomia dellâimmaginario rispondono in qualche misura alla nozione di âbeni simboliciâ, eredi contemporanei del feticismo marxiano;
4 â Lâeconomia dellâimmaginario risponde però a un regime differente da quello del Moderno, che coniuga la finzione e lâeconomia;
5 â I beni cosiddetti simbolici incorporano una forma di libido sociale che genera plus-valore e insieme plus-godere;
6 â Lo fanno attraverso forme di fiction/fantasy descrivibili come miti;
7 â Lâeconomia dellâimmaginario distribuisce diversamente il potere.
Infine, vorrei suggerire che in conseguenza di questa situazione sarebbe necessario mettere in discussione la nozione stessa di valore dâuso come cardine intorno a cui far ruotare tutta la dimensione critica.
Partiamo da una constatazione che è giĂ presente nel testo marxiano: la determinazione del valore in base allâastrazione del tempo di lavoro non riesce a spiegare lâeconomia capitalistica. Non era sufficiente giĂ allâepoca dei Grundrisse, ma questo fatto era pensato da Marx entro la dinamica di una contraddizione fondamentale interna allâevoluzione stessa del sistema di fabbrica, con lo sviluppo dellâautoma-sistema di macchine. Câè un immateriale che il pensatore tedesco interpreta come general intellect, e il general intellect è la base necessaria per la liberazione delle forze produttive da un potere del capitale diventato obsoleto. Lo sviluppo delle forze fa saltare la misura, la commisurabilitĂ generale o symmetria.
Qualche anno fa, AndrĂŠ Gorz rifletteva appunto sul carattere dellâimmateriale, ma aggiungeva unâaltra considerazione: câè un immateriale-cognitivo, âil cui valore è impossibile da determinareâ (Gorz 2003). Lo studioso francese individuava qui unâaltra, anzi âla principale fonte di valoreâ. A una condizione: quella di estendere la knowledge oltre il modello marxiano, per includervi âconoscenzeâ in senso lato, non strettamente legate alla produzione. Si tratta appunto di investire la merce nelle nuove considerazioni sul valore, di farne il punto di valorizzazione principale. Quale valore?
un valore simbolico non misurabile che prevale sul suo valore utilitario e di scambio. [âŚ] un valore artistico o estetico, sociale ed espressivo. La marca deve funzionare allo stesso modo della firma di un artista famoso (Gorz 2003, p. 45).
Vorrei enfatizzare il rapporto tra âla marcaâ â il Brand â e la presunta ânon misurabilitĂ â del valore. Se seguiamo questa significativa traccia, bisogna estendere la nozione di âimmaterialeâ al di lĂ del rapporto lavoro/conoscenza/tempo, e investire lâaltro estremo: merce/consumo/immagine, cioè il campo del Brand. Pare che Gorz associ alla âmarcaâ una sorta di sovrappiĂš, un valore simbolico, esterno allâeconomico, anzi addirittura precedente â alla stessa stregua dellâuso, nel paradigma marxiano. E questo valore distinto dallâeconomico, sarebbe âartistico o esteticoâ. Ma è davvero un altro valore? Gorz parla infatti di un âvalore simbolico non misurabileâ, e che tuttavia può essere preso in considerazione dallâeconomia.
In realtà questa seconda sfera del valore non è semplicemente artistico-simbolica. à vero che non è misurabile, se la misura è il tempo. Ma comunque implica processi di valorizzazione che non sono ricavabili dalla teoria del valore marxiana perchÊ non hanno la loro sede nel processo lavorativo ma precisamente al polo opposto, la merce appunto.
Per raccogliere il punto di vista di Gorz è necessario estendere e nello stesso tempo modificare le sue affermazioni, evitando la contrapposizione tradizionale tra lâeconomico = misurabile, e il âsimbolicoâ = non misurabile. Si tratta di assemblare in modo differente le due affermazioni che ho ricavato dal testo dei Grundrisse e dal primo capitolo de Il Capitale.
Câè, effettivamente, una macchina-automa collettiva che comprende âpezziâ fisici e immateriali. Questa macchina non produce solo conoscenza. Se consideriamo insieme il modello della macchina dei Grundrisse e la teoria della merce-feticcio de Il Capitale abbiamo i contorni dello scenario produttivo del presente e della sua effettiva discontinuitĂ rispetto al Moderno.
Nello scenario del presente câè una imponente produzione di (plus)valore, nel senso marxiano, e dunque effettivamente economico (e non âsimbolicoâ), che sfugge alla determinazione del plus-valore attraverso il tempo di lavoro. Ă una dimensione immateriale, ovvero non deriva dalla manipolazione diretta della materia-natura. Questa produzione di valore è complementare a quella dellâeconomia della conoscenza prospettata da Marx. In analogia con la nozione di general intellect, si può ipotizzare che questa economia sia allâinsegna di una macchina produttrice di general feeling. âGeneraleâ nel senso di non personale, non individuale, anonimo, diffuso. Bisogna pensare a un secondo âautomaâ, a una seconda macchina che produce valore proprio attraverso la parvenza, lo Schein. Proprio nellâerede di ciò che Marx chiamava feticismo risiede il potere di questa seconda macchina.
Si può pensare lâeconomia politica attuale â processo di produzione di valore â come lâaccoppiamento strutturale delle due macchine, attive ai due poli della produzione e del consumo. Lâeconomia della conoscenza o capitalismo cognitivo non è lâintero scenario: câè unâeconomia che investe la libido, i flussi sociali di desiderio che attraversa...