L'Io nella distanza
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L'Io nella distanza

Essere in relazione, oltre la prossimità

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L'Io nella distanza

Essere in relazione, oltre la prossimità

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Il termine distanza viene immediatamente colto nella sua accezione topografica, nel senso di un intervallo tra un oggetto e un altro. Essere distanti può anche esprimere uno stile, un modo di essere di chi vuole mantenere un distacco dalla vita, dalle cose che lo circondano e dagli altri, come se non ci fosse nulla per cui valga veramente la pena di vivere. Il presente lavoro intende pensare la distanza come possibilità di approssimarsi senza invadere, soccorrere senza sostituire, riconoscere senza proiettarsi sugli altri, scoprendo un modo più costruttivo di essere e vivere in relazione. Solo a condizione di mantenere una buona e giusta distanza tra sé e sé e tra sé e gli altri è possibile mantenere un rapporto autentico nel segno della libertà e del rispetto.

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VII.
La distanza dalla ferita
1. Dolore e sofferenza
Ogni tanto ritornava a guardare il suo bubbone; ma voltava subito la testa dall’altra parte, con ribrezzo.Dopo qualche tempo, cominciò a stare in orecchi, per sentire se il chirurgo arrivava: e quello sforzo d’attenzione sospendeva il sentimento del male, e teneva in sesto i suoi pensieri.353
“Uno dei temi più complessi e ambigui, più laceranti e più crudelmente attuali, della vita, è quello del male, delle figure del male, con i loro nascondimenti e le loro mistificazioni, con le loro metamorfosi e i loro enigmi, con le loro molteplici significazioni esistenziali ed etiche, sociali e politiche, sulle quali anche la psichiatria non può non riflettere”354.
Le parole di Eugenio Borgna ci consentono di ripartire dalla difficoltà e complessità del male, specialmente di quello che colpisce e affligge l’essere umano nell’esperienza della malattia. Per certi versi, potremmo dire che la condizione del soffrire umano appartiene all’insieme di eventi indicibili e indescrivibili, di cui solo il soggetto che soffre è autorizzato a parlare, se e quando ci riesce; per altri crediamo che la delicatezza di certe situazioni e di certi vissuti costringa ad accostare il tema del dolore e della sofferenza sempre in punta di piedi e con rispetto, perché ciò che possiamo fare al massimo è individuare forme di vicinanza e di prossimità capaci di esprimere tenerezza e rispetto, stima e fiducia.
Ognuno di noi sa, come sottolineano Ch. Taylor e Paul Ricoeur, che noi esseri umani, in talune circostanze particolarmente delicate, rischiamo di lasciarci vincere dallo sconforto, abbandonandoci alla tentazione della svalutazione e dell’autoesclusione, perdendo progressivamente fiducia e stima in noi stessi, nelle nostre capacità e potenzialità. Molte sono le espressioni di questo ritrarsi dal mondo e dallo sguardo dell’altro quando, o per una circostanza temporanea o per una patologia depressiva, gli interessi, il mondo e la vita rischiano di perdere di significato. In questi frangenti gli esseri umani preferiscono fare un passo indietro nell’incapacità e impossibilità di credere che sia ancora possibile farne uno in avanti. In queste situazioni, l’io rischia di perdere ogni motivazione e ogni slancio abbandonandosi o lasciandosi vincere da un male che invade e penetra nelle pieghe dell’essere.
Quando la potenza del negativo prende il sopravvento sulle risorse positive dell’umano abbiamo bisogno di riscoprire in noi stessi il nostro essere più autentico, per ritrovare la nostra capacità di apertura a noi stessi e al mondo che diviene, anche grazie a una relazione qualificante con l’altro, condizione di possibilità di un riscatto che attualizza il potenziale di ciascun essere umano.
Dove il dolore offende la tensione positiva della vita, provocando e tendendo a trascinarci verso il basso, la relazione può rimettere in circolo la fiducia in noi stessi e negli altri e riattivare il processo di riconoscimento che è essenziale al nostro vivere e realizzarci come umani. In questo senso, si tratta di riscoprire e praticare forme di relazione con se stessi e con gli altri nelle quali l’io possa sentirsi sostenuto e incoraggiato, accompagnato ad affrontare in ogni momento ciò che si distende nel percorso della sua e della nostra vita.
Per dispiegare il significato e la centralità della distanza nella patologia, con particolare riferimento al contesto terapeutico, ci sembra opportuno articolare la presente riflessione attorno a cinque nuclei teorici. Nel primo ci occuperemo della sofferenza, cercando di comprenderla dal versante della persona che soffre e che prova dolore. Nel secondo presteremo attenzione alla relazione che cura, così individueremo nello sguardo nell’ascolto le principali forme di prossimità nella distanza dall’altro. Nel terzo cercheremo di esplorare i significati della relazione terapeutica. Negli ultimi due proveremo a ripercorrere alcuni lavori sull’empatia perché permette di mostrare risorse e fragilità di un approssimarsi all’altro in situazione di fragilità e, infine, riproporremo una riflessione sulla compassione, come approccio efficace nella relazione con l’umanità ferita dell’altro.
Si potrebbe dire che l’esperienza del dolore accomuni tutti gli esseri umani che, in un modo o nell’altro, prima o dopo, si trovano a essere assaliti da un dolore, manifestatosi in forme improvvise e a volte perduranti, che causa disagi e malesseri fisici o psicologici.
A ciò si aggiunga che un comune dolore fisico come un’emicrania o un mal di denti può essere provato da ciascun essere umano (a volte anche dagli animali), indipendentemente da tutti i possibili condizionamenti o i fattori di tipo storico-culturale. Eppure, nonostante questa affermazione del tutto evidente, occorre anche riflettere, come fa Carla Danani, sulla complessità del provare dolore che, per quanto sia un’esperienza limitante non può essere definito come il male, soprattutto pensando a “chi, in seguito alla lesione di certe aree cerebrali, non prova adeguatamente gli stimoli dolorosi, va costantemente protetto anche da se stesso, perché tende ad assumere atteggiamenti autolesionistici in modo inconsapevole”355.
Per tali ragioni, sul dolore si differenzia un aspetto oggettivo e un altro soggettivo, nel primo caso si ha a che fare con la dimensione basica del provare dolore, nell’altro con la dimensione connessa al dare un senso al dolore che si prova. Ora, mentre nella dimensione oggettiva, questa rimane invariata, nel caso della dimensione soggettiva questa dipende, come cercheremo di spiegare, da una varietà di fattori che contribuiscono alla definizione e attribuzione di un significato diverso al soffrire. Come osserva Salvatore Natoli: il significato del dolore “sta nel modo in cui questo danno, che lacera il senso, si dà senso. Sempre che sia possibile darlo”356.
È difficile mettere sullo stesso piano le diverse forme di dolore, ma è chiaro che, quanto cercheremo di sottolineare si riferisce a un dolore intenso, forte, quasi paralizzante e non ai lievi e seccanti fastidi che tutti, in modi diversi, conosciamo. Ci ripromettiamo, cioè, di riflettere sul dolore invalidante, che impedisce all’essere umano di svolgere la propria vita ordinaria. In questa situazione egli si sente schiacciato, quasi vinto dalla potenza di un peso che ostacola non solo il comune movimento, ma persino l’organizzazione e programmazione dei gesti più comuni.
Quando il dolore assale il nostro corpo: “ostacola il fluire del quotidiano e costringe a un cambiamento radicale non è più possibile prendere le distanze dal proprio corpo”357. In altre parole obbliga a fermarsi. Da qui un insieme di emozioni si susseguono e si alternano, creando uno stato d’animo sempre in bilico tra il desiderio che il dolore finisca e la paura che da quella situazione non si riesca più a uscire. Nel dolore vivo ci troviamo pietrificati dinanzi alla nostra stessa passività, al nostro poter essere scambiati con oggetti inutili, incapaci di svolgere e assolvere alle comuni e ordinarie mansioni della vita. In questo senso, scrive ancora Natoli: “la prima caratteristica del dolore nella sua potenza viva è quella di ridurre l’uomo a c...

Table of contents

  1. Presentazione
  2. I.
  3. II.
  4. III. Alleanza e asimmetrie. La distanza dell’inizio
  5. IV. Identità e temporalità
  6. V. Troppo lontani o troppo vicini
  7. VI. Il bene della prossimità nella distanza: l’amore
  8. VII. La distanza dalla ferita
  9. VIII. La distanza dal colpevole innocente
  10. IX. La distanza della fine