Deleuze interprete di Hume
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Deleuze interprete di Hume

Con un'appendice su Politica e giurisprudenza

Gaetano Rametta

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Deleuze interprete di Hume

Con un'appendice su Politica e giurisprudenza

Gaetano Rametta

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Il volume apre la nuova collana dell'editore Mimesis Metamorfosi del trascendentale e affronta questa problematica esaminando l'interpretazione di Hume proposta da Gilles Deleuze. L'indagine di Rametta ricostruisce la lettura deleuziana attraverso un'attenta analisi dei testi, spaziando dal volume del 1953, Empirismo e soggettività, al ruolo svolto da Hume in Differenza e ripetizione, sino al capitolo dedicato al filosofo scozzese nella Storia della filosofia di Châtelet. Gli aspetti teoretici e gnoseologici vengono intrecciati con quelli pratici e politici, su cui si concentra l'Appendice al volume, dedicata al libro Mille piani scritto con Félix Guattari. Rametta focalizza la sua attenzione sui concetti di rizoma, nomos e macchina da guerra, mostrando come in essi l'eredità humiana resti ancora operante.

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Information

Year
2020
ISBN
9788857570068
1.
Empirismo e soggettività
Quando Deleuze pubblica il suo libro su Hume, non si può certo dire che il filosofo scozzese fosse al centro dell’attenzione1. Come ricorderà lo stesso Deleuze molti anni dopo, all’epoca i pensatori che dominavano il dibattito filosofico e i curricula degli studi universitari erano “le tre H”, rappresentate da Hegel, Husserl e Heidegger2. Nella scelta di dedicare al pensatore scozzese la sua prima monografia, possiamo già rilevare un tratto caratteristico dell’intero stile di pensiero deleuziano: l’idea di andare controcorrente, non nel senso della contrapposizione di principio, che indicherebbe un atteggiamento reattivo di mera contro-dipendenza, ma nel senso umoristico dello spostamento eccentrico, del cambiamento di prospettiva, destinato a sconcertare e a produrre quell’urto, senza di cui non si darebbe l’occasione di pensare. Fin dalla sua giovinezza, insomma, per Deleuze si tratta di creare nuove circostanze rispetto a un contesto dato, suscitando quell’incontro, inatteso e spaesante, da cui il pensiero possa trarre l’energia per inventare nuovi concetti.
L’elemento umoristico, che fosse o no nelle intenzioni del giovane filosofo, emerge anche dalla dedica del volume: “A Jean Hyppolite, omaggio sincero e rispettoso”. Ora proprio Jean Hyppolite, professore di Deleuze alla Sorbona, oltreché celebrato traduttore e interprete della Fenomenologia dello spirito, aveva pubblicato l’anno prima un libro intitolato: Logique et existence. Essai sur la logique de Hegel3. In questo libro, l’autore francese aveva interpretato il pensiero hegeliano alla luce della problematica del senso. L’ambizione dunque era di proporre un’attualizzazione di Hegel, mostrando le linee di continuità che collegavano la logica dialettica con la fenomenologia di Husserl e la filosofia esistenziale di Heidegger. A Husserl e Heidegger, infatti, spettava il merito di aver centrato il discorso filosofico non più direttamente sull’essere, ma sul senso dell’essere, aprendo a un profondo rinnovamento nell’interrogazione filosofica e nell’impostazione stessa dei suoi problemi. La logica di Hegel non andava letta, dunque, come il ritorno a un pensiero metafisico, in cui platonicamente venisse descritto un mondo intelligibile, “prima della creazione della natura e di uno spirito finito”4. Hegel non tornava indietro rispetto a Kant, bensì al contrario continuava nel solco tracciato dalla filosofia critica, rideclinando la scoperta kantiana del trascendentale attorno alla tematica del senso. Il concetto speculativo, nella trattazione del quale culmina l’intera Scienza della logica, altro non è che l’innalzamento dall’essere al senso, o ancora meglio, il dispiegamento del senso immanente all’essere. L’essere compreso nel suo senso, il senso non come invenzione arbitraria della soggettività umana, bensì come automanifestazione dell’essere nella sua verità: questa è la logica dialettica, e questa è la linea di continuità che può essere tracciata fra l’idealismo speculativo di Hegel e le filosofie contemporanee del senso di Husserl e Heidegger.
Ora, non è azzardato leggere il libro su Hume del giovane Deleuze come il sistematico smantellamento della ricostruzione di Hyppolite: non nel senso che Deleuze contesti la pertinenza di tale ricostruzione, ma nel senso che l’assume in pieno per contestarla. “Hume” è il nome proprio di questa operazione, è il pensatore che fornisce al giovane Deleuze una serie di strumenti concettuali, ma prima ancora un’impostazione del problema filosofico, che permette alla filosofia di disporsi in una dimensione altra, spaesante ed eccentrica, rispetto a quella tracciata dal dedicatario del libro. Se volessimo giocare sui significanti, potremmo dire che Deleuze ingaggia una gigantomachia parodistica tra una serie di “H” maiuscole: da una parte, la sequenza “maggiore” delle grandi acca: Hegel, Husserl e Heidegger. Questa serie trova la sua epitome in un’altra “H”: quella dell’autore di Logique et existence. “Hyppolite” diventa dunque la sigla che condensa nel suo nome le tre grandi acca, che secondo il Deleuze successivo avevano avvelenato per sempre il rapporto tra la sua generazione e la storia della filosofia5. A questa serie maggiore, Deleuze non contrappone una serie, ma una singolarità: quella che si esprime nel nome di Hume. Come si vede, un’altra acca: un’acca maiuscola, anche in questo caso, ma che non rappresenta più una filosofia che si pretende “maggiore”, bensì una pratica del pensiero che si dispiega come filosofia minore6, tale cioè da destrutturare ogni pretesa di ricomporre in unità sistematica la complicità tra il concetto, l’essere e il senso, liberando questi termini l’uno dall’altro, rompendo il circolo dell’identico, e aprendo lo spazio di disseminazione necessario all’espressione della differenza.
Nella recensione all’opera di Hyppolite, in effetti, il giovane Deleuze poneva già la questione decisiva: contraddizione o differenza? La contraddizione è davvero l’espressione radicalizzata della differenza, o non ne è piuttosto l’espressione depotenziata in senso fenomenico e antropologico? Insomma, siamo sicuri che la contraddizione sia “più” della differenza, come vuole Hegel ripreso da Hyppolite, e non piuttosto “meno” di essa, come sottintende in modo abbastanza chiaro Deleuze, quando allude alla possibilità di una “ontologia della differenza pura”7? In queste domande sono contenute virtualmente le linee di sviluppo di tutta la successiva filosofia deleuziana, di cui Empirismo e soggettività costituisce l’inizio folgorante. Che cos’è infatti il soggetto per Hume? Non è un atto, ma un effetto; non è attività del porre sé stesso, ma passività che risulta dal funzionamento di determinati principi. Hume li suddivide in principi dell’associazione tra le idee (contiguità, somiglianza, causalità) e in principi della passione; questi ultimi si possono riunire “sotto la forma generale di un principio di utilità” (ES 109; 119). Deleuze ne ricava la seguente definizione di soggetto:
Il soggetto è quell’istanza che, sotto l’effetto di un principio di utilità, persegue uno scopo, un’intenzione, organizza dei mezzi in vista di un fine, e, sotto l’effetto dei principi di associazione, stabilisce delle relazioni tra le idee. Così la collezione diventa un sistema (ibid.).
Il compito di Hume è dunque di spiegare il costituirsi del soggetto nel dato. Ora, poiché il soggetto è al tempo stesso indice di un movimento che va oltre il dato, la domanda diventa: com’è possibile comprendere qualcosa che procede oltre il dato restando nel dato? Com’è possibile spiegare “una soggettività che si supera ed è, nondimeno, passiva” (ES 8; 18)? Si tratta di partire dal funzionamento della mente. Ora, quest’ultima procede secondo principi che non sono costruzioni di una volontà libera, ma sono iscritti nella “natura umana”. Il soggetto risulterà quindi come effetto dal funzionamento dei principi nella mente. Contiguità, somiglianza e causalità, d’altra parte, sono le specificazioni di un unico tratto caratteristico, costituito dalla facilità nel passaggio da un’idea a un’altra. Questa è la regola unificante del funzionamento della mente:
L’effetto dell’associazione nei tre casi è il passaggio agevole della mente da un’idea a un’altra; l’essenza delle relazioni è la facile transizione (ES 6-7; 16).
Ciò significa che la mente non è il soggetto che pone i principi, bensì al contrario il soggetto scaturisce come effetto prodotto dall’azione dei principi sulla mente:
Quando Hume parla di un atto della mente, di una tendenza, non vuol dire che la mente sia attiva, ma che è attivata, divenuta soggetto. […] La soggettività è determinata come un effetto. […] La mente diventa soggetto quando è modificata [affecté] dai principi (ES 8; 18).
Attraverso questa lettura, Deleuze indica una teoria del soggetto radicalmente diversa da quella idealistica: il soggetto non è principio, bensì effetto passivo dell’azione di principi indipendenti da esso; e la mente, ciò che nel lessico dell’idealismo si chiama “spirito”, non è il compimento della soggettività nella sua espressione più alta, bensì al contrario, essa è soltanto l’inizio potenziale del soggetto. Il soggetto sorge nella mente, o la mente diventa soggetto, solo a partire dall’azione esercitata su di essa dai principi operanti nella “natura umana”. Lo “spirito” dunque non è principio di at...

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