Parte terza
Un animale dotato
di sragione
O ridicolissime heroe.
Blaise Pascal
1.
Sapiens-demens
L’era del grosso cervello inizia con l’uomo di Neanderthal, già sapiens, che in seguito fa posto all’uomo attuale, unico è ultimo rappresentante della famiglia degli ominidi e del genere uomo sulla Terra. Quando sapiens appare, l’uomo è già socius, faber, loquens. La novità che sapiens apporta al mondo non riguarda dunque, come si era creduto, la società, la tecnica, la logica, la cultura. Riguarda invece ciò che finora era stato considerato come accessorio, oppure ridicolmente salutato come segno di spiritualità: la sepoltura e la pittura.
Rivelazioni della sepoltura
Le tombe più antiche che conosciamo sono di Neanderthal. Esse ci indicano ben più e ben altro che un semplice interramento per proteggere i vivi dalla decomposizione (il cadavere avrebbe potuto, a tal fine, essere abbandonato lontano o gettato in acqua). Il morto si trova in una posizione fetale (fatto che suggerisce una credenza in una nuova nascita), talvolta anche disteso su di un letto di fiori, come indicano le tracce di polline in una sepoltura neanderthalese scoperta in Iraq (cosa che suggerisce una cerimonia funebre); le ossa sono talvolta dipinte d’ocra (cosa che fa pensare sia a dei funerali dopo un consumo cannibalistico, sia a dei secondi funerali dopo la decomposizione del cadavere); alcune pietre proteggono le spoglie e più tardi armi e cibi accompagnano il morto (cosa che fa pensare alla credenza nella sopravvivenza del morto sotto forma di spettro corporeo avente gli stessi bisogni dei vivi).
Ciò di cui testimonia la sepoltura di Neanderthal, non è soltanto un’irruzione della morte nella vita umana, ma anche alcune modificazioni antropologiche che hanno permesso e provocato questa irruzione.
1. Una nuova coscienza
Anzitutto, incontestabilmente, un progresso della conoscenza obiettiva. La morte non viene riconosciuta per ciò che fa, come la riconoscono gli animali (che, inoltre, sono già capaci di “fare il morto” per ingannare il nemico), essa non viene sperimentata soltanto come perdita, sparizione, lesione irreparabile (cosa che possono provare le scimmie, l’elefante, il cane, l’uccello), essa viene altresì concepita come trasformazione di uno stato in un altro.
Inoltre, la morte viene probabilmente già pensata certamente non come una “legge” della natura, ma come una schiavitù inevitabile che pesa su tutti gli esseri viventi.
In ogni caso, che ciò accada per la presenza dei morti oppure per la presenza dell’idea della morte al di fuori del suo verificarsi immediato, si può già scoprire nell’uomo di Neanderthal un pensiero che non è totalmente investito nell’azione presente, cioè si può scoprire la presenza del tempo in seno alla coscienza. La compresenza di una coscienza delle trasformazioni, di una coscienza delle schiavitù, di una coscienza del tempo stanno a indicare in sapiens la nascita di un grado più complesso e di una qualità nuova della conoscenza cosciente.
2. Il mito e la magia
Contemporaneamente alla coscienza realistica della trasformazione, la credenza che questa trasformazione abbia come risultato un’altra vita dove l’identità del trasformato si mantiene (rinascita o sopravvivenza del “doppio”) ci indica che l’immaginario fa irruzione nella percezione del reale e che il mito fa irruzione nella concezione del mondo. Ormai essi diventano nello stesso tempo i prodotti e i coproduttori del destino umano.
Mentre la tomba ci segnala la presenza e la forza del mito, i funerali ci segnalano la presenza e la forza della magia. I funerali, infatti, sono riti che contribuiscono a operare il passaggio all’altra vita in modo conveniente, cioè proteggendo i vivi dall’irritazione del morto (donde forse il culto dei morti) e dalla decomposizione della morte (donde forse il lutto che isola i parenti del defunto). Dunque, è un intero apparato mitologico-magico che emerge in sapiens e si trova mobilitato per affrontare la morte.
3. La spaccatura antropologica
Tutto sta dunque a indicarci che la coscienza della morte che emerge in sapiens è costituita dall’interazione di una coscienza oggettiva che riconosce la mortalità, e da una coscienza soggettiva che afferma se non l’immortalità, almeno una forma di permanenza attraverso la morte. I riti della morte esprimono, riassorbono ed esorcizzano nello stesso tempo un trauma provocato dall’idea di annientamento. I funerali, e questo in tutte le società di sapiens conosciute, traducono contemporaneamente una crisi e il suo superamento, da una parte lo strazio e l’angoscia, dall’altra la speranza e la consolazione. Tutto sta dunque a indicarci che l’homo sapiens viene colpito dalla morte come da una catastrofe irreparabile, che crea in lui un’ansia particolare, l’angoscia o l’orrore della morte, che la presenza della morte diventa un problema vivo, che cioè travaglia la sua vita. Tutto sta ugualmente a indicarci che quest’uomo non soltanto rifiuta questa morte, ma si rifiuta di ammetterla, la supera, la risolve nel mito e nella magia.
Ora ciò che è profondo ed essenziale, non è soltanto la coesistenza di queste due coscienze, è la loro unione torbida in una doppia coscienza; sebbene la combinazione tra queste due coscienze sia estremamente variabile a seconda degli individui e delle società (come del resto anche la misura in cui la vita si impregna di morte), nessuna delle due annulla realmente l’altra, e tutto accade come se l’uomo fosse un simulatore sincero nei confronti di se stesso, un isterico, secondo l’antica definizione clinica, che trasforma in sintomi oggettivi ciò che proviene dal suo turbamento soggettivo.
Tra la visione oggettiva e quella soggettiva si trova dunque una spaccatura, che la morte apre fino allo strazio, e che viene riempita dai miti e dai riti della sopravvivenza, che arrivano infine a integrare la morte. Con sapiens si delinea dunque il dualismo del soggetto e dell’oggetto, legame inscindibile, cesura insormontabile, che in seguito, in mille modi, tutte le filosofie e le religioni tenteranno di superare o di approfondire. In realtà l’uomo dissocia ormai il proprio destino dal destino naturale, sebbene egli sia giustamente convinto che la sua sopravvivenza obbedisce alle leggi naturali dello sdoppiamento e della metamorfosi. Vi sono dunque in lui delle interferenze tra un’oggettività e una soggettività più ricche, e ciò perché esse corrispondono entrambe alle caratteristiche che qui di seguito esponiamo.
4. Un progresso dell’individualità
Infatti, bisogna che ci sia una forte presenza personale perché l’individualità di un morto sopravviva accanto a dei vivi, bisogna che esistano intensi legami affettivi e intersoggettivi perché questi possano restare vivi al di là della morte; bisogna che ci sia sviluppo di quel nuovo epicentro costituito dalla coscienza di sé nel mondo perché vi sia coscienza della spaccatura mortale, confluenza tra l’affermazione oggettiva della morte e l’affermazione soggettiva dell’immortalità individuale.
Così, l’irruzione della morte, per sapiens, è contemporaneamente l’irruzione di una verità e di un’illusione, l’irruzione di un chiarimento e del mito, l’irruzione di un’ansia e di una fiducia in se stesso, l’irruzione di una conoscenza oggettiva e di una nuova soggettività, e soprattutto il loro legame ambiguo. È un nuovo sviluppo dell’individualità e l’aprirsi di una spaccatura antropologica.
La morte di Neanderthal, constatata da lungo tempo ma totalmente disinnescata dal punto di vista antropologico dalla visione unidimensionale dell’uomo dotato di ragione, costituisce una formidabile rivelazione che getta uno spiraglio di luce incomparabile sulla differenza tra sapiens e i suoi predecessori, e una luce permanente sulla natura dell’uomo, nel senso che lo straordinario nodo di significati che abbiamo messo in evidenza è legato allo sviluppo ultimo del cervello dell’ominide e alla costituzione stessa del cervello di sapiens.
La rivelazione della pittura
Si può supporre che l’ocra rossa, presso l’uomo di Neanderthal, non sia stata utilizzata soltanto per dipingere le ossa dei morti, bensì anche per eseguire pitture sul corpo umano, per disegnare simboli o segni su oggetti diversi. In ogni caso è certo che nel maddaleniano la pittura parietale, all’ocra e al nero di manganese, è, al pari dell’incisione su roccia o su osso, un’arte sviluppatissima, e che i simboli, i segni e i graffiti, vengono usati correntemente.
Per lungo tempo ci si è limitati ad ammirare, in questo fenomeno, la nascita dell’arte, invece di leggervi la seconda nascita dell’uomo, cioè la nascita di homo sapiens.
Anzitutto, il campo grafico dell’umanità preistorica è vastissimo e molto vario: vi si affiancano il segno convenzionale, il simbolo più o meno analogico, il disegno estremamente preciso di forme viventi, e infine la rappresentazione di esseri chimerici o irreali. Non si tratta dunque di porci degli interrogativi su di un’arte, la pittura, ma di tentare una grafologia di sapiens.
1. Da un lato, lo sviluppo grafico costituisce l’acquisizione di un nuovo modo di espressione e di comunicazione che è una prima forma di scrittura. Non si tratta ancora, certamente, del linguaggio scritto, ma già del linguaggio di ciò che è scritto, con il segno ideografico e il simbolo pittografico. Inoltre, nell’immagine “realista”, si trova nello stesso tempo l’acquisizione molto precisa di forme concrete e il costituirsi di ciò che diverrà il modello astratto, pattern o tipo, fatto che rivela l’ampiezza dello sviluppo delle attitudini logico-empiriche in rapporto agli ominidi.
2. D’altra parte, l’arte, cioè ingegnosità, abilità, precisione, inventiva, che i predecessori di sapiens avevano già sviluppato nell’attività pratica, in particolare nella caccia, si avventura e si dispiega in un campo nuovo, quello della produzione spirituale (immagini, simboli, idee) che chiameremo qui noologica.
Qual è il senso di questo fenomeno nuovo? A questo punto, si contrappongono in generale due interpretazioni, l’una che riconosce puramente e semplicemente il sorgere di un’attività artistica e di una vita estetica che trovano il loro fine in se stesse, l’altra che integra la nuova arte delle forme in un fine rituale e magico. Secondo noi, le due interpretazioni si possono unire, tanto più che abbiamo sostenuto altrove (Morin 1956, 1972) che i fenomeni magici sono potenzialmente estetici e che i fenomeni estetici sono potenzialmente magici.
3. Come ci ha rivelato la sepoltura, la magia ha fatto irruzione in sapiens. Inoltre, lo studio delle società arcaiche ci mostra che la decorazione, l’ornamento, la scultura, la pittura possono avere un valore protettivo e fausto, e trovarsi legate a credenze mitologiche e ad azioni rituali. È per questo che si è supposto che i dipinti rupestri di animali, trasmessici dalla preistoria, corrispondano a riti magici propiziatori della caccia.
Per comprendere questa magia, bisogna riprendere il tema del “doppio” che è già emerso a proposito della morte. L’esistenza del doppio è attestata dall’ombra mobile che accompagna ciascuno, dallo sdoppiamento di sé che avviene nel sogno, e dallo sdoppiamento del riflesso nell’acqua, cioè l’immagine. Di conseguenza l’immagine non è una semplice ...