Socrate. […] Questo è mettersi nel modo più naturale al posto stesso di Dio. Orbene, fra tutti gli atti, il più completo è quello del costruire. […] Il Demiurgo perseguiva i suoi propositi che non concernevano le sue creature. Il contrario deve accadere. […] Ma io arrivo dopo di lui. […]
Fedro. Io le considero molto fortunate che tu sia un architetto morto! […] Ma tu revocherai dunque nell’eternità tutte queste parole che ti fecero immortale?
Socrate. Laggiù, immortale – in relazione ai mortali! … – Ma qui … Ma non c’è qui, e tutto ciò che noi abbiamo appena detto è tanto un gioco naturale del silenzio di questi inferi, quanto l’estro di qualche retore dell’altro mondo che ci ha presi per delle marionette!
Fedro. In questo rigorosamente consiste l’immortalità.1
Paul Valéry, Eupalinos o l’Architetto (in fine)
– Ancora una volta il Timeo, certo, ma un altro Timeo, un nuovo Demiurgo, promesso.
A rischio incorso dal pensiero, il buon rischio, d’un sisma anacronico2: come un’onda d’urto a scoppio ritardato dalla preistoria assoluta del mondo, niente di meno. E per la terra degli uomini, si pensa ancora agli spostamenti del terreno che seguivano una scossa immemoriale, un tremore architettonico…
– Diavolo! Il Timeo di Platone passa nondimeno per uno dei libri più vecchi dell’umanità! Gli si riserva sempre un posto a parte nell’opera platonica – e anche nella biblioteca filosofica. Esso appartiene d’altronde alla storia della filosofia? della filosofia come tale? Niente di meno chiaro. Poi questo vecchio libro dell’umanità, che dice anche l’origine dell’uomo, questo libro di archeologia pura, è anche un monumento delle Umanità. Fin dalla sua prima apparizione, ecco qua una delle opere più citate al mondo, senza dubbio fra le più sovraccariche di iscrizioni erudite. Lo si sente sempre in procinto di appesantirsi e di nascondersi, fino all’illegibilità, sotto la sovrimpressione delle glosse. È ancora un libro, questa stele che si conficca nella terra, per la disperazione degli archeologi? È un libro fra gli altri, questo archivio troppo pesante e quasi «canonizzato»?
– Ebbene, perché non resistere alla tentazione di dire già, prima di tutto, «canonizzato»?
– Per più di una ragione, questo strano Timeo sarà stato un tempo tanto popolare, se lo si può dire di un tale enigma, quanto la Bibbia. Questo fu a suo modo una sorta di Bibbia ante litteram…
– Da dove viene dunque la tentazione di associarle ancora?
– Questa non sarebbe la prima volta. Questo accostamento, lo vedremo, non si giustifica soltanto perché, nei due casi, si tratta dell’origine del mondo, in breve di ciò che viene prima di tutto (ante, abante), dell’antecedente assoluto, di un precursore senza età che predisporrebbe perfino l’origine, e forse la promessa stessa, e l’alleanza…
– Voi ne parlate come di una gara fra gli antenati. Degli antenati prima del tempo sarebbero impegnati in una prova di velocità, in una concorrenza fra pure velocità, senza altra posta in gioco, senza altro dispendio o controfferta che la velocità stessa. Essi sarebbero, come noi, più d’uno, noi saremmo più d’uno all’origine del mondo. Ci sarebbe allora questa concorrenza di tutti gli istanti e di tutte le istanze per sapere in anticipo [ciò] chi viene «prima» – e chi fa l’anticipo [avance, n.d.t.], chi presta o chi promette a chi, per attirare o per impegnare l’altro. Non ci sarebbero in primo luogo che degli anticipi. Gli anticipi fatti, ci si sfinirebbe a contarli: promesse, debiti, debitori, creditori, credenti. Chi accredita? Chi crede? Chi rende i conti? Se io conto bene, tre anticipi interferiscono nello stesso tempo, nel tempo di una concorrenza, fra soggetti differenti: un soldato della guardia mobile è in anticipo (senso crono-cinetico), uno che presta denaro a interesse consente un anticipo e indebita l’altro (senso economico-fiduciario), un seduttore fa delle avances3 (senso strategico o retorico d’una erotica). Che si fa dunque, ancora, quando si avanza [s’avance, n.d.t.] così?
– Questo è anche scommettere. Scommettiamo: che ormai non si leggerà più il Timeo «come prima», ma ben diversamente. Quasi in silenzio, proprio qui, con la costruzione di questo Sepolcro…, il paesaggio è all’istante appena cambiato.
– Ma c’è mai un paesaggio naturale, soprattutto per un discorso sull’origine del mondo?
– No, ciò che è appena stato sconvolto, sarebbe piuttosto lo scenario istituito, il nodo e lo scioglimento senza fine di un atto drammatico. In effetti il libro di Serge Margel descrive una drammaturgia silenziosa prima del primo atto del mondo.4 E, all’improvviso, una nuova interpretazione, intendiamo questa parola come a teatro, ci dà da decifrare i tratti di un personaggio sconosciuto, persino di un’altra persona sotto la maschera di palinsensto d’un attore familiare. Il Demiurgo del Timeo non era senza dubbio che un personaggio, un «carattere», si tradurrebbe dall’inglese, una persona teatrale e a malapena mitica. Forse egli è diventato qualcuno, ormai, al tempo stesso un drammaturgo – due volte il soggetto di un lavoro (ergon) e d’una azione (drama), il produttore di un evento – e un attore del dramma. Questo è qualcuno che, come lo indica il suo nome (demiourgos), opera, agisce, produce, crea per il popolo, il pubblico, l’universale5, ma anche, continua la straordinaria dimostrazione di Margel, un soggetto inattivo, finito, impotente e assoggettato a delle leggi tanto contraddittorie quanto implacabili, un soggetto centrale ma anche stranamente passivo. Tutto sembra accadere da lui e tuttavia tutto gli accade. Lui patisce ciò che gli accade, cioè il nostro mondo, niente di meno…6
– Voi osereste vedere in lui il soggetto di un Mistero o d’una Passione?
1. Il dio in precedenza.
– Noi dovremo decisamente resistere all’inclinazione cristiana o più generalmente testamentaria (paleo- o neo-testamentaria) di questo discorso. Chiederemo a Margel se lui possa, e se voglia, aiutarci – o meno. Gli domanderemo se lui pensa insomma che il Timeo debba leggersi prima di ogni rivelazione cristiana, e soprattutto ciò che questo «prima» può significare. Quando, dopo certi Padri della Chiesa, Pascal decretò «Platone, per disporre al cristianesimo», lui aveva anche fatto tremare un certo «prima». E poi al centro del Sepolcro…, noi troviamo o inventiamo (inventare, è anche trovare) la promessa, l’impegno, il testamento, l’eredità, il sacrificio, il debito e dunque il dovere; l’esser-davanti [être-devant, n.d.t.] si lega così all’ambiguità altrettanto temibile di un essere-indebitato rispetto a chi lo precede, un essere-davanti [être-devant, n.d.t.] – debitore – ad un essere-prima al cospetto del quale lui si trova: un Demiurgo mortale, forse già morto7, un Demiurgo in precedenza, un ordinatore del mondo in anticipo rispetto agli dei immortali, un singolare Demiurgo si pone davanti agli dei immortali davanti ai quali lui compare, ma un Demiurgo al cospetto del quale noi siamo a nostra volta degli eredi indebitati, tante istanze che si precedono le une sulle altre prima dell’origine del nostro mondo, anche prima del tempo. Più precisamente, un tempo prima dell’altro, poiché tutto accade, vi arriviamo, in uno scarto tra due tempi.8 Questo intervallo fra due tempi, non si sa se esso appartenga al tempo. Se esso dipenda ancora o già da ciò che noi chiamiamo tranquillamente il tempo. Non si saprà mai se egli istituisca il tempo stesso o se, prima, la sua possibilità avrà pre-venuto il tempo. Di quale velocità si parlerebbe ancora se essa dovesse precedere il tempo? Questa accelerazione assoluta, ecco qua ciò che si dovrebbe pensare al di là del sapere. Si dovrebbe rievocare anche, non lo dimentichiamo, la promessa e l’impegno del debito.
– In ogni caso la domanda «chi è il Demiurgo?» diverrebbe allora inevitabile, essa sostituirebbe ormai la domanda «che cos’è un Demiurgo?»
– Prima di tutto, o quasi, in effetti, c’è là Demiurgo.9
– Che vorrebbe dire una tale dichiarazione? Cos’è che si promette così? Demiurgo, nome proprio o nome comune?
– Ancora prima di sapere ciò che essa può voler dire (forse niente, chi sa, vedremo bene, un sepolcro può essere vuoto e il libro un cenotafio), ci si domanderà ciò che essa può voler fare, questa frase. Promettere, promettersi, questo è fare, è fare dicendo. Ci si chiederà quale effetto la frase tenti o rischi di produrre. Un tale può aver voglia di avvicinarsi, attirato, affascinato, curioso: per vedere infine il Demiurgo nascosto di cui si parla tanto e che c’è là – e in che modo questo è, un Demiurgo, chi va là, a chi e a cosa questo assomiglia, come agisce, come fa quando lavora, come parla e pensa e calcola. Ci si può anche impaurire e fuggire: « Oh, là, c’è là un Demiurgo! Andiamocene in fretta, è insieme mitico e mistico, il demiurgico, è nascosto e pericoloso, d’altronde non esiste e ricorda di oscure congiure…»
C’è là Demiurgo. Là, questo è ancora qui, in questa grande opera di Serge Margel, Il sepolcro del dio artefice. Questo sepolcro è quaggiù. Lo si potrebbe paragonare a questi poemi che si chiamano Sepolcri, opere destinate, secondo una legge del genere, non a descrivere o ad analizzare il sepolcro esistente, ma ad istituirlo con un atto del linguaggio, a custodire, onorare, benedire, cantare una memoria promettendogli una dimora verbale più resistente della pietra. Di alcuni, come i Sepolcri di Mallarmé («Calmo masso quaggiù caduto da un disastro oscuro…» «Il tempio seppellito divulga dalla bocca/ Sepolcrale»…), si direbbe che siano immortali o piuttosto che meritino l’immortalità se per l’appunto quelli non avessero come fine di promettere soltanto l’immortalizzazione, di prometterla al morto rimasto morto, al morto ormai in pianta stabile nel sepolcro. Di cui il titolo nascosto sarebbe allora, oserei suggerire, sepolcro per un dio artefice prima di essere Il sepolcro del dio artefice. Questo titolo direbbe forse meglio la verità propriamente demiurgica del libro. Serge Margel avrebbe così tanto scritto quanto descritto un Sepolcro. Sepolcro sarebbe il suo libro, come un grande poema filosofico. E lui ci avrebbe insegnato, nel contempo, ciò che si istituisce nella promessa di un sepolcro, e come, nell’erigere un sepolcro, innalzandolo nel suo volume, firmandolo, si custodisce o si mantiene una promessa. Non una promessa fra le altre, una promessa nel mondo, ma un mondo di promessa, una promessa come il mondo, l’esistenza sempre a venire del nostro mondo in quanto promessa.
– C’è là Demiurgo, se ben capisco, quello in primo luogo di cui ci parla Serge Margel e verso il quale questo libro si deborda. Poiché tale Demiurgo sarebbe là, laggiù, sempre là piuttosto che qui. («Ma non c’è qui», direbbe subito il Socrate di Eupalinos.) Laggiù, ancor prima che un riferimento si volga verso di lui. Il suo essere-là non sarebbe né quello di un vivente né quello di un morto, esso non ci assicurerebbe neanche di una presenza. Sepolcro c’è, e Demiurgo, ma questo avrà fatto di più che vivere o morire, di più e tutt’altra cosa, lui sarebbe sopravvissuto. Morendo però. Né vivo né morto: in precedenza, superstite, ma superstite in quanto morente. Il restar-morente10 e la sopravvivenza si coappartengono poiché l’essere per la morte del Demiurgo non si lascia separare, nella sua temporalità d’imminenza incessante, da una promessa.11 E appartiene alla struttura di questa promessa di promettere prima di tutto la sua sopravvivenza, di sopravvivere, di oltrepassare la morte. «Morte simbolica», diagnostica l’autore. Il Demiurgo sarebbe, fin dall’origine, una sorta di superstite, dunque di morente che scrive il mondo nell’istanza della sua morte, la sua o quella del mondo12. Lui ossessiona una memoria ma la memoria di una promessa. L’ultima volontà di un testamento apre la possibilità dell’avvenire.
– Ma c’è un Demiurgo? Uno solo? No, forse più d’uno. Questo di cui parla il libro, in modo esemplarmente scrupoloso nella sua fedeltà impeccabile all’eredità platonica e all’immensa letteratura che questo corpo ha generato, ma anche in modo inventivo, provocante, insolente – senza pari. Il Demiurgo di cui parla Margel, è anzitutto il personaggio che Platone mette in scena, se si può dire, nel Timeo. E poi c’è un altro Demiurgo, che gli assomiglia soltanto, e questo è l’autore di un libro demiurgico, Serge Margel, l’inventore del Sepolcro. Non è lo stesso, ma non è un altro. Quando diciamo libro demiurgico, per ora senza precisione né contesto, è al fine di dichiarare che siamo nell’ammirazione. Ma affatto troppo rassicurati.
– Dopo aver proposto l’espressione «l’inventore del Sepolcro», a meno che ciò non sia ancora nell’incoscienza, ante litteram, perché non avervi associato l’Invenzione di Gesù Cristo, un altro dio morente, o l’invenzione della croce in Elena? tutte Invenzioni che consistono nel trovare infine il morente, nello scoprire un luogo o un corpo perduto? Perché non evocare tutte le Sepolture che mettono sottosopra il seppellimento del Cristo?
– Pazienza. Restiamo ancora presso il Demiurgo che c’è. Nome strano come «Demiurgo», in effetti. Esso fa sorgere in generale tutta una fabbrica d’immagini, vi si precipita una dossografia. Coloro che non hanno letto il Timeo vedono in generale nel Demiurgo una sorta di semi-dio, non un eroe ma un architetto, come si dice spesso, un ingegnere o un artigiano, a volte un artificiere, o ancor più un apprendista-stregone satanico che prepara...