Tempo e sangue
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Totalitarismo, genocidio e stupro in Bosnia ed Erzegovina

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Totalitarismo, genocidio e stupro in Bosnia ed Erzegovina

About this book

Questo lavoro presenta uno sguardo particolare sulle circostanze che caratterizzarono il conflitto in Bosnia ed Erzegovina nel periodo 1992-1995. Partendo dal concetto di totalitarismo, l'autore ha inteso ricostruire quei rapporti tra cultura, religione, storia e politica che troppo spesso sono passati nel silenzio e che, tuttavia, sono fondamentali per chiunque voglia comprendere le condizioni che hanno determinato il tentativo di eliminare un'intera etnia da quella che, ancora oggi, la politica e i media vogliono condannata a un'impercettibile ambiguità ontologica: essere o non essere Europa. Attraversando la storia dei programmi per una Grande Serbia, il lettore dovrà confrontarsi con le verità sui genocidi e sugli stupri, ma soprattutto sulle responsabilità e sul debito morale che la comunità internazionale ha contratto con quello che William Miller ha definito come il curioso fenomeno di un'etnia slava per razza, maomettana per fede, che mai accettò il fondamentalismo ottomano.

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Information

Year
2020
eBook ISBN
9788857567044
Topic
History
Index
History
Capitolo quarto
Responsabilità
Il punto di partenza è noto, e ha una sua logica: poiché nell’epoca moderna non può esistere il totale idillio della comunità totale, poiché esso può essere creato soltanto in apparenza e attraverso la totale oppressione della libertà e della molteplicità delle opinioni e degli interessi organizzati che si contrappongono nella società conflittuale, se l’assoluta armonia non riesce, qualcuno deve averne la colpa, e occorre trovare il colpevole, perseguitarlo e distruggerlo (…) Poiché nelle condizioni della moderna società industriale la totale armonia e mancanza di conflitti è di per se un’illusione che contraddice radicalmente la realtà, l’idillio della comunità di stirpe trova il suo necessario e inevitabile complemento nel campo di concentramento e nella guerra (…) Chi si oppone alla salvezza dell’umanità si presta ad essere riconosciuto come nemico dell’umanità, e deve quindi essere convertito o annientato. Così nascono logicamente gli schemi dualistici amico/nemico; non vi sono che giusti e ingiusti, figli della luce e figli delle tenebre, e di conseguenza anche la lotta per la futura totale armonia sfocia nella lotta totale.186
1. La società conflittuale e la società dell’interesse
Il discorso di von Krockow, come ora vedremo, non si applica soltanto ai discorsi relativi alle origini dei totalitarismi e delle “lotte totali”, alle quali conseguono quelle fenomenologie disumanizzanti del concentramento e del genocidio, poiché l’atteggiamento di additare arbitrariamente come “oppositore della salvezza” un’etnia alla quale, seppur oggettivamente perseguitata, non si vogliono riconoscere le giuste ragioni che sono alla base della sua riottosità, trascende enormemente i confini nazionali. Kamiński osserva che Chi ha idee diverse, chi non accetta di essere uniformato dal punto di vista organizzativo e soprattutto da quello ideologico, è una negazione vivente e quindi anche una minaccia di quella unità, di quel totale monopolio del potere su uomini, idee e cose, e in fondo sulla realtà stessa, che costituisce l’essenza del totalitarismo187. Il fatto, però, che Kamiński intenda tale discorso solo in riferimento al totalitarismo di un solo führer, al vertice di una pan-ideologia, è sintomatico di una coscienza che non ha ancora analizzato in modo critico (o fatto i conti con) i nuovi sviluppi del monopolio del potere, inteso come quella sovrastruttura burocratica internazionale degli interessi, la cui solidarietà è limitata al reciproco scambio di opportunità commerciali e/o ad affinità culturali, e che pertanto individua sempre coloro che sono oltre i confini dell’interesse. Le origini di quello che potremmo definire come un ornitorinco della politica dell’interesse va individuato nella “Società delle Nazioni” e nel trattato di Versailles (1919), la cui coerenza e funzionalità anatomica si rivelò ben presto incapace di far fronte alla sua problematicità epistemologica. Vale la pena annoverare le nazioni che parteciparono alla conferenza di pace di Parigi: Stati Uniti d’America (mai diventati membri effettivi), Regno Unito, Francia, Italia, Giappone, Belgio, Cina, Portogallo e Serbia (rappresentata da Milenko Radomar Vesnić). Ora, se l’obiettivo dichiarato dell’ornitorinco era quello di promuovere il disarmo e la pace tra le nazioni, in termini strettamente etici questo apparente paradosso politico e autentico mostro burocratico non riuscì quasi mai a gestire le questioni di democrazia, intendendole cioè dal punto di vista dei popoli liberi, rivelandosi per quel che era: una società conflittuale e dell’interesse. Basti considerare la storica questione delle Isole Åland, i cui abitanti non poterono vedere legittimata la propria volontà di riconoscersi come cittadini svedesi (in quanto parlanti a maggioranza lo svedese e quindi appartenenti a quella cultura, e non a quella russa o a quella finlandese). In seguito alla Seconda guerra mondiale tale progetto fallimentare fu abbandonato e furono istituite le Nazioni Unite, il cui Segretario Generale – avente funzione di direttore della macchina burocratica – è stato in sostanza sempre eletto tenendo conto dei reciproci interessi dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Cina, Regno Unito, Francia, Russia e Stati Uniti) presenti all’interno dell’Assemblea Generale. Fu forse per una sorta di ironia della storia che il sesto Segretario Generale ad essere eletto dovesse essere africano e, nella fattispecie, egiziano. A spuntarla su tutti, dopo ben sei votazioni, fu Boutros Boutros-Ghali, un copto-ortodosso proveniente da un’antica famiglia di aristocratici egiziani, il cui mandato ebbe inizio il primo gennaio del 1992, quando il conflitto nell’ex Jugoslavia era già iniziato. Ora, una delle caratteristiche dell’ONU è che deve promuovere e far rispettare i principi di quello splendido documento composto da trenta articoli che è la Dichiarazione universale dei diritti umani, proclamata il 10 dicembre 1948. L’universale importanza dei principi che esprime a tutela di ciascun individuo della “famiglia umana” è pari solo all’universalità della sua effettiva inapplicabilità, e ciò non in ragione di qualche impedimento naturale o trascendentale, ma solo ed esclusivamente in ragione del suo dover fare i conti con la cattiva volontà della società conflittuale e dell’interesse. E poiché la cattiva volontà è incarnata esclusivamente da individui e gruppi di individui, il fatto che questi siano posti ai vertici di un monopolio del potere rivela il carattere tirannico degli interessi in gioco, dove – per dirla con la Arendt – tutti sono ugualmente responsabili e non lo è nessuno. Più avanti nel capitolo approfondiremo la realtà di questa “congiura della stupidità.” Poiché, però, si è già fatto il nome di Boutros-Ghali è opportuno cominciare spiegando in che senso figure storiche di questa risma soffrano di una ideologica idiosincrasia nei confronti della Dichiarazione universale. Mr. Ghali, come viene citato nelle agenzie di stampa internazionali, è noto soprattutto per essere stato un completo “incapace” nell’evitare due dei più mostruosi eventi storici degli anni ’90: il genocidio e stupro sistematico dei musulmani in Bosnia ed Erzegovina, e il genocidio e stupro dei Tutsi del Ruanda (un milione di morti). Durante il suo mandato, Mr. Ghali fu impegnato soprattutto nel collezionare lauree ad honorem in giro per il mondo come emerge dall’articolo a lui dedicato sulla pagina del sito delle Nazioni Unite188. La sua carriera politica ebbe inizio sotto Anwar al-Sādāt (promotore in Egitto del libero mercato e di una nuova classe di capitalisti, oltre che liberatore di molti dei Fratelli Musulmani rinchiusi in carcere dal governo di Gamāl ’Abd al-Nāṣer), come ministro di Stato per gli Affari Esteri. Ma a promuoverne la carri...

Table of contents

  1. Introduzione
  2. Capitolo Primo I semi del totalitarismo
  3. Capitolo secondo Programmi per una Grande Serbia
  4. Capitolo terzo La pulizia etnica
  5. Capitolo quarto Responsabilità
  6. Conclusioni
  7. Bibliografia