VI
La posizione del bambino:
esporsi alle immagini
Pedagogia
La cosa più commovente della Kriegsfibel è indicata già dal titolo, questo titolo che è, in fondo, una forma di montaggio. Esso articola, infatti, un vocabolo che si riferisce al peggio (Krieg, la guerra) con una parola che riguarda soprattutto i bambini: Fibel, o Abicì, abecedario. In precedenza Bertolt Brecht aveva composto delle ballate da cantare, come le Storie da calendario, e poi, nel pieno della guerra mondiale, i Canti per bambini; ma ora eccolo al lavoro per mettere a disposizione delle generazioni future – o per l’animo dei bambini a lui contemporanei, se questo fosse stato ancora possibile – un libro illustrato che però non ha nulla di innocente, un libro dove si può sfogliare il peggio dalla A alla Z, il che vuol dire, nell’economia delle tavole illustrate, da Hitler a Hitler medesimo, passando per il dolore delle madri a cui il fascismo ha ucciso i figli (fig. 26).
Da quando il progetto di una “documentazione poetica” della guerra attraversò la mente di Brecht, dal fondo del suo esilio – e nel momento stesso in cui l’armata tedesca s’impadroniva dell’Europa con stupefacente rapidità –, si pose il semplice problema d’immaginare quel che una simile impresa potesse riuscire a trasmettere alle generazioni future. In tempo di guerra è questione tanto di pedagogia quanto di poesia: ci si chiede fatalmente a chi e a cosa tutto questo possa servire. Non è infatti derisorio e scoraggiante conoscere la storia o recitare poesie nel momento in cui l’urgenza ghermisce gli animi, il futuro è compromesso, la fame attanaglia la carne, e bisogna pensare incessantemente a fare i bagagli davanti alle minacce del nemico? Brecht pone la questione anzitutto in qualità di padre e di pedagogo:
Mio figlio mi chiede: devo imparare la matematica?
Perché, vorrei dirgli. Che due pezzi di pane sono più di uno
te ne accorgerai lo stesso.
Mio figlio mi chiede: devo imparare l’inglese?
Perché, vorrei dirgli. Quella potenza declina. E
basterà tu ti passi la mano sul ventre, gemendo,
che ti si capirà.
Mio figlio mi chiede: devo imparare la storia?
Perché, vorrei dirgli. Impara a ficcarti col capo per terra
e forse sarai risparmiato.
Sì, impara la matematica, dico,
impara l’inglese, impara la storia!
La Kriegsfibel può essere sfogliata come un libro d’immagini storiche, ma può anche essere letta come una raccolta di poesie liriche, alcune molto semplici da capire, altre più enigmatiche. Senza alcun dubbio, per Brecht la poesia deriva da una pedagogia: anzitutto perché il suo materiale non è in nulla riconducibile all’Io egoista del romantico, ma deve piuttosto trovare la propria fonte in un Noi storico e politico; poi perché la sua stessa espressione non ha senso se non per aprirsi al mondo sociale o per realizzarsi in un processo di trasmissione. Perché, ad esempio, Brecht ha scelto la forma di un “lirismo non rimato con ritmi irregolari”? Perché rime e ritmi regolari avrebbero creato, a suo avviso, una sorta d’ipnosi poetica, uno “stato d’animo sognante” nel quale tutto è trattenuto e non si dà nulla, tutto è sentito ma nulla è appreso. “Se uno voleva pensare, doveva prima di tutto strapparsi da quell’atmosfera che livellava, rendeva indistinta e armonica ogni cosa. In presenza dei ritmi irregolari era più facile che i pensieri assumessero le forme emotive loro proprie. E non avevo affatto l’impressione di allontanarmi in tal modo dalla lirica. […] Per adempiere alcune delle funzioni sociali che sono proprie della lirica, era quindi possibile battere nuove strade”.
Dunque, secondo Bertolt Brecht, la poesia trasmette delle emozioni che fanno pensare, cioè agire, e non sognare, dormire, o arretrare rispetto al mondo storico. La poesia, per questa ragione, deve rinunciare ai ritmi consueti per risvegliare il suo lettore come si sveglia un bambino per aprirlo nei confronti del mondo: insegnandogli qualcosa. Questo implica anche il suo tenore politico, tant’è vero che i bambini, incarnando il futuro, costituiscono la posta in gioco determinante di tutti i conflitti e di tutte le trasformazioni storiche. Ciò a cui le poesie di Brecht – e i suoi drammi teatrali, naturalmente – vogliono anzitutto rispondere politicamente non è altro che la pedagogia avversa, la “pedagogia di morte” a cui si richiama il fascismo e della quale il poeta in esilio, insieme a Fritz Lang, riconosceva con amarezza, nel 1942, la fonte filosofica:
6.1.42. Con aria depressa Lang mi fa vedere il libro di un uomo di scuola americano sull’educazione della gioventù nella Germania nazista (Education for death). Si tratta veramente della più selvaggia aberrazione dell’idealismo tedesco. Tutto ciò che accade laggiù prende le mosse dallo “spirito”. Stando alle antiche regole scolastiche secondo cui lo spirito non può perire, questo scandalo dovrebbe durare senz’altro altri 1000 anni. In realtà sopravviverà all’anno in corso solo ciò cui i nazisti hanno dato fondamenti concreti di tipo sociale e cioè pochissimo. Per quanto orribile sia questa violenza fatta a dei bambini a milioni per volta, la sua efficacia pratica sarà pari a zero. Anche questo è un germe che prospera solo nel suo brodo.
Che sia quindi possibile disfarsi della pedagogia di guerra, questa pedagogia di morte? Il relativo ottimismo di Brecht, in questo caso, è fondato sull’inanità dei “fondamenti sociali” di tutto ciò che propone la dottrina nazista, usurpando la parola “socialismo”. Ciò non impedisce che cinque mesi più tardi, nel Diario di lavoro, in occasione di una discussione con Herbert Kline, un regista di film documentaristici, Bertolt Brecht riconosca il potere d’asservimento del nazismo, definito come un potere al quadrato, se così si può dire: “Il fascismo è una forma di governo mediante la quale un popolo può essere soggiogato a tal punto che è possibile abusare di esso per soggiogare altri popoli”. Altrove nel Diario – più precisamente a qualche riga dalle immagini che mostrano Hitler mentre tiene i suoi discorsi con la posa del “pedagogo” del popolo (fig. 20) –, Brecht riconoscerà ancora che “naturalmente è vero che esiste qualcosa di simile a un ‘servilismo dei tedeschi’” del suo tempo.
La pedagogia, si è soliti dire, è l’arte di modellare ...