Gianluca Miglino
Introduzione
La guerra degli spiriti
Gli accademici tedeschi e
l’irruzione della storia
La nostra storia è così antica perché si svolge prima di una certa svolta, di un confine che ha scavato un abisso profondo nelle vite e nelle coscienze… Si svolge o, per evitare di proposito ogni forma di presente, si svolse e si è svolta allora, tanto tempo fa, nei giorni che furono, nel mondo che precedette quella Grande Guerra con il cui inizio tante cose sono cominciate e, a quel che sembra, ancora non hanno smesso di cominciare.
T. Mann, La montagna magica.
Un sano spirito guerresco alberga sicuramente in ampie cerchie del nostro corpo accademico.
G. von Below, La posizione dei docenti universitari rispetto alle questioni belliche.
1. Anticipazioni
Il famoso Historikerstreit degli anni Sessanta e la pubblicazione nel 1969 del libro sul declino dei ‘mandarini tedeschi’ di Fritz K. Ringer hanno avuto tra l’altro il merito di attirare l’attenzione sull’importanza della formazione dell’opinione pubblica e delle rappresentazioni politiche nella società guglielmina a ridosso dello scoppio della Grande Guerra. Nel corso di decenni di ricerche ed approfondimenti critici è emerso come uno dei gruppi fondamentali per la formazione dell’opinione pubblica nella Germania moderna fosse proprio quello degli accademici, in particolare degli storici. Almeno a partire dal 1848, i ‘dotti’ furono infatti progressivamente considerati la ‘coscienza pubblica’ del popolo tedesco, segnando così una lunga fase della storia della Germania moderna in cui vi sarebbe stata una profonda continuità nell’impegno politico degli accademici (dal Professorenparlament dell’assemblea nazionale del 1848, al decisivo contributo alla formulazione delle teorie imperialistiche in appoggio alla politica di potenza dell’imperatore Guglielmo II). In generale, dopo l’unificazione del 1870, la figura pubblica del professore universitario si allontana dai valori del liberalismo quarantottesco e diventa un bastione dello status quo, una fonte di legittimazione del neonato secondo Reich. Si mette così in moto un processo in cui si assiste all’idealizzazione del ruolo sociale dell’accademico, che diviene il rappresentante dell’oggettività apolitica al di sopra delle questioni politiche quotidiane e delle divisioni dei partiti, un’istanza la cui attività pubblica è rivolta solo all’interesse generale della nazione. Ne è testimonianza una produzione pubblicistica di assoluto rilievo che si muove al di fuori delle attività specificamente politiche e si basa unicamente sulla pretesa di oggettività e competenza tipiche della sfera accademica.
Muovendo da questo ruolo di mentori politici della nazione, gli accademici si vedono investiti del compito di preparare la nazione alla grande scena della politica mondiale. Gli storici in particolare cercano di sviluppare le basi di una politica estera del futuro muovendo dall’autorevolezza della propria interpretazione ‘scientifica’ del passato. La genesi dei commenti, delle prese di posizione e degli interventi pubblici sulla guerra del 1914 risale quindi ad un periodo molto precedente, ai decenni tra il 1870 e il 1900, in cui, come è stato messo in rilievo da una tradizione critica ormai consolidata, questa attività pubblicistica assolve anche, se non soprattutto, ad una funzione di legittimazione delle strutture sociali ed economiche della Germania guglielmina, strategia finalizzata alla conservazione dell’impalcatura politica interna, caratterizzata dal proverbiale autoritarismo prussiano e da una struttura sociale fortemente gerarchizzata.
Il punto di partenza di questa storiografia impegnata in questioni di politica nazionale è la creazione di una nuova concezione della storia da parte della generazione accademica nata dalla Ranke-Renaissance. L’interpretazione di Ranke della storia dell’Ottocento come equilibrio dinamico tra le ‘grandi potenze’ europee viene estesa a livello globale per fondare una teoria della legittimazione storico-politica dell’imperialismo, in base alla quale la Germania deve espandersi non solo nel proprio interesse, quanto soprattutto nell’interesse globale, cioè al fine di bilanciare il predominio mondiale dell’Inghilterra. Inoltre, dopo la vittoriosa guerra del 1870-71, l’Inghilterra prende progressivamente il posto della Francia come nemico storico e la politica estera inglese viene mitizzata come politica di potenza ipocritamente velata da ragioni umanitarie e di difesa della civilizzazione occidentale, portata avanti da un popolo di mercanti privi di ideali eroici. Si profilano così le basi per la costruzione di un discorso antitetico in cui sarebbe stato possibile riattivare, sottoposte ad una radicale risemantizzazione, tutta una serie di categorie centrali nella storia della cultura tedesca (dalla Bildung, alle coppie polari Kultur-Zivilisation e Gemeinschaft-Gesellschaft, su cui si tornerà più oltre).
2. L’estate del 1914
Quando nei primi giorni dell’agosto 1914 i cinque più grandi stati europei entrano in guerra, si presenta forse per la prima volta nella storia moderna una situazione in cui le decisioni di governanti e stati necessitano di essere in qualche modo giustificate davanti ad un nuovo soggetto, il “popolo”, ormai diventato massa, opinione pubblica. Queste giustificazioni erano dirette in prima istanza ai singoli popoli all’interno degli stati nazionali, e in secondo luogo all’opinione pubblica mondiale, specialmente a quella degli stati neutrali, in particolar modo a quella degli Stati Uniti. Proprio riguardo a questi nuovi, decisivi assetti dei rapporti tra politica e opinione pubblica, scriveva Ernst Troeltsch il 1 luglio 1915, a quasi un anno dallo scoppio della guerra:
Nazioni democratiche possono condurre delle guerre solo come guerre popolari, solo sulla base di motivazioni morali condivisibili da tutti […]. La conseguenza di ciò è che queste nazioni vogliono portare avanti una guerra solo come guerra di difesa, volta all’affermazione e alla salvezza della nazione stessa nella sua esistenza politica o nel suo contenuto spirituale e morale.
Le questioni inerenti al contesto storico-culturale in cui vanno inseriti i testi degli accademici tedeschi sulla guerra sono state ovviamente già ampiamente affrontate da una lunga schiera di storici, storici della cultura e delle idee, germanisti, etc., che anzi, proprio concentrandosi su questi aspetti culturali più ampi, hanno potuto focalizzare in modo progressivamente sempre più diversificato una considerazione della Grande Guerra, delle sue premesse e conseguenze culturali, che andasse al di là degli aspetti storici puramente politico-militari o economico-sociali. Accanto al fondamentale volume di Fritz K. Ringer citato in precedenza, lo studio, apparso sempre nel 1969, di Klaus Schwabe aveva già fatto emergere il doppio movimento dell’opinione pubblica in Germania, cioè la presenza di un primo stadio caratterizzato dall’attesa della vittoria (1914-1916) e di un secondo momento in cui invece si tentava di metabolizzare la presenza ormai innegabile di una crisi politico-militare (1916-1918). Steffen Bruendel aveva poi diversificato questa scansione sottolineando l’unanimità politica che caratterizzava l’atmosfera tedesca all’insegna di parole d’ordine come la Burgfriede (conciliazione nazionale) e le ‘idee del 1914’, la cui pervasività era andata gradualmente disgregandosi con il procedere degli anni di guerra. Altre ricerche hanno offerto imponenti materiali e ricost...